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La crisi del classicismo e l’esperienza pittorica

CASO DI STUDIO L’ATELIER DI GAVINO TILOCCA A SASSAR

3. Caso studio: l’atelier Gavino Tilocca 1 Fortuna critica

3.4 La crisi del classicismo e l’esperienza pittorica

Lo scoppio della guerra finisce inevitabilmente per rallentare l’attività dello scultore che in quel periodo avvia una profonda riflessione sulla sua opera, sia dal punto di vista formale sia da quello contenutistico. Tilocca infatti non rimane indifferente di fronte alle inquietudini e alle problematiche che investono la scultura italiana dell’epoca – basti pensare al testo di Arturo Martini La scultura lingua morta, pubblicato nel 1945336

335 La stampa nazionale si limita perlopiù a segnalarne la partecipazione e l’immagine dell’opera non è

mai ripresa né nel catalogo né in altri articoli dedicati alla rassegna. Cfr. La Biennale di Venezia, XXII

Esposizione Internazionale d’Arte, Officine Grafiche Carlo Ferrari, Venezia, 1940.

336 Cfr. A. Martini, La scultura lingua morta e altri scritti, Abscondita, Milano, 2001. Sull’opera dello

scultore si veda G. Vianello, N. Stringa, C. Gian Ferrari (a cura di), Arturo Martini. Catalogo ragionato

che lo porteranno ad allontanarsi definitivamente dalla statuaria classicista, oramai sempre più identificata come lo stile ufficiale del Regime.337

Guardando soprattutto a Manzù,338 l’artista si appresta ad ammorbidire le compatte

volumetrie delle sue plastiche, abbandonando le forme assolute e ben levigate degli esordi per ricercare una maggiore intensità espressiva, resa grazie alla rapidità del tocco che contribuisce ad amplificare il dato introspettivo del soggetto, come testimoniato da Uomo che fa la siesta in poltrona, gesso realizzato nel 1943 (fig. 82). Lasciatasi alle spalle la magniloquenza retorica fascista, agli artisti non resta che guardare al disfacimento dell’umanità martoriata dalla guerra.

Lo stesso orientamento espressivo caratterizza le opere che Tilocca espone nel 1945 in una mostra personale tenuta insieme al pittore Cesare Cabras alla Galleria l’Aquario di Sassari. Rientrato stabilmente nella sua città, l’artista si appresta a mostrare al pubblico i risultati della sua svolta stilistica. A presentare la rassegna, un testo scritto dall’amico e collega Eugenio Tavolara che segnalava come lo scultore in quel momento si trovasse «[…] a un punto singolare della sua formazione artistica, avendo istintivamente risolti quasi tutti i dissidi che opprimono gli scultori del nostro tempo così sconvolto anche nel campo delle arti figurative, specchio e simbolo dell’umano agitarsi e soffrire. […] A un certo punto ha cominciato a stancarsi delle aspirazioni classiche, della sodezza del modellare, delle chiare superfici in cui la luce si adagia placidamente senza brusche interruzioni e, rivivendo le esperienze di Carpeaux, di Rodin, di Renoir,

337 C. Fabi, “Divulgazione della scultura nel secondo dopoguerra”, in Studi di Memofonte, n°11, 2013,

pp.25-46.

338 Per un approfondimento sull’opera di Manzù si vedano L. Velani (a cura di), La Raccolta Manzù,

L’argonauta, Latina, 1994; C. Strinati, Manzù. L’uomo e l’artista, De Luca, Roma, 2002; F. Buranelli (a cura di), Manzù. Catalogo generale delle sculture dal 1923 al 1965, De Luca, Roma, 2014.

di Rosso, di Manzù, ha iniziato a frantumare e a muovere le masse, in funzione del gioco drammatico della luce e dell’ombra. È questo il nuovo Tilocca […]».339

