1. L’ EVOLUZIONE DELLA POLICY
3.4 L A CATTURA DEL REGOLATORE
Citando Mitnick, la regolazione è “una restrizione intenzionale dell’ambito di scelta nell’attività di un soggetto, operata da un’entità non direttamente parte in causa o coinvolta in quella attività”241. Si tratta, quindi, di una conduct regulation, che orienta le
condotte dei soggetti che operano nei mercati242. L’autonomia scientifica della scienza
della regolazione susseguì lo studio delle prime leggi statunitensi sulle ferrovie e sulle
franchises municipali e portò allo sviluppo delle teorie del public interest, quelle teorie che
vedevano nella regolazione economica lo strumento attraverso il quale lo Stato poteva rimediare ai fallimenti del mercato nella tutela dell’interesse pubblico243. Questa teoria
inizia a vacillare negli anni Venti e Trenta del Novecento, con la crescente attenzione al singolo e alla società intesa come insieme di interessi individuali244. Questa inversione di
paradigma penetra anche nelle teorie della regolazione che, interiorizzate nel celebre articolo di Joseph Stigler, gettano le fondamenta di quella che sarà chiamata la regulatory
capture theory.
L’idea centrale della teoria della cattura era che in alcuni casi il regolatore venisse ‘catturato’ dall’impresa regolata. Il regolatore, mentre formalmente mira alla massimizzazione del interesse generale, è invece molto influenzato dall’interesse di soggetti privati regolati. Quello che al giorno d’oggi sembra quasi banale, è stato per l’analisi economica del diritto un mutamento di paradigma rivoluzionario. Alla luce della teoria della cattura del regolatore, infatti, possono esser costruiti meccanismi che stemperino o regolino l’influenza dei privati nei processi di decision-making. Il ponte teorico alzato dalla nuova attenzione agli interessi individuali ha permesso a Stigler di proporre una nuova definizione della regolazione, ora intesa come uno strumento che “is acquired by the industry and is designed and operated primarily for its benefit”245.
241 Vedasi Mitnick, B.M. (1980), The Political Economy of Regulation, New York: Columbia University Press, pp. 1 ss., citato in La Spina, A. e Majone, G. (2000), Lo Stato regolatore.
242 Vedasi Der Hertog, J. (1999), ‘General Theories of Regulation’, Encyclopaedia of Law and Economics, citata in D’Alberti, M. (2006), Diritto pubblico dei mercati e analisi economica, paper presentato al convegno ‘Analisi economica e diritto ammnistrativo’, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 28-29 settembre 2006. 243 Tra tanti, cfr. Levine, M.E. e Forrence, J.L. (1990), ‘Regulatory Capture, Public Interest, and the Public Agenda: Toward a Synthesis’, Journal of Law, Economics & Organization, 6, pp. 167–198, pp. 168–170 ss. 244 V. D’Alberti, M, Op. ult. cit., p. 11.
245 Vedasi Stigler, J. (1971), ‘The theory of Economic Regulation’, Bell Journal of Economics and Management Science, 2, pp. 3–21, p. 3, cit.
Non a caso, la teoria della cattura si sviluppò di pari passo con la teoria della public choice – formalizzata da James Buchanan e Gordon Tullock246 – per la quale il decision-maker
non è altro che un individuo che mira a massimizzare il suo potere, prestigio e la sua influenza, anche nel momento delle decisioni di regolazione.
L’intreccio della teoria della public choice e della regulatory capture, descrivendo come le decisioni vengono prese e come nei processi decisionali si celino lotte intestine tra interessi privati contrastanti, forniscono agli studiosi delle scienze sociali e, soprattutto, agli studiosi delle public policies, gli strumenti teoretici necessari per la configurazione di
regulatory frameworks e di strutture del mercato che tengano conto di queste dinamiche.
Date certe caratteristiche degli interventi di policy, ci si potrà aspettare una più o meno alta propensione al cambiamento e conseguenti frizioni al riassetto degli equilibri tra interessi privati. Se, ad esempio, si riprende la classificazione di J.Q. Wilson247 in
termini di costi e benefici di una policy, e la si applica al paradigma public choice – regulatory
capture, si può prevedere l’entità degli ostacoli che una policy dovrà affrontare per superare
le dead valleys che separano i) la fase di agenda-setting dalla fase di formulazione della politica coerentemente ai problemi di policy e ii) la fase di formulazione da quella di implementazione.
