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Causalità e pronostici.

Nella seconda serie delle Curiosities of Literature, D’Israeli affronta direttamente il tema della “Prediction”, legato fin dall’antichità alla storia controfattuale e che può emergere dalle ricerche sulla storia segreta. Significativamente lo scrittore evoca il ritratto di Temistocle proposto da Tucidide nella Guerra del Peloponneso, che rende esplicito ciò che nelle Storie di Erodoto si legge senza difficoltà dietro l’elemento metafisico degli oracoli: «he far surpassed all in his deductions of the future from the

past; or was the best guesser of the future from the past» (corsivi di I.D.). Nelle Storie

l’interpretazione della parola divina è in se stessa una complessa attività ermeneutica, ma oltretutto Erodoto aggiunge che le navi schierate a Salamina erano state costruite su

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indicazione dello stesso Temistocle. La previsione è quindi un’attività meramente laica, che tende a orientare le scelte e l’azione dando un significato al passato: ciò che è sotteso alla formula di Cicerone historia magistra vitae, ma che è anche lo scopo dei pensieri controfattuali prodotti dagli individui. Il rapporto tra passato, presente e futuro è stabilito dai rapporti causali che D’Israeli scorgeva negli avvenimenti, rapporti che dimostrano una certa regolarità perché dipendono dai tratti universali della natura e dell’esperienza umana: «human affairs make themselves; they grow out of one another, with slight variations; and thus it is that they usually happen as they have happened. The necessary dependence of effects on causes, and the similarity of human interests and human passions, are confirmed by comparative parallels with the past». Ciò non comporta il determinismo, ma al tempo stesso gli errori previsionali non negano la regolarità dei fenomeni: «even when the event does not always justify the prediction, the predictor may not have been the less correct in his principles of divination. The catastrophe of human life, and the turn of great events, often prove accidental». In questo modo D’Israeli tiene insieme il concetto di probabilità causale, definito a partire dall’esperienza e dalla conoscenza, e quello di casualità o contingenza; il che fa della

previsione «an imperfect science»214. A ben vedere, le speculazioni controfattuali

implicano entrambi i concetti. Il contingente è spesso invocato nelle critiche del determinismo storico espresse via counterfactuals, dimostrando che un certo evento del passato fu “quasi” sul punto di avere un esito opposto e che da ciò sarebbero potuti derivare effetti talvolta eclatanti. Tuttavia avrebbe poco senso congetturare su esiti alternativi se non fosse possibile giustificarli invocando una certa “esperienza” dei processi storici. L’idea che gli arabi potessero sconfiggere i franchi di Carlo Martello a Tours, nel 732, è motivata da D’Israeli ricordando che pochi anni prima, in modo altrettanto repentino, essi si erano impadroniti della Spagna. L’unico modo per sottrarsi davvero al giudizio di arbitrarietà delle ipotesi controfattuali sembra quello di ammetterla, rivendicando la stessa ipotesi non come l’espressione di una concreta probabilità, bensì come un racconto esemplare il cui significato è soprattutto etico: la via seguita da Renouvier in Uchronie. Ma a questo si potrebbe obiettare che se non fosse percepita ad alcun livello come plausibile, la stessa ipotesi avrebbe scarse capacità persuasive; e di fatto lo stesso Renouvier riprodusse una “logica delle cose” che ai suoi contemporanei poteva apparire familiare.

Una storia «degli eventi che non sono accaduti».

