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I Pensieri di Pascal.

Il pensiero 162, o piuttosto il frammento che qui è messo in corsivo, è tra i più noti dell’opera incompiuta e uscita postuma (1670) del filosofo francese:

«Chi volesse conoscere a fondo la vanità dell’uomo non ha che da considerare le cause e gli effetti dell’amore. La causa è un non so che (Corneille) e gli effetti sono spaventevoli. Questo non so che, una cosa tanto da nulla che non si può neppure determinare, sconvolge tutta la terra, i principi, gli eserciti, il mondo intero. Il naso di

Cleopatra: se fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe cambiata»197. Spesso isolata dal contesto, quest’ultima frase ha acquistato un valore aforistico che ne semplifica il senso, facendone una prefigurazione della teoria del caos e lo spunto per una di quelle fiction che illustrano la sproporzione tra cause minime ed effetti abnormi. Pascal allude ovviamente alle trame passionali che legarono la regina egizia a Cesare e a Marcantonio, che sfociarono nella guerra con Roma sotto Ottaviano Augusto. Se solo Cleopatra fosse stata meno avvenente, eventi epocali non avrebbero avuto luogo o si sarebbero svolti altrimenti, proprio come in Hands Off di Hale la soppressione di un cane provoca l’estinzione del genere umano e - in A Sound of Thunder - dall’uccisione di una farfalla deriva un radicale sconvolgimento geologico. In tutti i casi, come afferma Pascal citando Corneille, «la causa è un non so che e gli effetti sono spaventevoli». Tuttavia il filosofo non si limita a constatare che la storia umana è appesa ai fili invisibili delle circostanze fortuite, bensì svolge una riflessione sul tema della vanità

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umana che a sua volta va riconsiderata entro una concezione del rapporto tra fisica e metafisica. Nella prima parte dei Pensées, Pascal contrappone lo «spirito di finezza», in cui alberga la fede, allo «spirito di geometria» che spinge a cercare spiegazioni razionali e dimostrazioni scientifiche delle cose. Non si tratta di optare per uno o l’altro, perché presi da soli sono entrambi mezzi limitati di comprensione: «la teologia è una scienza, ma nel contempo quante scienze non comprende in sé. Un uomo è una unità sostanziale; ma se noi lo consideriamo anatomicamente, v’è la testa, il cuore, lo stomaco, le vene, ogni singola vena, ogni singola porzione di vena, il sangue, e nel sangue i diversi

umori»198. Considerando i livelli molteplici dei fenomeni, Pascal li associa ad altrettanti

modi di spiegazione, per cui la conoscenza esatta dell’anatomia umana si deve allo «spirito di geometria». Quest’ultimo ha tuttavia le maggiori responsabilità nella superbia dell’uomo, perché illudendolo di potere esaurire la comprensione della realtà

gli nasconde che questa è inesauribile, abbracciando l’infinito e l’infinitesimale199

. La superbia o la vanità è anche ciò che conduce l’uomo a credersi agente della sua storia, dove invece le rivoluzioni più grandi si devono spesso a cause minime o «non so che» come l’amore. Pascal fa un altro esempio controfattuale che dimostra ancora meglio il ruolo del caso: «Cromwell stava per sconvolgere tutta la cristianità; la famiglia reale era perduta, e la sua al culmine della potenza, se un piccolo granello di sabbia non si fosse posto nell’uretere. Persino Roma avrebbe tremato sotto di lui; ma essendosi cacciata lì quella pietruzza, egli morì, la sua famiglia fu abbattuta, tutto tornò in pace e

il re fu rimesso sul trono»200. Dicendo che la storia è caotica o casuale, Pascal non

intende certo negare il potere divino, ma semmai sminuire l’importanza degli eventi mondani provocati dalla mano dell’uomo. Implicitamente, questa casualità invita anche a sminuire quel tentativo specifico di comprensione della realtà che si chiama storia. Ma al tempo stesso comporta che gli eventi umani non siano rigorosamente seguiti dalla mano della provvidenza o che, se lo fossero, in ogni caso l’uomo non potrebbe mai dimostrarlo perché questo aspetto della realtà sfuggirebbe allo «spirito di geometria». La stessa esistenza di Dio, nella visione di Pascal, non può accettarsi altrimenti che per scommessa: «se vi è un Dio, è infinitamente incomprensibile. […] Esaminiamo questo punto e diciamo: Dio è o non è. […] Su quale scommetterete? In base alla ragione non potete decidervi né per l’una, né per l’altra. […] Due cose avete da perdere: la verità e il bene. […] Se guadagnate, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete

