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La monarchia universale: una strana utopia  Tra utopia e distopia.

 Gli elementi religiosi e metafisici.

6. La monarchia universale: una strana utopia  Tra utopia e distopia.

L’”utopia” di Napoléon apocryphe, intesa come rappresentazione di una società ideale, non occupa quindi che un sesto della lunghezza del romanzo. La «monarchia universale» immaginata da Louis Geoffroy è il prodotto di una lunga serie di avvenimenti che da una base di realismo e di plausibilità trascendono in una dimensione avventurosa, esotica, epica, e per certi aspetti anche meravigliosa e miracolosa; elementi cui vanno aggiunti gli effetti di ironia e i possibili spunti di critica. L’apoteosi di Napoleone risulta vieppiù incredibile, eppure è in qualche modo resa credibile dall’atteggiamento generale di credulità e devozione nei suoi confronti. Questo atteggiamento è condiviso dall’autore nella premessa, dal narratore e da tutti i popoli della Terra (esclusi pochi individui, da Murat a Oudet), e in fin dei conti non è che l’intensificazione e l’estensione di un consenso che Napoleone aveva avuto realmente, perlomeno in patria e fino al disastro della campagna russa del 1812.

La rappresentazione della monarchia universale non contribuisce affatto a dissipare le ambiguità del racconto. Questo modello di civiltà ha caratteristiche che qualunque utopista del 1836 avrebbe potuto sottoscrivere, realizzando i principi rivoluzionari di pace e uguaglianza. Ma com’è evidente si tratta di una tirannide, dove si presenta come libertà l’assolutismo e il controllo poliziesco, come pace l’abolizione delle autonomie, come uguaglianza l’annullamento di ogni differenza; quasi una prefigurazione del mondo descritto da Orwell in 1984. D’altra parte è anche un trionfo del progresso tecnico, scientifico e culturale propugnato dai filosofi illuministi, dagli esiti avveniristici e perfino magici. Questa miscela eterogenea di aspetti porta il lettore a domandarsi se la monarchia universale sia realmente proposta da Louis Geoffroy come una società ideale o come il suo rovesciamento, e tuttavia risulta difficile scegliere tra i due estremi. Paul

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Alkon ha tentato di tenere insieme i diversi elementi dando anzitutto una spiegazione dell’implausibilità del racconto, sostenendo cioè che Geoffroy «was compelled to sacrifice a large measure of plausibility in order to create an alternate history that could serve as an apt symbol for the nature of any nineteenth-century or future world state. […] Napoleon as a symbol for the quasi-religious forces underlying –or potentially

underlying- the politics of modern empires»345. Non c’è dubbio che le «forze quasi-

religiose» giochino un ruolo essenziale nella conquista del mondo, ma Alkon le riconduce a un’interpretazione generale del libro come espressione positiva, ancorché critica dell’operato del vero Napoleone: «if only Napoleon’s political ideas had prevailed […] a better future of the sort we can now imagine would already be part of

our present and immediate past»346. Per sostenere questa lettura il critico focalizza gli

aspetti del progresso tecnico, e lo scenario avveniristico che si ritrova anche nelle «uchronias of futuristic fiction» come L’an 2440. Per calare questo ideale nel passato, anziché in un futuro più o meno lontano, secondo Alkon «a uchronia of immediate past history that portrays an altogether ideal society, rather than mainly attempting to show how the close past might have varied, […] risks sacrificing much of the verisimilitude

otherwise available to the form»347. Gli aspetti implausibili del racconto sarebbero per

ciò il prezzo pagato a una rappresentazione simbolica, eccedente gli scenari che è possibile concepire speculando “razionalmente”.

Questa spiegazione non soddisfa del tutto, in primo luogo perché tutto sommato Geoffroy avrebbe potuto concepire modi meno incredibili per giungere alla monarchia universale. Forse nessuno di questi modi sarebbe apparso probabile come effettiva possibilità del passato, ma nella seconda metà del romanzo si accumulano in quantità impressionante episodi che sfidano qualunque ammissibilità razionale. Non solo, ma la stessa monarchia universale ha tali aspetti di negatività che si può scorgervi altrettanto facilmente, come ha fatto Jacques Van Herp, l’esatto opposto di una società ideale: «sous les dehors mesurés de l’époque, ce que peint Geoffroy c’est une monde aussi sombre et désolé que 1984 de Orwell. […] En plus de cette idée que la technique ne sert qu’à rendre plus astreignante la tyrannie, l’auteur souligne le trait en rapportant le suicide, des derniers hommes libres le lendemain des décrets du 5 juillet 1827,