Curiosamente questa evoluzione stilistica non viene particolarmente evidenziata dal pittore Stanis Dessy che, nei panni di recensore, osserva come «il mestiere [di Tilocca] appare più scoperto e coerente di quanto non apparisse nelle sue precedenti esposizioni. Egli è ormai artista sicuro nonostante la sua giovane età e nonostante i modi tradizionali della scuola di Dazzi cui appartiene. […] E se pure può notarsi come nelle sculture di maggior mole egli indulga verso talune concessioni all’arcaismo ora di moda, i suoi ritratti hanno tutti quel pregio che purtroppo manca a troppi artisti d’oggi: l’intensità.»340

Sebbene nelle parole di Dessy si possa cogliere una certa reticenza nel riconoscere l’allontanamento dell’artista dai canoni estetici che fino a quel momento avevano guidato la sua opera, verso la fine del decennio il distacco dal maestro Dazzi sarà unanimemente considerato compiuto.

Che la mutazione dello stile di Tilocca fosse già evidente fin dal 1945 si deduce comunque anche dai quattro pezzi esposti alla Prima Libera Esposizione Regionale

d’Arte, tenutasi a Cagliari nell’ottobre di quell’anno, Nudino, Chierichetto, Testa di bimba e Testa di ragazza, che gli varranno il I premio per la scultura.341

339 Catalogo della mostra personale tenuta alla Galleria “L’Aquario” di Sassari il 25 gennaio 1945, in

Tilocca Scultore, Chiarella, Sassari, 1973, pp. 1-2.

340 S. Dessy, “Cesare Cabras e Gavino Tilocca all’Aquario”, 1945, ritaglio dall’archivio Tilocca, Sassari. 341 Nonostante il consenso ottenuto alla rassegna, l’artista rimane profondamente rammaricato dalle

numerose falle logistiche della manifestazione tanto che, per la prima volta, decide di schierarsi apertamente contro gli organizzatori sulle pagine della rivista sassarese Riscossa: «Si è finalmente chiusa a Cagliari la prima Mostra Regionale d’Arte organizzata a suo tempo dalla libera (forse troppo) Associazione degli artisti di Cagliari. […] In verità la mostra si è protratta un po' troppo a lungo e inutilmente, con un attivo di pochissime vendite, crediamo una dozzina in tutto, e un passivo di alcune opere di scultura andate distrutte a danno degli espositori per colpa (voluta o no) un po' del pubblico, non sufficientemente educato a visitare mostre d’arte, e un po' degli organizzatori stessi […] il più grave

Mentre in Testa di bimba (fig. 84) appare evidente la maggiore libertà di modellato rispetto alle prove precedenti, in Nudino, successivamente rinominato dallo stesso artista Piccolo pescatore (fig. 86), le possenti muscolature degli atleti, esposti pochi anni prima alle mostre Sindacali, lasciano il posto a forme esili e aggraziate.

Il distacco dalla classicità si fa ancora più marcato verso la fine degli anni Quaranta, come dimostra anche la testina Bimbo Ammalato (1948, figg. 103-104), esposta nella personale tenuta nel maggio del 1948 insieme a Pietro Antonio Manca alla Galleria della Maria di Cagliari.342 L’opera si contraddistingue per l’intensità espressiva e per la

fedeltà al dato sensibile del modello, che rende il soggetto con una tenera partecipazione emotiva, come osservato anche dal cronista de Il Giornale d’Italia: «l’elemento realistico non viene disdegnato ma giustamente equilibrato e risolto nell’espressione lirica. […] si ha, nelle ultime cose di lui, un progressivo volgersi verso

