1. L’ EVOLUZIONE DELLA POLICY
2.2 L’ UNBUNDLING DEL GRUPPO F ERROVIE DELLO S TATO
2.2.1 Il divorzio tra Stato e incumbent
La riforma delle Ferrovie dello Stato fu un processo lungo, che iniziò con la trasformazione dell’azienda autonoma in ente pubblico per mezzo della legge n. 210/1985. L’obiettivo era migliorarne la performance gestionale e finanziaria. Tuttavia, questa autonomia formale non portò i risultati sperati, lasciando le Ferrovie in balia delle influenze partitiche, che le utilizzarono come interminabile fonte di occupazione in una logica totalmente deresponsabilizzante. Il risultato fu che negli anni Ottanta il costo del lavoro rappresentava l’80% dei costi operativi totali160.
Nel 1990 si avviò un’ulteriore fase di ristrutturazione del gruppo lungo tre direttrici. La prima interessò il riassetto interno dell’ente, che comportò una rapida aziendalizzazione, tagli all’organico attraverso accordi di prepensionamento e la trasformazione in società per azioni. La privatizzazione – la seconda direttrice –, avvenuta con la delibera del CIPE dell’agosto 1992, aveva l’obiettivo di iniziare una trasformazione in senso privatistico della gestione dei servizi ferroviari. Venne data piena
160 Cfr. Di Giulio, M. (2015), ‘Reshaping State Structure and Strategy: The Reform of Railway Policy in Germany and Italy’, International Journal of Public Administration, 39(3), pp. 226–237, p. 233.
autonomia contabile alle differenti aree gestionali attraverso la separazione societaria della gestione della infrastruttura e della rete e la costituzione della holding Ferrovie dello Stato: la terza direttrice. Nacquero così, a seguito del d.m. 138T/2000, Trenitalia S.p.A. (nel 2000) e Rete Ferroviaria Italiana (RFI) (nel 2001)161. Garantita l’indipendenza e
l’autonomia del gruppo, l’Italia divenne compliant rispetto alle richieste dalla policy europea, per cui le imprese ferroviarie dovevano essere indipendenti rispetto allo Stato sia sotto il profilo gestionale sia sotto quello contabile, dovendo esser dotate di patrimonio, bilancio e contabilità separati162.
Attualmente Trenitalia S.p.A. e RFI S.p.A. sono possedute, insieme ad altre società operative, al 100% dalla holding FS, che è a sua volta interamente di proprietà dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Si tratta quindi di una società privata a totale partecipazione pubblica. Tuttavia, negli anni a venire il perimetro della proprietà pubblica potrebbe restringersi; il gruppo FS rientra infatti tra i destinatari del piano di privatizzazioni del governo Renzi. In un comunicato stampa del 23 novembre 2015, il governo annunciava l’intenzione di cedere il 40% delle quote di FS al fine di attuare una “riforma strutturale del trasporto pubblico [garantendo, n.d.a.] più efficienti servizi per i cittadini”, rafforzando FS e continuando il processo di estensione sui mercati esteri. Il 16 maggio 2016 il Consiglio dei Ministri si è riunito per approvare la definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta dal MEF.
Dallo spoglio del quotidiano Il Sole 24 Ore, sembra comunque che la ridefinizione proprietaria attraverso l’ingresso in Borsa dovrà attendere almeno il 2017, dopo che saranno stati risolti i molti nodi legati alla quotazione163. Il pomo della
discordia, su cui le divergenze di vedute tra i diversi organi del MEF e di FS portarono alle dimissioni in blocco del consiglio di amministrazione e dell’ex Presidente di FS il 26 novembre 2015, è rappresentato dalle sorti dell’infrastruttura. Possono esser distinte due diverse posizioni riguardo alle modalità di privatizzazione del gruppo: i) la prima è incentrata sulla sola cessione di una quota di minoranza, lasciando per il momento
161 Vedasi Tebaldi, M. (2011), ‘La riforma dei trasporti ferroviari in Italia: modello originario, processi di istituzionalizzazione e profili evolutivi’, in Tebaldi, M. (a cura di), La liberalizzazione dei trasporti ferroviari, Bologna: il Mulino, pp. 71–128, pp. 76 ss.
162 Artt. 4 e 5, direttiva 1991/440/CE, poi rifusi negli artt. 4 e 5 dir. 2012/34/UE.
invariato il controllo pubblico e l’assetto del gruppo; ii) la seconda, invece, interessa una profonda riorganizzazione di FS attraverso la dismissione delle società in grado di operare autonomamente nel mercato e mantenendo la proprietà della rete interamente in mano pubblica, per garantire quegli investimenti e quella gestione di lungo periodo per i quali il mercato e società private, che guardano generalmente ad un arco temporale più breve, non sarebbero in grado di garantire164.