dunque, senza esitare, che egli esiste»201. Salvo l’esortazione finale, è una visione in

fondo simile a quella di padre Antapire in Uchronie, che riflette la posizione agnostica di Charles Renouvier. Sennonché Antapire-Renouvier ne trae e rilancia ben altro messaggio, che nel libro costa al prete la condanna come eretico: l’idea per cui se Dio è infinitamente distante e inconoscibile, l’uomo ha il dovere morale di respingere la visione fatalista cristiana e sentirsi artefice di un progresso che passa dalla filosofia razionale e dallo “spirito della legge”.

198 Ivi, (115) pp.129-130. 199

Ivi, specie il n.72 dal titolo “Sproporzione dell’uomo”, pp.96-105.

200

Ivi, (176), pp.153-154.

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La Teodicea di Leibniz.

Gottfried Leibniz scrisse la Teodicea (1710) per confutare diverse posizioni filosofiche, la più recente delle quali, espressa da Pierre Bayle, predicava l’autonomia della morale dalla fede. Dietro il trattato sulla giustizia divina vi sono però altri due interlocutori importanti: il meccanicismo di Copernico e Newton e la teologia di Sant’Agostino, che negava la responsabilità di Dio per l’esistenza del male nel mondo; una posizione, quest’ultima, che Charles Renouvier avrebbe stigmatizzato come vistosa contraddizione logica. La teoria sul «migliore dei mondi possibili» nasce appunto dal tentativo di comprendere il male come qualcosa di necessariamente prodotto da Dio benché incomprensibile al senso umano della giustizia. Come il «naso di Cleopatra» di Pascal, anche questa espressione è stata spesso banalizzata e ridotta ad archetipo di ottimismo ingenuo; “leibniziano” in tal senso è ad esempio il personaggio di Pangloss nel Candide di Voltaire.

«L’infinità dei possibili, per quanto grande sia, non è maggiore della saggezza di Dio, che conosce tutti i possibili. Si può anzi dire che se tale saggezza non supera i possibili estensivamente, poiché gli oggetti dell’intelletto non possono andare al di là del possibile, che in un certo senso è il solo intelligibile, li supera intensivamente, a causa delle combinazioni infinitamente infinite attuate tra i possibili, e delle molte riflessioni che sviluppa a tal proposito. La saggezza divina, non contenta di abbracciare tutti i possibili, li penetra, li paragona, li pesa gli uni con gli altri, per valutarne i gradi di perfezione, il lato forte e il debole, il bene e il male; essa si spinge anche al di là delle combinazioni finite, ne fa un’infinità di infinite, cioè un’infinità di serie possibili dell’universo, ciascuna delle quali contiene un’infinità di creature; e, con questo mezzo, la saggezza divina distribuisce tutti i possibili, che aveva già esaminato a parte, in altrettanti sistemi universali, che paragona ancora tra loro. Il risultato di tutti questi raffronti e riflessioni è il migliore tra tutti i i sistemi possibili…e questo è proprio il

piano dell’universo attuale»202

La visione di Leibniz scaturisce da una mentalità matematica, immaginando un Dio capace di calcolare le infinite combinazioni e concatenazioni tra ogni cosa, e tra queste scegliere, statisticamente, quella che data l’infallibilità divina sarà necessariamente la migliore, seppur comprensiva di quei fenomeni che alla limitata comprensione umana sembrano ingiusti. E’ una concezione del tutto deterministica, ma proprio come quella di Pascal permette di concepire sia una storia “caotica” e sia una visione in cui tutto è in relazione con tutto, la «filosofia delle relazioni» alla base del pensiero di Charles Renouvier. La prima si trova senza fatica nel racconto Hands Off, che non è altro se non una rappresentazione letteraria della teoria di Leibniz. Per dimostrare che l’attuale è il migliore dei mondi possibili, Edward Hale immagina una “controprova” eseguita su una copia virtuale del mondo, dove il narratore può intervenire secondo il proprio senso della giustizia. Dalla sua prospettiva limitata, egli sceglie un fatto puntuale senza potersi

202

G. Leibniz, Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine del male (225), Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1993 [1710], pp.366-367 (tr. M. Marilli).

