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LA VALORIZZAZIONE MUSEOGRAFICA DELLE DIMORE STORICHE E DEGLI STUDI D’ARTISTA

2.2. La musealizzazione degli studi d’artista

Le case e gli atelier dei pittori e degli scultori appaiono, agli occhi degli studiosi appassionati, quasi delle appendici degli artisti stessi; attraverso i loro arredi, la disposizione degli ambienti, la localizzazione, le condizioni di illuminazione e lo stesso caos talvolta presente all’interno, forniscono preziose informazioni circa le abitudini, le pratiche artistiche e le tecniche adoperate per l’esecuzione dei lavori.

L’atelier quindi è considerato come una chiave di lettura dell’artista e del suo operato. Come si è visto, oltretutto, lo studio non ha rappresentato solo il luogo di esecuzione delle opere ma anche il medium attraverso il quale l’artista si è fatto conoscere, permettendogli così di affermare la propria immagine presso il pubblico e la società, come una sorta di trait d’union tra la sua opera e il resto del mondo.

In numerosi casi si è altresì osservata una parziale o totale coincidenza tra gli atelier degli artisti e le loro dimore, gli uni e le altre considerati alla stregua di veri e propri beni culturali. Quest’ultima constatazione porta, in misura ancor più decisa, a tenere nella giusta considerazione i diversi interventi che di volta in volta devono essere attuati per la tutela, conservazione e valorizzazione di questi luoghi.

In Italia, tali principi, sono stati definiti dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d. l. 22 gennaio 2004, n.42, modificato l’ultima volta nel 2014). Secondo il Codice, la tutela «[…] consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione». Il suo esercizio è garantito attraverso una serie di «[…] provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale».144 Per

quanto riguarda la valorizzazione, invece, questa «[…] consiste nell'esercizio delle

funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale».145 In ultimo, la

conservazione «[…] è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro».146

Alla luce di quanto definito dal Codice emerge come talvolta nelle operazioni di musealizzazione degli studi d’artista, a fronte della tutela che si impone come un principio sempre presente, le esigenze inerenti la valorizzazione facciano fatica a coniugarsi perfettamente con quelle relative alla conservazione, soprattutto quando quest’ultima è intesa nei termini di una conservazione integrale.

La conservazione prevede che in alcuni casi, per garantire la massima tutela del bene, lo stesso sia in un certo modo “iperprotetto” e reso non del tutto accessibile. È il caso, ad esempio, degli atelier di Brancusi, di Bacon e di Morandi il cui accesso è parzialmente negato al pubblico per via delle vetrate frapposte a protezione.

D’altro canto una valorizzazione che si premuri anche di garantire una fruizione degli spazi prevede inevitabilmente un certo grado di trasformazione degli stessi, o di una parte degli stessi, per rispondere alle nuove esigenze museali.

Partendo dall’osservazione delle principali esperienze condotte sino ad oggi, si possono dunque rintracciare due tipologie di musealizzazione degli studi d’artista: quella in situ e quella realizzata in un luogo differente rispetto al contesto originario. Un esempio di musealizzazione in situ è rappresentato dall’atelier del ceramista Carlo Zauli (Faenza, 1926 – 2002) a Faenza, del quale parleremo in seguito. Lo studio, pur

145 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 6. 146 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 29.

conservando gli originali ambienti del laboratorio, ha visto una parziale riconversione degli altri spazi dello stabile per ospitare alcune sale espositive. Tra i casi di musealizzazione in situ rientra, ad esempio, anche l’atelier di Alberto Giacometti (Borgonovo, 1901 – Coira, 1966). Lo studio, oggi reso accessibile e fruibile, si trova infatti nell’antico fienile adiacente alla abitazione dell’artista a Stampa, in Svizzera. L’atelier oggi è gestito dalla Società culturale di Bregaglia, proprietaria del Museo Ciäsa Granda, dove sono accolte anche alcune opere di Giacometti.147 Quello di

