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La musealizzazione dell’atelier di Brancus

LA VALORIZZAZIONE MUSEOGRAFICA DELLE DIMORE STORICHE E DEGLI STUDI D’ARTISTA

2.3. Ricostruzione dell’atelier d’artista in contesti diversi da quello originario 1 Il caso dell’atelier di Brancusi a Parig

2.3.2. La musealizzazione dell’atelier di Brancus

Quando nel 1946 iniziarono a paventarsi le prime minacce di sgombero dell’intera Cité d’Artistes per fare spazio all’ampliamento dell’ospedale Necker, Brancusi avvertì il pericolo di doversi spostare dal quartiere nel quale operava ormai da decenni. Per questo motivo, nel 1956, un Brancusi stanco e malato, con l’intento di salvaguardare il suo studio e le sue opere, decise di donare l’intero atelier allo Stato Francese ponendo come unica clausola il fatto che questo fosse mantenuto esattamente nelle condizioni in cui si trovava al momento del lascito.166

165 Man Ray, Autoritratto, Mazzotta ed., Milano, 1981, p. 172.

In seguito alla sua morte, avvenuta nel 1957, si decise tuttavia che, viste le precarie condizioni dell’edificio, le opere dovessero essere spostate per questioni di sicurezza e che lo stabile dovesse essere demolito, come effettivamente accadde nel 1961. Lo Stato Francese, per cercare di rispettare quanto più possibile la volontà di Brancusi, iniziò quindi a pensare a uno spazio che fosse in grado di accogliere l’imponente collezione di opere, da esporre nell’identico modo in cui Brancusi le teneva conservate nel suo atelier. Tra le soluzioni prospettate ci fu anche quella di acquisire uno dei numerosi locali presenti nel quartiere Ronsin, operazione che tuttavia si dimostrò impraticabile per via del fatto che l’intera zona fu completamente espropriata in favore dell’ospedale.167

I tentativi di ricostruzione e allestimento dell’atelier di Brancusi furono tre. La prima esperienza di ricostruzione risale al 1962 ed è quella effettuata presso il Palais de Tokyo su iniziativa del curatore capo del Musée National d'Art Moderne, Jean Cassou. In questa occasione si decise di esporre solamente parte delle opere della collezione in quanto gli spazi si dimostrarono piuttosto inadatti.168 Infatti, benché molte delle

sculture venissero sistemate secondo la loro posizione originale, il risultato finale non ricordava affatto l’atelier di Brancusi, per via di evidenti difficoltà strutturali rappresentate ad esempio dai soffitti troppo bassi, che di fatto non permisero ad alcune opere di rientrare nell’allestimento, così come anche le pareti e i pavimenti in parquet verniciato e l’illuminazione artificiale dell’ambiente risultavano in netto contrasto con

167 P. Balmas, “Atelier Brancusi”, in A. B. Oliva, Musei che reclamano attenzione. I fuochi dello sguardo,

Gangemi Editore, Roma, 2005, p. 155.

168 G. Amado, “The Musealisation of the Studio: Three Case Studies [Brancusi, Schwitters, Bruscky]”,

in Conference Proceedings, Musealisation Processes. An International Research Seminar, University of Porto (Portugal), 2014 p. 471.

quanto avveniva nello studio di Brancusi in cui la luce era principalmente naturale grazie ai grandi lucernari.169

L’allestimento dell’atelier Brancusi presso il Palais de Tokyo rimase in piedi fino al 1977, data in cui l’intera collezione fu ricollocata nel Beaubourg, all’interno di una struttura prefabbricata, adiacente al nascente Centre Pompidou, museo d’arte contemporanea progettato da Renzo Piano.170

La seconda versione dell’atelier è stata dunque realizzata all’interno di una struttura che tendeva a soddisfare quanto più possibile la volontà di Brancusi, sia dal punto di vista delle architetture sia da quello della disposizione degli ambienti. Un elemento di particolare interesse di questa ricostruzione dell’atelier, che non troverà replica nella successiva, è dato dal fatto che le opere erano esposte senza alcun tipo di protezione o distanziatore nei confronti del pubblico che poteva così circolare tranquillamente all’interno degli ambienti.171

Dopo la chiusura avvenuta in seguito all’alluvione del 1990, la necessità di dare vita a una nuova costruzione che potesse degnamente accogliere in via permanente le opere di Brancusi, nel rispetto della sua volontà testamentale, spinse i vertici del Musée National d'Art Moderne e del Centre Pompidou ad affidare l’incarico di progettazione a Renzo Piano per la realizzazione di un nuovo modulo costruttivo.

La struttura, inaugurata nel 1997, ricalca i volumi e le dimensioni dell’originale studio di Brancusi e si presenta come un padiglione climatizzato costruito in travertino e vetro, poggiante su un basamento in granito, adagiato sul lato nord della piazza Pompidou.