constituant la monarchie universelle»348. Non si tratta solo di “ombre” in un sistema

quasi-perfetto, ma di aspetti che se letti da una certa angolazione negano alla radice gli ideali cui lo stesso Napoleone affermava di ispirarsi, la libertà innanzitutto. Lo dimostra l’episodio del suicidio di Oudet, che mette il lettore in una difficile posizione ermeneutica, avendo pochi elementi per stabilire se interpretarlo in chiave letterale o sarcastica. Se l’oppressione, la censura, il controllo poliziesco fossero il prezzo da pagare alla pace e al progresso, si faticherebbe a dire che il risultato sia una società ideale o utopistica, oggi come nel 1836.

345 P. Alkon, op cit, pp.137-138. 346 Ivi, p.132. 347 Ivi, p.148.

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Una satira dell’utopia?

Per orientarci nella disamina dell’ultimo libro di Napoléon apocryphe, conviene considerare il contesto storico e culturale in cui il concetto di “utopia” viveva quando Geoffroy scrisse il romanzo. Il termine non compare mai nel testo, ma dall’atteggiamento dell’autore e del narratore è evidente che la monarchia universale rappresenta l’avvento di un sistema ideale, e per di più essa è descritta nel modo sistemico o enciclopedico che nel XVIII era tipico delle utopie letterarie. Il romanzo di Mercier, come ricordato dai critici, deve la sua importanza al fatto di avere fissato in forma letteraria l’investimento del concetto di utopia nella teoria politica e sociale, trasferendolo da “nessun luogo” a un momento/periodo futuro della nostra stessa cronologia. Questo ha inteso Bronislaw Baczko parlando di «storicizzazione dell’utopia», il più significativo «tra gli aspetti che hanno consentito di individuare una

metamorfosi del discorso utopico nella seconda metà del XVIII secolo»349. Nella prima

metà dell’Ottocento, il sostantivo “utopia”, e l’aggettivo “utopico” furono sempre più spesso associati alle teorie socialiste di Saint-Simon, Owen e Fourier e poi a quelle comuniste di Marx ed Engels. Certi aspetti della monarchia universale riflettono chiaramente queste teorie, e d’altronde si possono vedere come la realizzazione delle parole d’ordine della rivoluzione francese. Ma nessun utopista avrebbe potuto sottoscrivere i mezzi di tali conquiste, né l’insieme in cui sono inseriti.

Nel tempo, gli stessi termini assunsero tuttavia un significato negativo che corrisponde al comune impiego attuale di “utopia” come sinonimo di chimera, ideale impossibile a realizzarsi e potenzialmente rischioso se preso come guida dell’azione. Questo spostamento semantico toccò l’apice di diffusione dopo la repressione dei moti e delle repubbliche del 1848, quando molti intellettuali francesi ed europei si convinsero che la lotta scaturita dalle teorie fosse destinata al fallimento. Nel 1849, ad esempio, Alfred Sudre scriveva: «qui compromet les progrès de la liberté en Europe? L’utopie, le

socialisme, en un mot le communisme»350. Ma già nel 1818 Fourier aveva stigmatizzato

il pensiero degli «utopisti filosofi» dell’illuminismo, con la loro ingenua teleologia del progresso. L’espressione «socialisti utopici» fu poi attribuita da Marx agli scritti dello stesso Fourier e di altri autori, per rivendicare alla propria teoria lo statuto di un «socialismo scientifico», tratto da un’analisi più metodica dei rapporti tra le forze sociali. Louis Geoffroy, nel pamphlet del 1849 Sei mesi d’agitazione rivoluzionaria in

Italia, esibisce gli stessi sentimenti di Sudre nel parlare di Mazzini come di un «settario

mistico e fanatico, […] sacerdote dell’idea» e responsabile del fallimento delle riforme liberali. In Napoléon apocryphe Saint-Simon figura come un acuto pensatore che tuttavia si rivela pessimo amministratore, incapace di tradurre nel bene comune le sue teorie.

