LA VALORIZZAZIONE MUSEOGRAFICA DELLE DIMORE STORICHE E DEGLI STUDI D’ARTISTA
2.3. Ricostruzione dell’atelier d’artista in contesti diversi da quello originario 1 Il caso dell’atelier di Brancusi a Parig
2.3.4. Lo studio di Francis Bacon a Londra
Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992), uno dei principali protagonisti dell’arte del XX secolo, nasce a Dublino nel 1909 da un’agiata famiglia borghese di origini inglesi. In seguito ai continui conflitti con il padre, Bacon decide nel 1926 di trasferirsi dapprima a Londra e poi a Berlino e a Parigi, importanti capitali europee che gli consentono di entrare in contatto con numerosi artisti dell’epoca.187 È proprio durante
queste esperienze di viaggio che l’artista matura il suo inconfondibile stile, caratterizzato da un linguaggio dai forti toni espressivi dai quali emerge la sua inquietudine esistenziale. «Lungo tutta la sua carriera – scrive Barbara Dawson – […] [Bacon] si immerse nella violenza della vita mentre la osservava e la sperimentava. Nella sua arte, dichiarò guerra alla figura, mettendo in discussione per sempre la natura della condizione umana. Mediante questo incessante fermento, egli creò un linguaggio visivo complesso e rivoluzionario».188
Una volta rientrato a Londra, Bacon si trasferì, a partire dal 1961, nel quartiere di South Kensington, al numero 7 di Reece Mews, dove restò per quasi trent’anni. 189
È proprio all’interno di questo studio che Bacon realizza gran parte della produzione che gli consentirà di affermarsi come una delle maggiori personalità artistiche del
187 Sull’opera di Francis Bacon si vedano D. Sylvester, Francis Bacon: The Human Body, University of
California Press, Los Angeles – London, 1998; M. Cappock, Francis Bacon’s Studio, Merrell Publishers, London, 2005; F. Marini, Francis Bacon, Skira, Milano, 2008; M. Peppiatt, Francis Bacon in your Blood:
A Memoir, Bloomsbury Publishing, London and New York, 2015; M. Harrison, Francis Bacon: Catalogue Raisonné, The Estate of Francis Bacon, London, 2016.
188 B. Dawnson (a cura di), Francis Bacon e la condizione esistenziale nell'arte contemporanea, cat.
mostra a Palazzo Strozzi, (Firenze, 5 ottobre 2012 – 27 gennaio 2013), Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, 2012, p.12.
189 M. Cappock, “Francis Bacon’s Studio”, in A. Bond (ed.), Francis Bacon Five Decades, Art Gallery of
Novecento, diventando un’icona indiscussa per la storia dell’arte moderna inglese e irlandese.190
Insieme alla sua opera anche il suo studio finì per rappresentare un elemento di fondamentale importanza per gli studiosi, in quanto strumento attraverso il quale leggere e interpretare una sensibilità e un processo creativo certamente complesso e turbolento. Al visitatore che si accingeva a varcarne la soglia, lo studio di Bacon si presentava come un vero e proprio cumulo di compostaggio,191 un accatastamento di
macerie costituito da ogni sorta di materiale, dai libri alle fotografie, dai ritagli di giornale ai resti dei colori usati, dai pezzi di tela strappati alla polvere sedimentata sul pavimento (fig. 6). A tal proposito, appaiono quanto mai esaustive le parole del critico d’arte Antony Bond: «When looking at the images of Bacon’s studio at Reece Mews, and at the actual materials found there, an even more unexpected association with the avant- garde comes to mind. The floor and tables are piled high with scraps of photographs, pages torn from books and journals, empty boxes often glued together by splattered paint, old paint rollers, coagulated brushes, spray cans, pieces of fabric coated in paint, rubber gloves, and discarded plates once used as palettes. This was a deliberate accumulation of tools and source images for Bacon’s paintings and dated back several decades».192
Dalle fotografie ritrovate dentro l’atelier si è potuto constatare come Bacon prendesse forte ispirazione dall’ambiente circostante, come in una sorta di inesauribile banca dati da cui prendere spunti e idee. Tutto dunque rientrava a pieno titolo all’interno del suo
190 D.J. Getsy, “The Reconstruction of the Francis Bacon Studio in Dublin”, in M. J. Jacob and M.
Grabner, The Studio Reader, op. cit., p. 99.
191 Dall’inglese “compost”. Termine utilizzato dallo storico dell’arte inglese Michael Peppiat in riferimento
al cumulo di materiale presente sul pavimento dello studio di Bacon. Si veda M. Peppiatt, Francis Bacon:
Anatomy of an Enigma, Orion, London, 1996.
192A. Bond “Foreward”, in A. Bond (ed.), Francis Bacon Five Decades, Art Gallery of New South Wales,
processo creativo, come egli stesso dichiarò in un’intervista allo storico dell’arte francese Michel Archimbaud: «The mess here around us is rather like my mind; it may be a good image of what goes on inside me, that’s what it’s like, my life is like that».193
L’attrazione che Bacon sentiva nei confronti del caos era talmente forte da consentirgli di affermare «I feel at home here in this chaos because chaos suggests images to me».194
L’ambiente in cui Bacon lavorava si presentava come un spazio angusto e modesto. Anche quando l’artista iniziò a vendere i suoi lavori a cifre importanti non abbandonò mai quel luogo in cui tutto appariva confuso e disordinato, perché sentiva che in quel posto aveva oramai trovato la giusta dimensione.