dei quali quello di aver organizzato la Mostra stessa, quella mostra che sin dal nascere presagiva il completo fallimento. […] Confusione assoluta e impreparazione, deficienza dei mezzi tecnici i più indispensabili per il normale ordinamento di una Mostra erano la premessa per un inevitabile insuccesso. […] Non si va in cerca del chiodo per appendere il quadro e delle basi per le sculture alla vigilia dell’inaugurazione, non si riprende lo scultore che ha mandato le opere senza inviare assieme (caso strano!) i relativi piedistalli, né si scartano sculture accettabilissime, perché prive dei sostegni necessari. Per noi è stata una curiosa novità tutto questo, che non ha mancato di riempirci di amarezza: per noi che più di una volta abbiamo assistito e partecipato all’allestimento di mostre, e non solo nell’isola, dove tutto si disponeva con ordine religioso, e nulla sfuggiva, neppure i più minuziosi particolari […] Queste erano vere mostre, signori organizzatori. […] se non ci sono disponibilità, di mostre si può fare a meno, nessuno ne ha sollecitato l’attuazione, né era nel desiderio degli stessi artisti (almeno crediamo) e questo lo dimostra che la maggior parte dei più noti furono assenti (Figari, P. A. Manca, Dessì, Delitala, Floris, Ciusa Romagna, Mura, ecc.). […] Forse i più noti artisti, che la sanno lunga anche in fatto di organizzazione avevano previsto chiaramente l’inconsistenza organizzativa, e le inevitabili conseguenze. A noi giovani questo era sfuggito, perciò la nostra partecipazione sentita, smisuratamente disinteressata ed entusiasta. Parlo a nome di tutti gli artisti sassaresi espositori, che di questa mostra sono stati oltre che gli esponenti più significativi, quelli più osteggiati […]». Benché la rassegna fosse stata presentata come il primo grande evento espositivo per l’arte sarda del dopo guerra, risultava evidente come restasse ancora molta strada da fare dopo il crollo della struttura dei sindacati fascisti. Cfr. G. Tilocca, “L’organizzazione della mostra d’arte”, in Riscossa, 10 dicembre, 1945.

elementi emotivi.»343 Della stessa delicata sensibilità sentimentale partecipa anche

Bimba d’altri tempi (1949, figg. 96-97), memore nella scomposizione di luci e ombre di

alcune opere di Medardo Rosso.344 Il busto figura esposto, insieme ad altre otto

sculture in gesso e bronzo, alla Mostra d’Arte Antica e Moderna della Sardegna. La mostra, che comprendeva opere di artisti contemporanei accanto a sculture nuragiche, si tenne non senza polemiche345 all’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia nel 1949 e

l’anno successivo alla Galleria Nazionale di Valle Giulia di Roma.346 Sebbene l’intento

delle rassegne fosse di mostrare l’eccellenza dell’arte sarda antica e moderna, l’effetto fu quello di evidenziare i limiti della produzione contemporanea, raccolta «con criteri ben poco selettivi» e sfavorevolmente paragonata dai critici alle opere antiche.347

A partire dai primi anni Cinquanta gli artisti sardi riescono a emergere sempre meno nel panorama nazionale. Non stupisce dunque se nel 1950 Eugenio Tavolara è l’unico artista sardo invitato a partecipare alla Biennale di Venezia.348 Lo stesso Tilocca, che

aveva sottoposto alla commissione giudicatrice alcune opere, era stato escluso – sembrerebbe – sia a causa dell’opposizione di Manzù nei suoi confronti, sia in quanto la sua produzione non era apparsa in linea con i criteri generali seguiti per la scultura, indirizzati verso «Viani e i suoi seguaci – cioè quelli della scultura a caciocavallo e provolone», secondo le parole di Nicola Dessy, intellettuale sardo residente a Venezia,

343 R. M., “Mondo lirico e sereno di G. Tilocca scultore “, in Il Giornale d’Italia, 26 giugno 1949.

344 Come ad esempio, Enfant malade (bambino malato, 1895-1897), O garoto de Paris (Il Birichino di

Parigi, 1884), Ritratto di Henri Rouart (1890). Cfr. P. Zatti (a cura di), Medardo Rosso. La luce e la materia, catalogo della mostra (Milano, GAM – Galleria d’arte moderna, 18 febbraio – 31 maggio 2015),