Stampa però non è stato l’unico atelier dell’artista il quale, com’è noto, ha vissuto parte della sua vita anche a Parigi, lavorando in una stanza di poco più di 25 mq al n° 46 di Rue Hippolyte-Maindron. Nonostante sia stato ampiamente documentato, lo studio parigino dell’artista non ha mai subito un intervento di musealizzazione. 148 Tuttavia

nel 2007 una mostra al Centre Pompidou ha cercato di ricrearne l’atmosfera mettendo in scena il caos che lo contraddistingueva.149 Anche ad Albissola si annovera

un’interessante esperienza di musealizzazione in situ, quella della casa dell’artista danese Asger Jorn (Vejrum, 1914 – Aarhus, 1973) che nel 1957 acquistò un terreno e due vecchi edifici in abbandono, nella località Bruciati. Una volta trasformato quello spazio in una nuova realtà dove opere d’arte, natura e architettura dialogavano facendone un’opera d’arte totale, l’artista donò l’intero patrimonio di strutture e opere

147 Cfr. http://www.centrogiacometti.ch/it/il-luogo/atelier-giacometti

148 S. Catucci, “La contingenza impossibile: note su alcuni modelli espositivi dell’opera d’arte” in D. Fonti,

R. Caruso (a cura di), Il museo contemporaneo: storie, esperienze, competenze, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 58.

149 Si vedano J. Genet, L’atelier di Alberto Giacometti, (1957), Il Nuovo Melangolo, Genova, 1992; V.

al Comune di Albissola affinché ne facesse un museo. Nel 2014, dopo un’operazione di restauro, la casa museo è stata così aperta al pubblico.150

Un altro caso emblematico è quello della casa e dello studio di Jackson Pollock (Cody, 1912 - Long Island, 1956) e di sua moglie Lee Krasner (Brooklyn, 1908 - New York, 1984), a Springs, un piccolo centro di East Hampton, a Long Island, dove i due vissero e lavorarono fin dal 1945. Lee Krasner, una volta diventata vedova, stabilì di donare alla sua morte, avvenuta nel 1984, l’intera proprietà a un’istituzione no profit affinché ne facesse un museo e un luogo di studio e ricerca. Nel 1987 la casa-atelier passò sotto il controllo della Stony Brook Foundation, facente capo alla Stony Brook University che, dopo il ripristino di alcuni ambienti, procedette all’apertura della casa musealizzata nel 1988.151

Per quanto riguarda invece la ricostruzione degli studi d’artista in luoghi diversi rispetto alla loro localizzazione originaria i casi più celebri sono indubbiamente quelli relativi all’atelier di Francis Bacon, che da Londra è stato spostato a Dublino, e quello di Constantin Brancusi che, in seguito a due fallimentari tentativi di musealizzazione, è stato ricostruito sempre a Parigi ma in un quartiere differente da quello in cui originariamente si trovava.

Qui di seguito si analizzano quattro casi di studio, due per ciascuna delle due tipologie di musealizzazione individuate: gli studi di Constantin Brancusi e Francis Bacon e quelli di Giorgio Morandi e Carlo Zauli.

150 Cfr. http://www.museodiffusoalbisola.it/index.php/casa-museo-jorn/181-casa-museo-jorn. Si veda

anche J. Thage, “Il museo Jorn: una discussione in corso sull’arte”, in L. Bochicchio e P. Valenti (a cura di), Asger Jorn. Oltre la forma, Genova University Press, Genova, 2014, pp.23-26.

151 Cfr. http://sb.cc.stonybrook.edu/pkhouse/story/history.shtml. Si vedano anche A. Hardman, Studio

Habits: Francis Bacon, Lee Krasner, Jackson Pollock and Agnes Martin, University of Manchester,

2.3. Ricostruzione dell’atelier d’artista in contesti diversi da quello originario