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accorgere che da esso dipendono cose di ben più grande importanza, la salvezza stessa del genere umano. Questa sorta di pan-causalismo si ritrova nel pensiero di Renouvier, tradotto però in un principio di responsabilità morale degli individui.

Malgrado il suo intrinseco determinismo, la teoria di Leibniz ha quindi ispirato racconti incentrati sull’immaginazione di alternative nella serie degli eventi accaduti. Il concetto stesso di «mondi possibili» è divenuto popolare attraverso la narrativa di finzione, in particolare i parallel worlds della fantascienza, e di lì è stato ricondotto nella riflessione filosofica del secolo scorso, dove i possible worlds erano intesi da Kripke, Van Fraassen Plantinga e altri come entità logiche (ma in certi casi anche ontologiche) il cui rapporto con la “nostra realtà di riferimento” è definito da condizioni di mutua accessibilità. Dalla filosofia analitica è trapassato infine alla semiotica dei testi letterari, con la nozione di fictional worlds, di cui va indagato lo statuto a partire dalle marche e dalle implicazioni del testo. Nel frattempo l’altalena tra logica e ontologia ha raggiunto la teoria fisica, dove nel 1957 Hugh Everett III ha formulato l’«interpretazione a molti

mondi della meccanica quantistica»203.

Verso un’estetica dei mondi possibili.

Anche se questi trattamenti dell’idea di realtà possibile sembrano legati all’epistemologia del Novecento, alla fisica e alla filosofia del linguaggio, le prime applicazioni logico-estetiche della teoria di Leibniz datano alla prima metà del XVIII secolo e si devono ai suoi allievi di Zurigo Breitinger, Baumgarten e Bodmer. E’ un capitolo non troppo conosciuto della storia delle teoriche artistiche che non ha avuto ricadute immediate, e che ha ricostruito Lubomir Dolezel in Poetica occidentale (1990). Le poetiche del Settecento erano strettamente vincolate al concetto aristotelico di

mimesis, ma come ricorda Dolezel «il concetto di natura, notoriamente vago, stava

diventando, con l’avanzare delle scienze naturali, sempre più problematico. […] Allo stesso tempo, la rigida interpretazione neoclassicistica ha messo in luce le serie carenze

logiche ed epistemologiche della dottrina della mimesis»204. Lo stesso Leibniz aveva

sfiorato il problema estetico, definendo quella letteraria come la «narrazione di qualcosa

che può accadere in qualche altro mondo»205. I “leibniziani” zurighesi proseguirono in

questa direzione, e Breitinger scrisse: «l’arte della poesia, in quanto distinta dalla storia, non desume quasi mai i suoi originali e la materia della sua imitazione dal mondo

attuale, ma piuttosto dal mondo delle cose possibili»206. Mentre la mimesis derivata da

Aristotele assegnava all’arte il compito di imitare “la natura” o comunque sia la realtà del mondo attuale, i leibniziani la collegano a quelli che Baumgarten definì

heterocosmica. Tra questi vi sono i mondi compatibili con la nostra conoscenza della

203

Cfr. Bryce DeWitt, Neill Graham, The many-worlds interpretation of quantum mechanics : a fundamental exposition, Princeton University Press, 1973. Il testo è una sintesi della tesi di dottorato redatta da Everett, dove si trova l’originaria formulazione della teoria del “multiverso”.

204

L. Dolezel, Poetica occidentale: tradizione e progresso, Torino, Einaudi, 1990, p.47 (tr. A. Conte).

205

Ivi, p.52 (Wolff, 1720, p.521).

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realtà, quella che oggi si chiama «la nostra realtà di riferimento», a partire dalla quale distinguiamo le narrazioni realistiche da quelle favolose. Ma gli heterocosmica definiti da Baumgarten sono, sottolinea Dolezel, «impossibili solo nel mondo attuale. […] Una categoria abbastanza ampia da accogliere le finzioni più bizzarre dell’immaginazione,

del sogno, dell’allucinazione»207

. Tra queste finzioni «bizzarre» si potrebbe includere

Napoléon apocryphe e Uchronie come prodotti dell’immaginazione (degli autori

infratestuali), P.’s Correspondence di Hawtorne come frutto dell’allucinazione dello stesso P., L’an 2440 di Mercier come racconto onirico del narratore. Ma i leibniziani del Settecento non pensavano agli heterocosmica come a realtà finzionali edificate nella nostra realtà (e denunciate come tali nei testi, attraverso la metafiction), entità logiche e creative, bensì ontologiche: «in Breitinger i mondi immaginari sono imitazioni di mondi possibili dati a priori, piuttosto che originali creazioni poetiche. […] Bodmer […] considerò la pluralità dei mondi non come un’idea nuova, logica, ma come un problema tradizionale, cosmologico. Non a caso […] sottolineò che questi mondi possono essere