Se si considera la società come un aggregato di interessi privati – che è l’assunzione tipica dell’individualismo metodologico della public choice theory –, un intervento di policy può avere dei costi per un certo gruppo di individui e dei benefici per un altro. Le politiche di liberalizzazione, abolendo le posizioni monopolistiche di rendita e rendendo il mercato più efficiente, possono essere intese come politiche a benefici diffusi. Nella fattispecie del trasporto ferroviario e stando alle teorie che supportano politiche di liberalizzazione, i consumatori e gli utenti nella loro interezza potrebbero fruire di un servizio migliore a prezzi più bassi. Allo stesso tempo, però, gli operatori storici che vedono erodersi le loro quote di mercato e sgretolarsi le trame di interessi costruite in decenni di attività esclusiva subiranno un grosso svantaggio, che pagheranno
246 Cfr. Buchanan, J.M. e Tullock, G. (1962), The Calculus of Consent: Logical Foundations of Constitutional Democracy, Indianapolis: Liberty Fund.
247 Wilson, J.Q. (1973), Political Organizations, New York: Basic Books. In particolare, v. il capitolo finale in cui le public policies sono classificate a seconda del loro grado di concentrazione/dispersione dei benefici e dei costi dell’intervento pubblico, fornendo uno schema scientifico sul processo politica pubblica – gruppi di interesse – formulazione della policy – implementazione – successo(?).
ad un costo elevato. La politica di liberalizzazione del trasporto ferroviario, allora, può esser qualificata come una politica pubblica a costi concentrati e benefici diffusi.
Così, nel caso di una politica pubblica a costi concentrati e benefici diffusi, in cui vi è una forte coalizione che si pone a tutela dello status quo, sarà più facile per il regolatore esser catturato dall’impresa, poiché lo scontro tra regolatore e impresa avrebbe un impatto distruttivo sul mantenimento del potere e dell’influenza che il policy-maker vuole massimizzare248. Non deve sorprendere, in definitiva, l’ostruzionismo normativo messo
in piedi dal regolatore nell’ostacolare l’instaurazione di un modello di concorrenza per il mercato nel trasporto ferroviario regionale.
Lo studio del frammentato quadro regolativo del mercato ferroviario regionale e, in particolare, dei numerosi elementi di incoerenza e la dinamica altalenante dei ripetuti interventi in tema di affidamento del servizio tramite procedure concorsuali, le forme di trattamento privilegiato nei confronti dell’incumbent, nonché le pratiche ragguardevoli dell’interpretazione delle norme e dei provvedimenti autorizzatori emblematicamente racchiusi nel caso Arenaways, hanno mostrato come la tentazione di ritenere che la politica di liberalizzazione del trasporto ferroviario sia stato – o sia ancora – catturata dal regolato è forte249.
Il quadro regolatorio del mercato ha così bisogno di un nuovo paradigma, che trascendo l’abuso dello strumento legale/coercitivo, ma che orienti le condotte degli attori di policy in modo che questi siano incentivati a seguire autonomamente l’evoluzione ideale della politica di liberalizzazione. A ben vedere, il policy-maker non deve guardare molto lontano per trovare fonte di ispirazione per i suoi interventi di policy. La stella polare del legislatore che guidi la definizione del quadro normativo e, latamente, il perimetro del suo ruolo nel mercato si trova nel principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale.
248 Per M. Olson, gruppi di individui numerosi la cui sommatoria delle utilità è superiore di quella di gruppi poco numerosi possono vedere i propri interessi messi messi da parte per dar priorità agli interessi di piccoli gruppi organizzati. Si tratta del noto dilemma dell’azione collettiva. I gruppi di piccole dimensioni, facendo forza su più incisive forme di controllo inter-individuale, possono esser più efficaci di quelli più numerosi nel difendere le proprie istanze. Cfr. Olson, M. (1965), The Logic of Collective Action:
Public Goods and the Theory of Groups, Cambridge: Harvard University Press, trattato in Espa, E. e La Spina,
A. (2011), Analisi e valutazione delle politiche pubbliche, pp. 75 ss.
249 In senso affermativo, v.si Benedettini, S. e Stagnaro, C. (2014), ‘Il trasporto ferroviario regionale: tracce di concorrenza?’, p. 328.
Accanto alla nota accezione verticale del principio di riparto delle funzioni amministrative, vi è quella – orizzontale – che mira a perimetrare la sfera pubblica e quella privata per lo svolgimento di “attività di interesse generale”, favorendo “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati” (art. 118 Cost., ultimo comma).
Spesso, la lettura del principio ha condotto a interpretazioni svalutative della sua portata innovativa250. Da esso, come sostiene parte della dottrina251, deve dedursi che gli
enti territoriali sono legittimati ad esercitare le attività di interesse generale in quanto il privato (inteso come settore) non sia in grado di dare ad esse adeguata copertura. L’intervento pubblico sarebbe concepito, allora, come un subsidium a cui ricorrere dopo aver appurato che il privato non basti.
250 Ad esempio, v. decisione TAR Sardegna, Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 2407. Tale decisione ritiene che vi sia un “dovere di intervento dei pubblici poteri ove gli individui [...] non abbiano la capacità di provvedere da sé alle proprie necessità” ma che non vi sia un “dovere di astensione [...] laddove le forze individuali [...] siano in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente”, cit.