349

B. Bongiovanni, op cit, p.201.

350

A. Sudre, Histoire du communisme, ou Réfutation historique des utopistes socialistes, Parigi, Victor Lecou, 1849, p.507.

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Dietro il romanzo di Geoffroy aleggia quindi una certa sfiducia verso le possibilità di concreta realizzazione degli ideali utopistici del progresso. Un atteggiamento, questo, che coinvolse anche gli osservatori della parabola che dalla rivoluzione del 1789 portò al Terrore, all’ascesa di Napoleone, alla sua svolta assolutistica, infine alla Restaurazione: un processo che si sarebbe poi ripetuto in minore dopo il 1848, con il secondo impero di quello che Victor Hugo definì «Napoleone il piccolo». Più che un’apologia di Napoleone, o all’opposto una critica radicale, si può leggere in Napoléon

apocryphe un’espressione di scetticismo verso gli esiti concreti dei progetti utopistici.

All’inettitudine di Saint-Simon, nel romanzo, risponde la fermezza dell’imperatore che effettivamente realizza, in un certo senso, una buona parte dei principi rivoluzionari e utopistici, ma lo fa a un prezzo enorme per le popolazioni e con il sostegno di un fanatismo cieco e autolesionista.

L’implausibilità del racconto si potrebbe allora interpretare come un riflesso di questo scetticismo, un modo per separare a priori la monarchia universale dall’ambito delle cose possibili: tanto il modo in cui si realizza è incredibile, quanto il suo aspetto è paradossale nell’accostare fenomeni che sembrano inconciliabili entro un solo sistema d’idee. Anche Charles Renouvier, in Uchronie, esprime la delusione per l’esito fallimentare dei progetti utopistici nei quali aveva creduto in gioventù, ma la sua «utopie dans l’histoire» si realizza in modo certamente ben più credibile di quella di Louis Geoffroy, e al tempo stesso ha qualità positive ben più coerenti. Ciò che Renouvier critica è la sostanza delle utopie ottocentesche, che nella sua visione non davano abbastanza peso alle potenzialità e alla responsabilità degli individui. Ma

Napoléon apocryphe non ritaglia alcun ruolo per gli individui, mentre traccia il percorso

di un unico agente storico fino alla rappresentazione “statica” di una società. Al lettore resta domandarsi se sia una via concepibile e, soprattutto, se il risultato risponda agli ideali d’origine, che sono in fondo le idee rivoluzionarie.

Unità: fra totalitarismo e progresso.

I decreti che istituiscono la monarchia universale sono pubblicati sul “Moniteur” il 5 luglio 1827. Tutti i provvedimenti rispondono al principio dell’unità, che comporta la più assoluta uniformazione e conformazione al modello dell’impero francese: «la diversité funeste des nations et des pouvoirs est fondue désormais, et jusqu’à la fin des temps dans une perpétuelle unité ». Su quel modello sono divisi i territori: ci sono così continenti, reami, circondari, comuni. All’unità politica corrisponde quella religiosa, e il secondo decreto attuativo stabilisce che «le christianisme est la seule religion de la terre». Politica e religione impongono a loro volta l’universalità della lingua : «la langue française fut désormais la langue de Dieu. […] Si l’essence du catholicisme est l’unité et l’universalité […] cette langue devait etre acceptée comme un fait accompli». Anche gli atti amministrativi sono scritti esclusivamente in francese, come in francese si dà l’istruzione, in modo tale che entro una sola generazione tutto il mondo si esprime nell’idioma universale. Unica è ovviamente la costituzione, e tutto ciò che ne discende:

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«l’unité de législation fut la première établie. Il en fut de même de l’unité de poids et mesures ; de l’unité monétaire. […] Le système d’éducation fut renouvelé et étendu uniformément. […] L’agriculture et le commerce […] gagnèrent, sinon une unité impossible […] du moins une harmonie […] Les sciences, les lettres et les beaux-arts eurent aussi des foyers d’unité dans la capitale du monde. […] Une bibliothèque universelle fut créée. […] Versailles fur choisie pour cette destination. […] Une système universel des postes […] établit dans les correspondances une rapidité et une régularité extraordinaires. La magistrature fut uniformément organisé. […] Toutes les dettes

publiques furent réunies en une seule»351.