Vi sono quindi stretti rapporti tra la «history of the events which have not happened» e la «secret history» praticata da Isaac D’Israeli nella seconda serie delle “curiosità”; ma vi è anche un rapporto più generale con lo spirito dell’opera, una ricerca eclettica ed erudita tra le pieghe della cultura storica, politica e letteraria, i cui dati meno conosciuti offrono numerose occasioni speculative. Ma se la storia segreta era un genere noto ai

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contemporanei, ancorché «imperfectly comprehended» e fatto oggetto di satira, quella che oggi chiamiamo controfattuale era senz’altro più sconosciuta, il che spiega perché l’autore, nell’introdurre l’argomento, ne dichiari subito anche il valore: «such a title might serve for a work of not incurious nor unphilosophical speculation, which might enlarge our general views of human affairs, and assist our comprehension of those

events which are enrolled on the registers of history»215. Contrariamente a un’opinione

alquanto diffusa, ben oltre la sua epoca, D’Israeli spiega che gli eventi mai accaduti possono arricchire, oltre alla «visione generale» delle cose umane, la comprensione degli eventi che sono accaduti.

Come al tempo Erodoto e Tito Livio, anche D’Israeli fa procedere la sua argomentazione convocando un interlocutore polemico: «some mortals have recently written history, and "Lectures on History", who presume to explain the great scene of human affairs, affecting the same familiarity with the designs of Providence as with the events which they compile from human authorities». Il dibattito non si situa sul piano del giudizio su eventi o figure specifiche del passato, ma su quello più generale dei modelli di spiegazione, segnatamente quello provvidenziale cristiano. D’Israeli osserva che «every party discovers in the events which at first were adverse to their own cause but finally terminate in their favour, that Providence had used a peculiar and particular interference», il che «is a source of human error and intolerant prejudice». Quale esempio cita il gesuita Juan de Mariana, che definì la conquista della Spagna da parte degli arabi, al principio dell’VIII secolo, come l’azione di «a particular providence» che attraverso la momentanea sconfitta del cristianesimo diede vita a una «new and holy Spain, to be the bulwark of the catholic religion». Questa forzatura denuncia un punto di vista del tutto situato nello spazio e nel tempo, e D’Israeli osserva con ironia che non tutti sarebbero disposti a scorgere un piano della provvidenza in ciò che ha permesso «the establishment of the Inquisition, and the dark idolatrous bigotry of that hoodwinked people. […] A protestant will not sympathise with the feelings of the Jesuit; yet the protestants, too, will discover particular providences». Un altro esempio di forzatura ermeneutica al servizio di particolari interessi viene all’autore da «an eminent writer», secondo il quale la sconfitta dei realisti nella guerra civile inglese (Worcester, 1651) fu provvidenziale perché permise ai repubblicani di perfezionare le istituzioni “riconsegnandole” alla corona anni dopo. Considerando la quantità di sciagure che funestarono il regno di Carlo II, tra cui la peste, l’incendio di Londra e due guerre contro gli olandesi, D’Israeli recupera il sarcasmo e osserva che «if Providence conducted Charles the Second to the throne, it appears to have deserted him when there». Questi esempi riconducono al tema introdotto dall’autore presentando l’oggetto del proprio scritto: «without venturing to penetrate into the mysteries of the present order of human affairs, and the great scheme of fatality or of accident, it may be sufficiently evident to us, that often on a single event revolve the fortunes of men and of

nations»216. Mostrando la sproporzione tra cause e conseguenze, le ipotesi controfattuali

aiutano quindi a capire gli eventi «which are enrolled on the registers of history», e nel contempo confutano le spiegazioni provvidenzialistiche. Si è osservato, nel suo articolo

215

I. D’Israeli, “Of a History of the Events Which Have Not Happened”, in op cit, p.330.

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sulle «predictions», che D’Israeli non anteponeva la considerazione dei fattori contingenti o casuali a quella delle regolarità che permettono di prevedere il futuro a partire dal passato; ma l’aleatorietà di certi fenomeni, e la sproporzione tra cause ed effetti, permettono di denunciare l’opportunismo di spiegazioni come quella del gesuita Mariana, che dalla prospettiva dei vincitori giudicava le sconfitte come tappe necessarie e inevitabili.

Teorie a confronto: gli individui, il caso, i processi storici.