L’attuale amministratore delegato del gruppo, Renato Mazzoncini, ha affermato in una audizione al Senato di essere contrario ad una separazione proprietaria tra RFI e Trenitalia. Il 22 marzo 2016, riferendo in Commissione Trasporti della Camera dei Deputati, Mazzoncini ha affermato che “qualora si decidesse la quotazione in Borsa di Ferrovie dello Stato Italiane e si trasferisse la rete ferroviaria al demanio, si avrebbe come conseguenza quella di indebolire FS”. Le ragioni sono chiare: RFI è allo stesso tempo proprietaria e concessionaria della rete, il cui valore (circa 26 miliardi di euro) è la parte preponderante del patrimonio totale di FS ed è inserito nel bilancio consolidato del gruppo165. Così, l’uscita di RFI e la consistente riduzione del patrimonio totale che ne
conseguirebbe avrebbero un disastroso impatto sulla capacità contrattuale di FS. “Quando andiamo in banca per finanziare le grandi opere – sempre secondo l’argomentazione di Mazzoncini – ci danno tassi bassissimi perché abbiamo questo grande patrimonio”. Scorporare la rete ferroviaria dal gruppo è una delle alternative su cui i vertici di FS, del MEF e del MIT si stanno confrontando. Prima di definire le modalità, i tempi e le quote da aprire agli investitori, si dovrà attendere la definizione del nuovo piano industriale e la definizione del futuro dell’infrastruttura166.
Occorre ricordare che la normativa europea, come recepita dal d.lgs. n. 112/2015 (art. 16, comma 1), richiede che la gestione della rete non possa dare un tasso di rendimento di mercato, ma che i ricavi che ne derivano devono coprire i costi di gestione e un piccolo margine per l’ammortamento degli investimenti. Quindi, il tasso di
164 Cfr. Brescia Morra, C. (2015), Op. ult. cit., pp. 399–400.
165 Nel conto patrimoniale di RFI del 2015, gli ‘immobili, impianti e macchinari’ hanno un valore di 33,8 miliardi di euro, a fronte di un totale di attività patrimoniali di 39,9 miliardi. L’infrastruttura rappresenta l’84% dell’intero patrimonio di RFI. Parimenti, il valore patrimoniale dei ‘mezzi propri’ iscritti nel bilancio consolidato di FS (37,9 mld) rappresenta l’85% delle attività patrimoniali della holding. Si vedano il bilancio consolidati 2015 di FS e il bilancio 2015 di RFI.
166 Resoconto dell’audizione informale dell’Amministratore Delegato di FS presso la IX Commissione Trasporti della Camera dei Deputati disponibile sul sito internet delle Ferrovie dello Stato Italiane al link: <http://www.fsnews.it/fsn/Gruppo-FS-Italiane/Mazzoncini-e-le-sfide-di-FS>.
rendimento relativo alla gestione della rete, al netto dell’ammortamento degli investimenti, deve approssimare lo zero. È evidente che se si dovesse cedere una quota della holding senza scorporare la rete, questa cessione si fonderebbe su un importante asset patrimoniale con un rendimento molto peggiore rispetto a quelli di mercato. “Questo sembra un problema irresolubile – afferma l’ex Presidente FS, Marcello Messori – se non mediante la separazione della rete o mediante l’assunzione della decisione molto radicale e, a mio avviso, molto problematica di ridurre il valore in bilancio del patrimonio legato alla rete”167.
Allo stato attuale, con la privatizzazione solo formale del gruppo FS e con lo Stato nella veste di unico proprietario è difficile immaginare come le strategie aziendali possano essere completamente immuni a quegli indirizzi politici che nel disegno di policy europea e nazionale dovevano – almeno formalmente – esser neutralizzate. Questo è avallato dalle regole del codice civile che disciplinano i poteri dell’azionista di società commerciali e, quindi, anche di Ferrovie. Il decreto di recepimento della direttiva ‘recast’, che disciplina in modo onnicomprensivo il settore ferroviario, prevede infatti che gli azionisti delle imprese ferroviarie detenute dallo Stato possono condizionare le principali decisioni relative alla gestione dell’impresa alla loro approvazione preventiva “al pari degli azionisti di società per azioni private in virtù del diritto societario italiano”168.
La parziale privatizzazione sostanziale di una quota non superiore al 40% delle azioni del gruppo FS non sembra abbia effetti sui poteri direttivi e di controllo dello Stato. Nella relazione illustrativa del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, approvato il 16 maggio 2016, viene ricordato come i proventi derivanti dall’operazione di alienazione delle azioni saranno destinati al fondo di ammortamento del debito pubblico. È difficile, dunque, ricomprendere la futura quotazione di FS in una prospettiva di ristrutturazione di lungo periodo del gruppo, svincolata da indirizzi politici e da logiche – legali o politiche – di spoil system. Non va dunque dato per scontato che processi di privatizzazione – formali o anche sostanziali – conducano ineluttabilmente alla piena autonomia dell’azienda169. Il divorzio tra Stato e incumbent è ancora di là da
167 Intervista al Prof. Marcello Messori, ex Presidente del gruppo FS, in data 13 giugno 2016. 168 Art. 4, comma 5, d.lgs. n. 112/2015.
venire e, di fatto, le logiche imprenditoriali di governance del gruppo Ferrovie dello Stato possono ancora esser minacciate da ingerenti pressioni politiche.