Questa unità universalmente applicata sembra per certi aspetti uno strumento di eguaglianza: «l’esclavage est détruit. […] L’éducation était publique et gratuite. […] Les contributions furent établie avec uniformité». E’ anche un veicolo di progresso sociale, perché i debiti pubblici delle nazioni «en peu d’années elles furent amorties, puis éteintes». Ma quanto alla libertà, degli individui e delle nazioni, è evidente che la concezione dell’imperatore è ben diversa da quella scaturita dalla rivoluzione del 1789. I territori sono privati di eserciti: «toutes les forces militaires résidèrent dans la main de l’empereur. […] On peut même dire que les forces militaires furent anéanties dans les royaumes feudataires». La stampa è ugualmente accentrata: «l’imprimerie et la librairie furent soumises à l’action une et puissante de Napoléon. Armé du mot de liberté de la presse, il dirigeait cette liberté dans le sens de son pouvoir. […] Il y eut un journal officiel du monde, intitulé la Terre. […] Le Moniteur fut conservé pour le seul empire français». La diplomazia si riduce a «une fiction et une cérémonie», non esistendo più realtà politiche indipendenti tra cui mediare, e «on comprend qu’il n’était plus question de politique. […] La politique n’est qu’une science de transition apparaissant à la ruine des Etats». Con un gioco di parole il narratore dice chiaramente che si tratta di uno stato repressivo di polizia: «il y avait bien une politique, permise seule à l’empereur, c’était la

police, immense réseau enveloppant l’univers […] que personne n’osait apercevoir».

Questa “politica” si fonda sul più stringente e capillare controllo, facilitato dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione: «les télégraphes […] lui permettaient d’entendre la moindre parole murmurée aux dernières limites de la terre. […] Ainsi Napoléon, à l’instant même, entendait toutes les paroles humaines, connaissait tous les événements […] et tenait dans sa main tous les fils». Infine, l’uguaglianza di tutti gli uomini della Terra si traduce in un folle progetto di superamento delle etnie attraverso la scienza : «la plus singulière de ces tentatives d’unité [fut]cette pensée de Napoléon de lutter contre la nature et les climats, et de faire disparaitre ces variétés de races et de couleurs. […] Il aurait voulu faire de cette humanité un seul homme». Il narratore stesso parla di una «singulière prétention », fermata solo dai dubbi degli scienziati circa la sua realizzabilità; mentre alle nostre coscienze non può evocare altro che il sogno totalitario

dei nazisti, perseguito attraverso lo sterminio etnico e la sperimentazione eugenetica352.

Eppure è innegabile che l’universalità di questo sistema si traduca in un progresso senza limiti, che supera i sogni più aurei dei filosofi illuministi: «le vapeur […] créa des forces surnaturelles et centupla les forces déjà connues. […] Voitures qui volaient avec

351

L. Geoffroy, op cit, pp.316-323.

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la rapidité de la foudre sur les routes en fer. […]Vaisseaux […] traversant en moins d’une semaine les plaines de l’Océan. […] Des machines nouvelles […] soulevant les colosses et les rochers, creusant la terre, arrêtant ou lançant les ondes, aplanissant les montagnes. […] Les ballons aérostatiques, agrandis et multipliés». E’ uno scenario avveniristico che si ritrova in tanti racconti fantastici del XIX secolo, e che riflette il mito del progresso tecnico tipico dell’epoca. In questo senso Paul Alkon lo ha definito plausibile come «a vision that readers of 1836 would clearly regard as similar to their

inevitable technological destiny»353. Ma diversi fenomeni trascendono qualunque

proiezione realistica del progresso, a partire dalla resurrezione: «un homme dont la mort avait été certaine fut rappelé à la vie». Altri si situano al confine tra una possibilità teoricamente concepibile e una meravigliosa fantasia: «la cécité put etre guérie ; la surdité retrouva dans des oreilles l’énergie de l’audition la plus subtile. […] Des gaz apportèrent à l’odorat des ressources nouvelle». Addirittura la «merveilleuse inutilité, longtemps crue impossible, la quadrature du cercle» viene scoperta da un bambino, subito ammesso all’accademia delle scienze: quasi un emblema dell’utopia realizzata, secondo l’uso attuale dell’espressione idiomatica “quadratura del cerchio” (ma la sua indimostrabilità fu del tutto accertata solo nel 1877). Oscillano tra il possibile e il favoloso anche le scoperte geografiche e archeologiche. Sul primo versante, «la ville de Pompéia avait depuis longtemps reparu. […] Il n’en était pas de même d’Herculanum. […] Les lois, les usages, les jeux, les mœurs […] rendaient le secret de leur existence. […] Le Mexique avait aussi son Herculanum, […] nommé Grana. […] Quelques découvertes de ce genre […] faites en Sibérie et en Abyssinie, donnèrent aussi de curieux résultats». Sull’altro c’è l’incredibile scoperta di una foresta e una montagna verdeggiante nel centro esatto del polo nord: «la régularité de sa forme, son élévation et son existence dans ces déserts de glace étaient trop extraordinaires dans la nature pour que ce ne fut pas le signal de quelque place prédestinée». Infine, «la réapparition du peuple primitif, conservée dans l’oasis de Boulma. […] Un fils de Sem avait […] porté son Dieu, sa famille et ses tradition dans cette ile. Depuis quatre mille ans ses descendants, peu nombreux […] n’avaient pas senti la nécessité des progrès» Questa etnia primitiva sembra incarnare il mito filantropico del buon selvaggio; ma nel mondo della monarchia universale essa subisce lo stesso trattamento omologante cui è sottoposta ogni altra cosa, in un modo che fa pensare ai metodi dei colonizzatori nel nuovo mondo: «les habitants de Boulma eurent aussi […] une civilisation comme le