D’Israeli fu il primo autore a proporre un discorso su un’attività già praticata da Erodoto, Tito Livio e Lorenzo Pignotti, un discorso che equivale a una giustificazione teoretica laddove gli altri avevano parlato di «piacevole svago» o di «piacevole sogno». “Of a History” non s’addentra nelle questioni di metodo che avrebbero più tardi affrontato Charles Renouvier e, ai nostri giorni, Alexander Demandt, Niall Ferguson e altri ancora, ma la valorizzazione dei “se” storici, anziché la loro svalutazione retorica, è uno degli elementi che fanno l’importanza di “Of a History” nella linea di sviluppo dell’ucronia e della storia controfattuale. Un secondo elemento di importanza deriva dall’erudizione di Isaac D’Israeli, le cui ipotesi originali sono spesso ispirate o almeno messe a confronto con quelle di altri autori. Pur non citando Erodoto, egli parla della digressione su Alessandro di Livio come di un modello da seguire per future speculazioni, senza peraltro nasconderne l’elemento ideologico nel rifiuto, da parte dello storico patavino, di accettare l’idea che «the glory of his nation, which had never ceased from war for nearly eight hundred years, should be put in competition with the career of a young conqueror». D’Israeli cita anche il breve paragrafo di Lorenzo Pignotti, confrontandolo col giudizio di un biografo inglese di Lorenzo de’ Medici, William Roscoe (1796):

«Though Lorenzo de' Medici could not perhaps have prevented the important events that took place in other nations of Europe, it by no means follows that the life or death of Lorenzo was equally indifferent to the affairs of Italy, or that circumstances would have been the same in case he had lived, as in the event of his death. [His] prudent measures and proper representations might probably have prevented the French expedition, which Charles the Eighth was frequently on the point of abandoning. […] A powerful mind might have influenced the discordant politics of the Italian princes in one common defence; a slight opposition to the fugitive army of France, at the pass of Faro, might have given the French sovereigns a wholesome lesson, and prevented those

bloody contests that were soon afterwards renewed in Italy»217.

Roscoe è più prudente di Pignotti nel valutare l’impatto della morte di Lorenzo de’ Medici sulla storia d’Europa; ma pur dubitando che il signore di Firenze avrebbe prevenuto la riforma protestante, egli dimostra che questa ipotesi aveva una certa

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circolazione ben oltre i confini d’Italia. In piena sintonia con lo storico toscano Roscoe è invece laddove afferma che Lorenzo, «called the Magnificent», arbitro e mediatore dei poteri italiani, avrebbe dissuaso Carlo VIII dalla spedizione del 1494. Affiancando i due brani, D’Israeli dimostra che le ipotesi controfattuali erano almeno relativamente diffuse a cavallo tra Settecento e Ottocento, benché nessuno le promuovesse come un vero metodo di valutazione o genere speculativo. L’autore di “Of a History” cita ancora un giudizio di Sismondi che sembra una replica ai primi due e non soltanto, poiché «against the opinion of every historian» il ginevrino sostenne che anche se fosse vissuto più a lungo Lorenzo «could not have prevented the different projects which had been

matured in the French cabinet for the invasion and conquest of Italy»218.

L’ottimamente documentato D’Israeli cita ancora altri brani di autori contemporanei, e ne fa spunto per speculazioni personali. «Mr. Malcolm Laing observes» che se l’autobiografia di Carlo I d’Inghilterra, giustiziato dai repubblicani nel 1649, «had […] appeared a week sooner, it might have preserved the king and possibly have produced a reaction of popular feeling!». E’ un’associazione apparentemente bizzarra, ma D’Israeli ricorda che l’Eikon Basilike, «a sacred volume to those who considered that sovereign as a martyr», apparve solo pochi giorni dopo l’esecuzione del re ed ebbe «fifty editions […] in one year». Sembra un tipico esempio di “curiosità letteraria” che svela possibilità della storia affatto concrete benché non realizzatesi, e suggerisce quale ruolo abbia il caso nel decidere eventi dall’enorme portata. Un’altra «speculation in the true spirit of this article» si deve a John Whitaker e alla sua biografia Vindication of Mary