scoperti dalla scienza»208. Non si trattò, insomma, di una rivoluzione epistemica che

rompeva del tutto con il concetto di mimesis, perché gli heterocosmica erano concepiti pur sempre come imitazioni di ciò che deve esistere in uno tra infiniti mondi. Le vera rottura si diede solo con il romanticismo, sulla scia della frattura posta da Schelling e Kant tra il soggetto e l’oggetto della conoscenza; ma questa rivoluzione delle coscienze, ricorda ancora Lubomir Dolezel, «concependo l’opera poetica come l’espressione di un’originale attività poetica, lasciò in ombra non solo il carattere mimetico di essa, ma,

più radicalmente, anche il suo rapporto con il mondo in generale»209.

Napoléon apocryphe e Uchronie, con il loro tratto metafinzionale, rappresentano la

creazione di heterocosmica come attività inventiva e speculativa. Ma nel romanzo di Louis Geoffroy la premessa assegna uno statuto ambiguo ai fatti narrati, quasi che essi potessero avere avuto luogo in qualche realtà parallela. Anche l’oscuro presagio che coglie Napoleone alla vista dell’isola di Sant’Elena potrebbe leggersi come la percezione di un mondo “altro” che è naturalmente il nostro. Ma in senso lato tutti i mondi finzionali della letteratura sono mondi possibili nel senso definito dagli allievi di Leibniz, mondi dove – di volta in volta – Renzo e Lucia, Julien Sorel, Madame Bovary sono persone reali. Questa suggestione diviene tema esplicito in certe trame di fantascienza come What Mad Universe di Fredric Brown, il cui protagonista si ritrova in una realtà parallela forgiata dalla mente di un assiduo lettore di fantascienza. Ma questa figura somiglia all’Autore testuale di Napoléon apocryphe, che in qualche modo si sostituisce al Dio di Leibniz nello scegliere tra infinite possibilità quella che dal suo punto di vista è la migliore. Accettando il paragone, si potrebbe considerare che nell’”utopia” della monarchia universale di Napoléon apocryphe gli aspetti che sembrano ingiusti, come il controllo poliziesco e la censura, siano aspetti del “male” necessario nel migliore dei mondi possibili: resterebbe da chiedersi chi sia il Dio “leibniziano” di questa realtà, se l’autore del romanzo o piuttosto Napoleone stesso.

207 Ibidem. 208 Ivi, pp.65-66. 209 Idvi p.67.

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7. Curiosities of Literature di Isaac D'Israeli.

Curiosities of Literature è un volume di miscellanea che ebbe numerose riedizioni e

ristampe in un lungo arco di tempo. I primi 171 articoli apparvero in due volumi tra il 1791 e il 1807. Nella sesta edizione, del 1817, fu aggiunto un terzo volume con trentaquattro brani inediti. Altri settantotto apparvero nella Second Series of Curiosities

of Literature: consisting of researches in literary, biographical, and political history, of critical and philosophical inquiries, and of secret history, pubblicata nel 1823210, e tra questi vi è “Of a History of the Events Which Have Not Happened”. Vi furono poi diverse ristampe nel corso del XIX secolo, tre delle quali quando Isaac D’Israeli era in

vita211 e altre postume 212. Si tratta insomma di un’opera dalla lunga durata, quanto a

gestazione e fortuna, di cui un solo frammento ha che fare con la storia controfattuale o storia «degli eventi che non sono accaduti». Tuttavia l’argomento s’inserisce bene nello spirito generale delle Curiosities of literature, riassunto nel titolo esteso della Second

series: dove si parla di ricerche di storia letteraria, biografica e politica, indagini

filosofiche e storia segreta. La varietà dei campi d’interesse è raccolta sotto uno stesso approccio erudito e speculativo, del tutto consono alla figura di intellettuale eclettico che fu il padre del primo ministro inglese Benjamin. Sottolinearlo è necessario a comprendere da quali coordinate possa essere scaturita l’idea di un saggio sui possibili della storia.