24 Ore Cultura, Milano, 2015.

345 Si veda G. Tilocca, “Scandalo veneziano”, in Sardegna Illustrata, 29 settembre - 6 ottobre 1949. 346 G. Perocco, “Chiarezza e coerenza dei pittori e degli scrittori sardi”, in Gazzettino Sera, 25 - 26

agosto 1949; “Alla mostra di Venezia”, in Il Giornale d’Italia, 8 settembre 1949; “Arte sarda antica e moderna”, in La Fiera Letteraria, 25 settembre 1949.

347 G. Altea, M. Magnani, Eugenio Tavolara, op. cit., p.129.

che già l’anno prima aveva organizzato la già citata Mostra d’Arte Antica Moderna della

Sardegna nella città lagunare e che in una lettera informa Tilocca degli orientamenti

della giuria della Biennale. 349

Non è da escludere che la nuova situazione italiana del dopoguerra, così come l’emergere nel panorama locale di nuove esperienze artistiche,350 abbiano spinto

Tilocca ad allargare il suo ambito di intervento, affiancando alla produzione scultorea quella pittorica. Nel maggio 1951 l’artista tiene una mostra personale all’Ente Provinciale per il Turismo di Sassari in cui espone per la prima volta, oltre a una quindicina di sculture, un cospicuo numero di dipinti a olio.351

L’esordio di Tilocca in ambito pittorico non sembra però convincere del tutto la critica locale che, se da un lato ritiene perfino «superfluo» discutere della sua scultura, in quanto «la maturità da lui raggiunta […] è ormai un fatto compiuto», dall’altro rileva nella pittura i segni di una «instabilità formale» - nonostante «i rapporti tonali [...] [abbiano] già una loro efficace soluzione» - invitando così l’artista a risolvere il suo «problema pittorico» non tanto nei ritratti ma quanto nei paesaggi o nelle nature morte.352

349 Lettera di N. Dessy a G. Tilocca, Venezia, 16 febbraio 1950, archivio Tilocca, Sassari. Dalle ricerche

effettuate presso l’ASAC - Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Fondazione La Biennale di Venezia a Marghera (VE) non è emerso nessun riscontro in tal senso. Ad ogni modo, risulta invece come l’artista abbia ripetutamente inviato materiali fotografici delle sue opere per sottoporre la propria candidatura alla commissione esaminatrice.

350 M. P. Dettori attribuisce la decisione dello scultore di dedicarsi alla pittura in seguito all’esperienza

di Carlo Contini. Cfr. G. Altea, M. Magnani, Pittura e scultura dal 1930 al 1960, op. cit., p.176 (scheda 114).

351 Dalla brochure della mostra, custodita nell’archivio dell’artista, si è riscontrato che in totale le opere

esposte fossero trentadue: di cui diciassette dipinti a olio e quindici sculture in gesso e bronzo.

352 B. Monozigoto, “Maturità espressiva nell’arte di Gavino Tilocca”, in La Gazzetta Sarda, 21 maggio

Effettivamente, a giudicare dal dipinto presentato poco dopo da Tilocca al 2° Premio

Sassari - un paesaggio nel solco della tradizione impressionista (figg. 123-124) –, le

riserve della stampa non erano del tutto infondate. Ad ogni modo, la perseveranza dell’artista venne premiata dai risultati: benché fosse poco più di un esordiente in ambito pittorico, Tilocca si aggiudicò il primo premio ex aequo con il bolognese Carlo Corsi e il fiorentino Renzo Grazzini. Anche in questo caso, la rassegna venne accompagnata da numerose polemiche.353 Malgrado le controversie e il malcontento