Queen of Scots (1788): «had this not improbable event [la morte di Elisabetta] actually

taken place, what a different complexion would our history have assumed from what it

wears at present! Mary would have been carried from a prison to a throne»219. Un’altra

prova dell’aleatorietà sottesa alla Grande Storia («so ductile is history in the hands of man! and so peculiarly does it bend to the force of success, and warp with the warmth of prosperity!»), il cui corso viene così spesso piegato a spiegazioni opportunistiche. E’ difficile stabilire quanto le ipotesi controfattuali fossero diffuse nell’Inghilterra di D’Israeli, da cui provenivano molti dei suoi esempi, e soprattutto nell’Europa continentale. Quelli di Roscoe, Sismondi, Pignotti, Laing e Whitaker sono giudizi piuttosto sintetici sparsi in libri di storia di forma tradizionale, e non accompagnati da alcuna considerazione teoretica sulle condizioni di validità delle congetture. In ogni caso, se i discorsi sulla storia controfattuale sono un fenomeno piuttosto recente, la sua pratica potrebbe essere stata più comune di quanto si pensi già due secoli or sono.

218

Ibidem.

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Un bivio dell’Occidente: la battaglia di Tours.

La più estesa tra le speculazioni controfattuali proposte da D’Israeli, sulle possibili conseguenze di una vittoria islamica a Poitiers, sottolinea una volta di più la dipendenza dei macroprocessi storici da singoli episodi che avrebbero concretamente potuto avere un esito opposto, e in questo modo smentisce le interpretazioni provvidenzialistiche più ingenue o più interessate. Dopo avere riassunto i fatti realmente accaduti, l’autore considera:

«Such is the history of one of the most important events which has passed; but that of an event which did not happen, would be the result of this famous conflict, had the Mahometan power triumphed! The Mahometan dominion had predominated through Europe! The imagination is startled when it discovers how much depended on this invasion»220.

La battaglia di Tours-Poitiers fu quindi un autentico bivio dell’Occidente, perché all’epoca «there existed no political state» in Europa che potesse arginare l’avanzata islamica, ma anche perché la vittoria permise a Carlo Martello di consolidare le basi del regno dei franchi. Se avessero vinto i mori, insiste D’Israeli, «the least of our evils had now been, that we should have worn turbans, combed our beards instead of shaving them, have beheld a more magnificent architecture than the Grecian, while the public mind had been bounded by the arts and literature of the Moorish university of Cordova!». E’ un giudizio emesso a lunga distanza dagli eventi, come quello di certi storici contemporanei sulla portata della battaglia di Salamina; una prospettiva che in teoria offre una comprensione più ampia del loro significato. Ma dal punto di vista del metodo il balzo di undici secoli compiuto da D’Israeli, tra il 732 e il presente, sarebbe inaccettabile per chi, come Niall Ferguson o Roland Wenzlhuemer, ha raccomandato di circoscrivere l’ambito delle ipotesi onde prevenirne l’arbitrarietà. D’Israeli si limita a osservare che nell’ottavo secolo nessuno stato-nazione avrebbe potuto arginare l’espansione degli arabi, ma non contempla che in seguito la situazione potesse evolvere a causa di altri fenomeni: egli si limita a stabilire un ponte diretto, una relazione causale tra i due momenti. Questo procedimento ricorda la struttura di molte fiction, più che mai quelle che tramite l’espediente dei viaggi nel tempo pongono un’interferenza minima nel passato alla base di una trasformazione radicale del presente. Quanto alla “divergenza” in sé, D’Israeli ne indica la plausibilità mettendola in relazione alla precedente vittoria dei musulmani nella battaglia di Guadalete del 711, quando «a single battle […] had before made the Mahometans sovereigns of Spain. We see that the same

events had nearly been repeated in France»221. Il paragone sembra fondarsi sull’idea di

regolarità nella storia di cui D’Israeli parla nel saggio «Predictions», e al tempo stesso serve a smentire la tesi provvidenzialista di Juan de Mariana, che si riferiva proprio alla battaglia di Guadalete come alla sconfitta prodroma di un’affermazione assoluta del cristianesimo in Spagna. Se gli arabi si fossero impadroniti anche del regno franco, al

220

Ivi, p.331.

