• Non ci sono risultati.

Struttura e registri narrativi.

Il racconto è diviso in sei libri di lunghezza piuttosto simile, tra i quali è possibile vedere parallelismi e raggruppamenti. Si può osservare ad esempio che i tre blocchi composti da due libri ciascuno scandiscono in macro-fasi la trama. Con il libro II si conclude la fase delle conquiste europee, sancite dalla nuova monarchia. Con il quarto libro termina la conquista dell’Asia, la più lunga nonché l’ultima campagna militare. Negli libri V-VI sono descritti la nascita e l’aspetto della monarchia universale. E’ anche possibile suddividere i sei libri in due metà esatte, notando che ognuna è formata da due parti “dinamiche”, dedicate a conquiste o annessioni, e una terza “statica”, incentrata sui provvedimenti amministrativi che seguono la formazione delle nuove entità politiche (l’impero europeo e quello mondiale).

121

Se la tentazione di cercare simmetrie strutturali è così appagata, nel contempo si deve registrare una progressione ritmica del racconto che si accompagna a un significativo mutamento di atmosfere. Vi è infatti un rapporto inverso tra il tempo cronologico degli eventi e la durata del discorso/racconto. I primi due libri si svolgono negli anni tra il 1812 e il 1817, ma in effetti gli eventi cruciali sono poche battaglie consumate tra l’ottobre del 1812 (Novgorod) e il giugno del 1814 (Cambridge), un periodo di neppure due anni che occupa da solo quasi un terzo del racconto. I due libri intermedi sono ambientati tra il 1817 e il 1825, con il III che riassume per sommi capi un’età di pace priva di grandi eventi, mentre la campagna d’Asia, che dura oltre quattro anni per un territorio immenso, è riassunta nel libro IV. Gli ultimi due vanno dal 1825 al 1832, ma il vero e proprio racconto arriva solo fino al 1828, quando Napoleone s’incorona imperatore del mondo, e nel libro V sono riassunte all’estremo le vicende che portano alla conquista di ben tre continenti - Oceania, Africa, America. Il narratore stesso, a volte, si giustifica per questa sintesi asserendo che gli eventi in questione sono fin troppo noti, o rinviando i lettori ad altre fonti storiche, o ancora mettendo in relazione la rapidità delle conquiste e il ritmo del racconto: «il était plus facile à l’empereur de

vaincre qu’il ne l’est à son historien de l’écrire»253

. Al contrario, le guerre e gli altri eventi europei degli anni 1812-1817 sono puntigliosamente riportati, benché a rigor di logica dovrebbero essere altrettanto se non ancora più noti al pubblico cui il narratore si rivolge.

Per spiegare questa accelerazione narrativa si potrebbe osservare che la scena-militare d’Europa era – anche nella realtà - alquanto complessa, con numerose dinastie, eserciti, tradizioni diplomatiche, enti politici e amministrativi a confrontarsi; al contrario, gli immensi territori asiatici e africani erano occupati da società tribali e facili da sottomettere, così che una buona parte dei sei anni tra la partenza e il ritorno di Napoleone in patria trascorrono in spostamenti terrestri e marittimi. E’ però possibile domandarsi se questo sia “ragionevole” secondo la logica delle cose o se risponda piuttosto all’immaginario collettivo, per cui l’Asia, l’Australia e l’Africa rappresentavano la quintessenza dell’esotico. D’altronde non sono certo tribali le società che Napoleone incontra in Cina e in Giappone, eppure anch’esse si sottomettono inermi per via del rassegnato fatalismo che il narratore attribuisce loro. Tanto meno è credibile che tutti gli stati americani all’unisono si consegnino all’imperatore del mondo, rinunciando alla propria libertà per godere di una pacifica tutela totalitaria.

Nella seconda parte di Napoléon apocryphe, mentre si può dire che gli eventi precipitino verso la monarchia universale, Louis Geoffroy libera la propria invenzione dalla plausibilità storica e dai vincoli cui soggiace di solito chi specula in forma controfattuale su ciò che sarebbe potuto accadere “if only…”. Questa piega del racconto colpisce tanto più in quanto il suo inizio si può definire invece plausibile, se non altro perché riproduce le aspettative dei contemporanei di Napoleone: ai quali apparve semmai “strana” la ritirata da Mosca alle soglie del terribile inverno russo, prodromo della disastrosa decimazione della grande armée. Ma gli avvenimenti narrati nei libri IV-VI non sono solo implausibili sul metro delle possibilità storiche: in molti casi contrastano anche con la razionalità definita dall’enciclopedia del reale, fino a

122

sfidare le leggi naturali. A partire dalla campagna d’Asia si accumulano episodi quantomeno bizzarri, come la riesumazione della torre di Babele o l’addomesticamento di un leone, che si possono ascrivere al piano del mito e della leggenda. Ci sono poi momenti epici e avventurosi, come la battaglia di Gerusalemme e le peregrinazioni nel lontano Oriente. Proseguendo, quasi tutto diviene più-che-reale, sfiorando il fantastico (il presagio di Napoleone a Sant’Elena; quello del popolo sulla monarchia universale) il

magico e perfino il miracoloso (la scomparsa degli astri dal cielo durante

l’incoronazione). Parallelamente la figura di Napoleone assurge a un piano di quasi- divinità: dapprima considerato un profeta dai musulmani sconfitti e dalle credule popolazioni orientali, poi venerato in patria attraverso gesti fanatici perfino autolesionisti, infine canonizzato in vita (la cattedrale di S. Napoleone) e autodesignatosi «Sous Tout-Puissance».