reste du monde, les infortunés!»354. Come nell’episodio di Oudet, anche qui il

commento del narratore è ambiguo, e in questo caso è forte la tentazione di leggerlo in chiave sarcastica come una denuncia della violenza uniformante alla base della monarchia universale. Del resto appartiene alla storia l’estensione dei codici del diritto e del sistema amministrativo francesi nei territori conquistati da Napoleone, e nel romanzo egli si affretta a sostituire costumi e culti dei popoli sottomessi con quelli dell’impero

353

P. Alkon, op cit, p.130.

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Conclusioni.

L’opacità di Napoléon apocryphe sembra quanto di più lontano dalla nettezza dei messaggi di Uchronie. D’altra parte, gli accostamenti tra il romanzo di Geoffroy e testi della stessa epoca hanno sottolineato elementi di affinità trascurandone altri di differenza. Dandosi come una fantasia nostalgica su un passato che per definizione è irredimibile nella realtà, Napoléon apocryphe non ha la stessa, palese valenza programmatica e utopistica di L’an 2440; volendo leggerla in questo modo, si deve poi registrare un’ambiguità che difficilmente permette di parlare di utopia. Ma anche l’interpretazione opposta del romanzo come una satira sminuisce la complessità del testo, perché se è vero che certi punti insinuano fortemente il dubbio circa le vere intenzioni dello scrittore, la monarchia universale di Napoleone contiene pur sempre un

cluster di idealità messe in atto, se non altro sul terreno della scienza, della tecnica e

della medicina. Al limite si potrebbe dire che Napoléon apocryphe metta in satira non solo o non tanto la figura di Napoleone, bensì le ingenuità delle teorie utopistiche e dei piani rivoluzionari, destinati al fallimento o per impossibilità di tradurli in pratica, o perché essi tendono a scivolare nella tirannia. Del resto questa impressione non va intesa come un giudizio forte sul romanzo, ma come una mera possibilità che cerca di tenere insieme aspetti palesemente contraddittori.

Per altro verso, è da rimarcare la modernità di Napoléon apocryphe proprio in quanto opera letteraria e macchina narrativa. Lodandone questi aspetti, critici come Versins, Carrère e Winthrop-Young hanno ben giustamente tributato a Geoffroy la nomea di precursore dell’ucronia moderna, sennonché questo giudizio viene spesso riprodotto senza dimostrare in dettaglio le qualità del romanzo e le sue puntuali anticipazioni di strategie messe in atto da autori dei nostri tempi. Napoléon apocryphe sfrutta abbondantemente la metatestualità alquanto diffusa nei romanzi di Dick, Amis e tanti altri, dando il primo chiaro esempio di “ucronia reciproca” del genere. Ci sono poi gli “ammiccamenti” più e meno espliciti alla realtà del lettore, e l’episodio di Sant’Elena precorre il motivo dei mondi o delle realtà parallele che entrano in qualche modo a contatto. C’è ancora la diffusa intertestualità, in particolare la biblioteca immaginaria del «catalogue»; e c’è infine la rappresentazione dell’ucronista (l’autore nella premessa), figura a un tempo romantica e tragica di individuo in lotta con la realtà, veicolo di suggestioni – dal sapore quasi postmoderno – sui rapporti tra realtà, storia e invenzione, definiti soggettivamente in funzione del desiderio e intersoggettivamente dalle condizioni della conoscenza.

Certo, tra Napoléon apocryphe e le ucronie più recenti vi sono anche differenze vistose,