169A. Barthel, “The Paris Studio of Constantin Brancusi: A Critique of the Modern Period Room”, in Future

Anterior, N°III, 2006, p. 37.

170 Tuttavia la struttura venne chiusa nel 1990 a causa di problemi di sicurezza e manutenzione legati

alla catastrofica alluvione avvenuta quell’anno.

Cfr https://www.centrepompidou.fr/en/Collections/Brancusi-s-Studio

171 Si veda J. Wood, “The studio in the gallery?”, in S. MacLeod (ed.), Reshaping museum space,

Gli ambienti che contengono le opere, a cui si giunge dopo aver attraversato il giardinetto e la sala accoglienza, non sono di fatto accessibili per via delle grandi teche vetrate che fungono da barriera tra i visitatori e le opere (fig. 3).

La ricostruzione dell’atelier è avvenuta in maniera minuziosa, anche e soprattutto per quanto riguarda la disposizione delle sculture, delle fotografie e dei vari strumenti di lavoro che l’artista utilizzava per la creazione delle sue opere. L’operazione di musealizzazione ha riguardato una totalità di 137 sculture, 87 basamenti, 41 disegni, 2 dipinti alle quali sono stati aggiunte numerose fotografie e lastre di vetro provenienti dalla collezione privata di Brancusi.172

La disposizione delle opere nel modo esatto in cui le aveva collocate Brancusi è stata resa possibile anche grazie al corposo corredo di fotografie scattate all’atelier dallo stesso artista,173 come specificato anche da Mariel Tabart, conservatrice all’epoca

dell’Atelier Brancusi «Grâce aux nombreuses photographies qu'il a faites, on connaît le regard que lui même portait sur son travail, l'importance du lieu, de l'éclairage».174

Per quanto riguarda invece il percorso espositivo, il museo si suddivide in quattro spazi contigui e comunicanti tra loro, disposti secondo quella che era l’originale collocazione all’interno dell’atelier Brancusi (figg. 4-5). Il primo spazio, denominato atelier 1, è il più grande e si trova subito dopo la biglietteria. Al suo interno sono collocate le colonne senza fine, i basamenti, le sculture fluide in ottone o in marmo lucido, i busti stilizzati e

172 Cfr. https://www.centrepompidou.fr/es/Colecciones/Taller-de-Brancusi

173 In merito al contributo fornito dalle fotografie all’operazione di lettura e ricostruzione dell’atelier

appare interessante anche quanto riportato dalla studiosa Sarǎu «Les photos de Brancusi permettent aussi de saisir toute une série de décisions prises par l’artiste et des modifications du statut de l’oeuvre plastique. (…) Seules les photos peuvent encore rendre aujourd’hui le caractère véritable de l’évolution de l’atelier, le chef d’oeuvre de son art.». R.C. Sarǎu, “L'atelier Brancusi – de l'espace privé à l'espace public”, in Communication and Argumentation in the Public Sphere 1, 2007, pp. 197-198.

174 “Entretien avec Marielle Tabart”, in L'Atelier Brancusi, 30 janvier 1997: Réouverture de L'Atelier

Brancusi, Centre Georges Pompidou, dossier de press, Paris, 1997, p. 10. https://www.centrepompidou.fr/cpv/resource/c8ERoe4/rpgqMd9 (scaricato il 12 giungo 2015).

gli uccelli sospesi. Il secondo atelier, di dimensioni inferiori rispetto al primo, rappresenta il punto di congiunzione tra il primo e il terzo ambiente che, osservati in pianta, risultano in posizione antitetica tra loro. L’Atelier 3 contiene gli strumenti da lavoro di Brancusi mentre nel corridoio che unisce gli Atelier 2 e 3 è possibile osservare, attraverso un percorso fotografico, lo studio originale e il progetto di ricostruzione. Infine nell’Atelier 4 sono custodite altre opere dell’artista che chiudono il percorso espositivo. Al giardino posto all’esterno dello studio è stato invece assegnato l’importante compito di richiamare le atmosfere di impasse Ronsin e di rafforzare la distanza tra l’atelier e il mastodontico Centre Pompidou. Il direttore del Museo nazionale d’arte moderna German Viatte ribadisce in un’intervista come tra i compiti ascritti al giardino ci siano anche quelli di emozionare il pubblico e di evocare l’atmosfera intima e riservata in cui l’artista operava: «Le visiteur pourra ainsi venir s'asseoir dans le jardin, avant ou pendant la visite, y revenir ensuite s'il le souhaite. […] Il est indispensable de restituer la structure du lieu avec le sentiment qui l'accompagne, comme pour une pièce de théâtre. Faute de participer pleinement au rituel, le visiteur va bénéficier d'une qualité de perception, d'approche et de lumière telle qu'il repartira avec une émotion».175

2.3.3. Una riflessione in merito alle dinamiche di musealizzazione dell’atelier di