Un elemento di particolare interesse è dato dal fatto che Bacon, nonostante non negasse l’accesso a fotografi e giornalisti all’interno del proprio studio, non si facesse tuttavia mai riprendere durante l’esecuzione dei lavori.195 Emblematica appare
pertanto l’intervista che David Sylvester fece a Bacon nel 1966 per la realizzazione del documentario Fragments of a Portrait che, dopo aver mostrato il suo laboratorio, si conclude con l’artista intento a preparare la tavolozza dei colori, lasciando così delusi gli spettatori.196 Allo stesso modo risultano interessanti le riprese girate dal giornalista
Melvin Bragg nel 1985, sempre all’interno dello studio di Bacon, per la registrazione di una puntata del The South Bank Show in cui ancora una volta viene mostrato il caos
193 M. Archimbaud, Francis Bacon: In Conversation with Michel Archimbaud, Phaidon, London, 1993,
p.163.
194 M. Cappock, “Finding Order in Chaos: Francis Bacon’s Studio Content”, in Francis Bacon's Studio
at the Hugh Lane, Hugh Lane Municipal Gallery of Modern Art editions, Dublin, 2001, p. 26.
195 Cfr. M. Harrison, In Camera: Francis Bacon: Photography, Film and the Practice of Painting, Thames
& Hudson, London, 2005.
196 Cfr. D. Sylvester, Interviste a Francis Bacon, Skira, Milano, 2003; L’intervista realizzata nello studio
di Bacon effettuata dal giornalista David Sylvester per il documentario Fragments of a Portrait è consultabile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=xoFMH_D6xLk (consultato il 13 luglio 2015).
dell’atelier senza però che l’artista dia nessuna prova della sua abilità pittorica.197
Queste riprese, così come le altre immagini dello studio effettuate da diversi fotografi che hanno avuto la possibilità di accedervi, anche dopo la morte di Bacon, si sono dimostrate particolarmente utili per la ricostruzione del suo atelier. A tal proposito si annoverano gli scatti realizzati nel 1998 dal fotografo inglese Perry Ogden, il quale impiegò tre giorni per immortalare lo studio prima che questo fosse smantellato e ricostruito a Dublino. Il fotografo tuttavia ha specificato di non aver documentato ogni singolo centimetro dello studio, ma solamente lo strato più superficiale, ovvero quello che emergeva agli occhi degli spettatori: «I didn’t photograph all the items, only the surface. I didn’t want to touch - or undo - anything. My approach was forensic; later a team went in to do an archaeological dig and worked there way down to the floor! On the surface there were many fascinating items including Peter Beard and John Deakin photographs; books - or pages torn from books - on Seurat, Velasquez, Van Gogh, Rodin and others; a book with photographs of cricket; another on bullfighting».198
Un elemento che ha destato particolare attenzione all’interno dello studio di Bacon è la presenza di un ingente quantitativo di polvere, che secondo lo scrittore Daniel Farson indicava il fatto che l’artista non avesse mai pulito gli ambienti, non tanto per una scarsa considerazione igienica ma piuttosto per poter utilizzare la polvere nei suoi dipinti.199 Secondo lo storico dell’arte Elio Grazioli, la polvere rappresentava per Bacon
molto più che un semplice ingrediente da mescolare ai colori, configurandosi come un
197 L’intervista nello studio di Bacon effettuata dal giornalista Melvyn Bragg per il The South Bank Show
è consultabile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=VfTgEKQj0Dk (consultato il 13 luglio 2015).
198 K. Gunther, “Interview: Perry Ogden on Documenting Reece Mews”, in SuperMassiveBlackHole,
Issue 18, 2014, p. 20.
199 Cfr. D. Farson, The Gilded Gutter Life Of Francis Bacon: The Authorized Biography, Vintage Books,
qualcosa di «[…] indefinibile, […] una materia fresca e duratura, se non addirittura “eterna”».200
Ad ogni modo, la polvere nello studio di Bacon è stata ritenuta talmente importante da essere stata accuratamente preservata durante la ricostruzione dell’atelier.201 Anche i
resti di colore sulle pareti dello studio hanno suscitato molto interesse da parte della critica, al punto da essere considerati una sorta di prolungamento del processo creativo dell’artista, caratteristica che lo studioso Jean-Louis Flecniakoska rintraccia anche nell’operato di Giacometti: «Comme Giacometti le fit en son temps, Bacon prolongeait son univers sur les murs de l’atelier marquant ainsi l’espace de la création. L’attachement au lieu, par son envahissement d’images, est une des caractéristiques du comportement des artistes qui, ainsi, se construisent un univers de leurs propres formes et images mais aussi de leurs ingrédients, de leurs restes, de leurs déjections».202 L’autore precisa che la funzione dell’all’atelier non può essere a quella
di un mero archivio di immagini; esso costituisce piuttosto una raccolta in continua evoluzione, secondo una dinamica che ne permette la consultazione, gestione e accumulazione. È così che il pittore, predatore per natura, sente il bisogno di creare “in compagnia” di altre immagini che sono ambasciatrici di altri pittori, di altre culture. Fotografie, riproduzioni di lavori, ritagli di giornale, oggetti piccoli e grandi, si mescolano senza regole precise secondo un principio che appare puramente caotico.203
200 E. Grazioli, La polvere nell’arte, Bruno Mondadori Editore, Milano, 2004, p. 124.
201 Cfr. B O’Connor, “Dust and Debitage: An Archaeology of Francis Bacon’s Studio”, in I. A. Russel, A.
Cochrane (eds.), Art and Archaeology. Collaborations, Conservations, Criticisms, Springer, New York, 2014.
202 J.L. Flecniakoska, “L’image dans le secret de l’atelier”, in Revue des Sciences Sociales, n.34,
Strasbourg, 2005, p. 16.