Questo processo di divinizzazione è chiaramente inseguito dall’imperatore, fin dal giorno in cui, morto Pio VII, considera di farsi papa egli stesso. Sempre lui, geniale psicologo militare, motiva l’esercito presentando una conquista territoriale come l’ultima crociata. Quanto all’episodio del leone domato, che gli vale una fama messianica presso il popolo afghano, si potrebbe credere a una deliberata invenzione mitografica di Napoleone. D’altronde alcuni elementi bizzarri si spiegano in termini razionali: gli unicorni regalati all’imperatore sono in realtà antilopi; il mostro marino non è altro che un’immensa statua del re del mondo scolpita da Jacques-Louis David. Il narratore, pure nel suo entusiasmo incondizionato, raramente avvalora le spiegazioni metafisiche degli eventi, ma oscilla tra un atteggiamento concessivo e uno scettico. Quanto ai modi della rappresentazione, le “strategie del realismo” che si trovano massicciamente impiegate nei primi libri, come la riproduzione di presunti documenti e i riferimenti puntuali a date, luoghi, nomi degli eventi pubblici, si rarefanno via via senza però venire meno del tutto.

Se a un’occhiata superficiale si potrebbe dire che il racconto parta dal realismo per approdare al fantastico, a ben vedere le cose sono più complesse. Strettamente parlando, solo i primissimi capitoli si potrebbero considerare realistici nello stesso modo dei romanzi storici del XIX secolo, cioè una rappresentazione con mezzi letterari di eventi storicamente autentici (senza peraltro quasi nulla di fittizio). Ma già nel terzo capitolo del primo libro, il lettore ha a che fare con dati storicamente falsi: è la divergenza, che segna l’ingresso nell’ucronia. Questa soglia produce uno straniamento cognitivo assente dalle narrazioni storico-realistiche che pretendono di riprodurre fedelmente aspetti della realtà, ma ciò non significa che il racconto smetta di apparire plausibile. Almeno fino alla fine del terzo libro, nessun evento sfida la comprensione razionale della realtà, e molti possono al contrario apparire plausibili come ipotesi controfattuali: si può cioè credere che se Napoleone avesse vinto in Russia non ci sarebbe stata Waterloo né Sant’Elena, ma una serie di vittorie e conquiste analoga a quella ininterrotta fino al 1812, che avrebbe forse reso Napoleone l’imperatore incontrastato d’Europa. Nei primi libri del romanzo abbiamo a che fare con i soggetti più tipici dei racconti storici: re e generali, marce e battaglie, armistizi e annessioni, concordati e decreti, alleanze e riforme.

123

Le cose cambiano nella seconda parte del libro, quando gli avvenimenti appaiono storicamente implausibili e a volte pressoché incompatibili con le spiegazioni razionali della realtà. Ma per quanto bizzarri e inverosimili, questi eventi non producono un regime “meraviglioso”, né il loro racconto rompe del tutto con i modi di rappresentazione storico-realistici. Tuttalpiù si potrebbe dire che il testo stabilisce un’atmosfera fantastica nel senso inteso da Tzvetan Todorov, vale a dire uno statuto incerto degli eventi tra il polo dello «strano» ma razionalmente spiegabile e quello propriamente «meraviglioso», dove gli eventi sono irrazionali. Questa sospensione cognitiva si potrebbe mettere in relazione con l’atteggiamento fideistico dei popoli della terra verso Napoleone, tant’è che il narratore allude alle discussioni teologali intorno alla sua natura umana o divina.

Si può dire senz’altro che il racconto di Napoléon apocryphe segni un progressivo

allontanamento dalla Storia: dai suoi soggetti più familiari e, in parte, dai modi tipici

dei suoi racconti, vincolati alla cronologia e all’esaustività dei fatti. Ciò è perfettamente comprensibile, perché dopotutto si tratta di una versione della storia inventata in funzione di un desiderio irrazionale, quello espresso dall’Autore nella premessa: il cui scopo non è quello di speculare su come concretamente sarebbero potute andare le cose, ma è - come sappiamo – quello di «suppléer à l’histoire, […] conjurer ce passé, […] toucher le but espéré, […] atteindre la grandeur possible». Tuttavia, questa versione storica alternativa appare al lettore come una fuga progressiva verso l’irrazionale, un moto parallelo alla parabola ascensionale di Napoleone inteso sia come sovrano, sia come quasi-divinità. Ma è proprio al culmine di questa fuga/parabola che al lettore viene sottoposta la rappresentazione della monarchia universale, l’unica parte di

Napoléon apocryphe che si può definire utopistica, immaginazione di una società

perfetta. Chi ha interpretato il romanzo di Louis Geoffroy anzitutto come un’utopia non si è soffermato abbastanza sul fatto che essa si pone al termine di un racconto che sembra sfidare deliberatamente la credulità del lettore, pur senza rompere mai del tutto con la possibilità di spiegazione razionale. Se l’autore avesse voluto presentare la monarchia universale come un ideale raggiungibile nel futuro, cioè come un

programma utopistico, sarebbe stato più logico che ne presentasse l’avvento come

effetto di cose che sarebbero potute concretamente accadere. D’altra parte, la stessa monarchia universale ha aspetti universalmente definibili come positivi e altrettanti decisamente negativi; un’ambiguità che mette alla prova sia l’interpretazione “letterale” e sia quella satirica che porta a scorgervi un’anti-utopia.

124

3. La divergenza.