generale avessero finito col gettare un’ombra sulla vittoria dell’artista, sarebbe bastata la sua partecipazione nel 1952 al Premio “Michetti” a Francavilla al Mare per eliminare ogni dubbio sulla validità della sua pittura. Tilocca infatti anche in quell’occasione è premiato con la “Tavolozza d’Argento” per l’opera Ragazza seduta (fig. 126), delicato ritratto di fanciulla dalle stesure a piatto.354 Il riconoscimento arriva in seguito a una

intensa attività espositiva dell’artista che, quasi senza sosta, prende parte, a partire dal 1952, alla VI Quadriennale di Roma, al Premio Taranto, alla I Mostra Nazionale

d’Arte di Trieste e infine al IV Premio di Pittura a Lerici.355

353 Una volta comunicati i vincitori del premio un gruppo di artisti (Costantino Spada, Salvatore Fara,

Nando Galleri, Libero Meledina, Giuseppe Magnani, Settimo Sassu e Fabio Lumbau) firmano una lettera di accuse rivolte alla giuria per il mancato rispetto delle norme del regolamento. La giuria in quell’occasione era composta dal soprintendente Raffaele Delogu, dai critici Virgilio Guzzi e Marco Valsecchi e dagli artisti Bartolini, Palazzi, Petrucci e Vagnetti. Tilocca si aggiudica il primo premio, che ammontava a cinquecentomila lire, a pari merito con Corsi e Grazzini, superando così il ben più affermato Aligi Sassu. Inoltre per quella stessa edizione era stato istituito un ulteriore premio di centomila lire destinato ai nati o residenti in Sardegna. Quest’ultimo venne vinto dall’autodidatta Giovanni Piu il quale venne preferito dalla commissione a pittori come Delitala, Floris, Ciusa Romagna. Si veda “L’assegnazione del ‘Premio Sassari’”, in La Nuova Sardegna, 4 settembre 1951.

354 “Vincitore Tilocca al Premio ‘Michetti’”, 15 agosto 1952, ritaglio dall’archivio Tilocca, Sassari. 355 L’artista prende parte nel dicembre del 1951 alla VI Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma, nel

mese di gennaio al Premio Taranto. Mostra di Pittura, che si tiene al Palazzo dell’Istituto Talassografico di Taranto, nel mese di marzo (dal 1 al 19) alla IV Mostra Regionale d’Arte alla, Galleria Comunale di Cagliari e dal 30 giugno al 30 luglio alla I Mostra Nazionale d’Arte al Palazzo, che si tiene nella scuola “Guido Corsi” di Trieste. Poco dopo prende parte alla VI Mostra del Premio Nazionale di Pittura “F.P.

Nonostante l’impegno in campo pittorico, Tilocca non abbandona la produzione scultorea, come dimostrano la realizzazione di un crocifisso in bronzo per la chiesa di S. Francesco a Iglesias (1952, fig.131), la partecipazione nel 1953 con un altro bronzo, una testina di bimba (Maria Carmela, 1952, fig. 133), alla I Rassegna Regionale Arti

Figurative a Nuoro e l’intervento decorativo per la chiesa della Solitudine, sempre a

Nuoro (1954, figg. 135-136). Quest’ultimo vede incaricato della direzione dei lavori il pittore Giovanni Ciusa Romagna, il quale affida a Tavolara il portone d’ingresso e la

Via Crucis, così come il crocifisso, i candelabri e il tabernacolo, mentre a Tilocca

assegna il rilievo marmoreo dell’abside. L’artista per l’occasione si distacca dal linguaggio intimista che fino a quel momento aveva segnato i suoi ritratti e recupera invece lo stile arcaizzante che utilizzava più di frequente nelle opere di destinazione pubblica. Isolata al centro della scena compositiva, la Madonna della Solitudine si erge frontale e maestosa; tanto il paesaggio circostante, di vago sapore giottesco, quanto la figura, racchiusa nel manto dalle rigide pieghe, contribuiscono all’evocazione di un clima medievaleggiante, in linea con la semplicità “neoromanica” dell’architettura di Ciusa Romagna.356