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contrario, nessun re cattolico avrebbe potuto insediarsi nel XV secolo, né del resto vi sarebbe stata una chiesa protestante in Inghilterra. Naturalmente un seguace della provvidenza non avrebbe faticato a rispondere a D’Israeli che ciò, di fatto, non sarebbe mai potuto accadere.

La Riforma e l’età moderna.

Quasi tutte le altre speculazioni dell’autore investono la storia moderna, e in particolare la storia dell’Inghilterra e quella dello scisma protestante, intrecciate nei conflitti per la corona britannica. Una di queste riguarda la rottura di Lutero con il papato, ed è ispirata da un brano di Guicciardini «whose veracity we cannot suspect». Nel XIII libro della

Storia d’Italia, lo storico afferma che sul rifiuto di Lutero di ritrattare alcune delle sue

tesi, quando fu ricevuto da Carlo V a Worms (1521), pesarono in modo decisivo le ingiurie rivoltegli dal legato apostolico Girolamo Aleandro. «By this we may infer», commenta D’Israeli, «that one of the true authors of the reformation was this very apostolical legate. […] In the history of religion, human instruments have been permitted to be the great movers of its chief revolutions; and the most important events concerning national religions appear to have depended on the passions of individuals, and the circumstances of the time». Passioni e circostanze – nel senso qui sottinteso di circostanze episodiche – sono evidentemente fattori aleatori che confermano la non- necessità degli sviluppi storici, perfino quelli epocali come la riforma. Poco tempo dopo, nel 1533, il papa scomunicò Enrico VIII che aveva divorziato da Caterina d’Aragona sposando Anna Bolena, intrecciando strettamente i conflitti dinastici con quelli religiosi. Tre anni dopo, racconta D’Israeli, da Roma partì per Londra una proposta di riconciliazione, che però giunse a destinazione il giorno dopo l’esecuzione della stessa Anna Bolena, che permise a Enrico VIII di sposare in terze nozze Jane Seymour: «from such a near disaster the English Reformation escaped!». Un altro esempio riguarda Gustavo Adolfo re di Svezia, morto in Sassonia durante la guerra dei trent’anni: «had not perished in the battle of Lutzen, […] unquestionably a wonderful change had operated on the affairs of Europe; the protestant cause had balanced, if not preponderated over, the catholic interest». Effetto non di fenomeni accidentali, ma di un puro errore politico furono le conseguenze dell’intervento inglese deciso da Oliver Cromwell nella guerra franco-spagnola: «the great political error of Cromwell is acknowledged by all parties to have been the adoption of the French interest in preference to the Spanish; a strict alliance with Spain had preserved the balance of Europe, enriched the commercial industry of England, and, above all, had checked the overgrowing power of the French government». Il ridimensionamento della Francia, «perhaps to a secondary European power», e la nascita di una nazione degli ugonotti,

secondo lo scrittore «had saved Europe from the scourge of the French revolution!»222.

Tutti questi episodi mostrano come non vi fu in effetti nulla di inevitabile nella serie degli eventi che fecero la storia moderna d’Inghilterra e d’Europa. I capricci di un

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nunzio papale, l’orgoglio di Lutero, un dispaccio giunto in ritardo, una morte in battaglia, un errore nelle strategie di alleanza ebbero enormi conseguenze: nondimeno cattolici e protestanti, realisti e repubblicani, inglesi e francesi, ciascuno tende a scorgervi l’azione di una “provvidenza particolare”, di solito a favore della propria fazione. D’Israeli associa questo atteggiamento alle spiegazioni miracolose di eventi più remoti che gli studiosi moderni avevano già definito come giustificazioni di scelte fatte per interesse politico. Come l’editto di Costantino: «the motives and conduct of