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Determinismi del medio evo e dell’età moderna.

 Una causa sine qua non.

4. Determinismi del medio evo e dell’età moderna.

Esaminando i brani più antichi di storia controfattuale si evince almeno in parte in quale contesto furono concepiti e quali fini asservivano. La premessa di Erodoto, se prestiamo fede al racconto, era disponibile nei fatti stessi e cioè nelle interpretazioni date degli oracoli: ciò che poteva accadere in passato, secondo lo storico, è ciò che allora si riteneva potesse accadere in futuro. Su questa premessa, lo storico formula una valutazione basata sulla concatenazione degli eventi ipotetici, fino a stabilire – un giudizio condiviso tuttora da molti studiosi – che la battaglia di Salamina fu un autentico bivio tra linee di sviluppo del tutto opposte. Per esprimere un tale giudizio occorre concepire la storia come un insieme significativo di fatti, che è tale anzitutto perché in esso si possono riconoscere cause ed effetti: l’attività dello storico consiste nello spiegare come e perché le cose sono accadute, al di là del generico fatalismo che le rimette al volere divino. Dietro questa attività esplicativa si può tuttavia scorgere una dimensione propagandistica, perché il giudizio sul passato può orientare i giudizi sul presente, e a questo scopo il ragionamento controfattuale, con i suoi effetti di inferenza e di contrasto, si rivela un efficace strumento retorico. Dalla retorica muove anche la speculazione di Tito Livio, che trae le mosse dalla diffusa pratica della synkrisis, la comparazione uomo-a-uomo, e dalla sua sottospecie chiamata imitatio Alexandri. Considerando le Vite parallele di Plutarco e lo stesso Ab urbe condita, ci si accorge che all’interno di queste forme retoriche aveva un certo spazio anche la logica controfattuale, e che la stessa ipotesi di uno scontro tra i macedoni di Alessandro e i romani era tutt’altro che inedita: a vagheggiarla erano tanto gli storici filo-ellenici come Metrodoro e Timagene quanto coloro che esaltavano la figura di Papirio Cursore, ciascuno col suo interesse particolare. Ma la digressione di Livio si discosta dal confronto individuale, giungendo, attraverso una metodica analisi dei fattori, a esaltare le istituzioni politiche e le tradizioni militari romane. Nella sua conclusione, non altrimenti da quella di Erodoto, si può leggere un elemento che trascende la spiegazione e si situa nell’ambito della propaganda. Del resto ambedue i brani si presentano come risposte a interlocutori polemici, il che implica una presa di posizione per quanto sorretta da argomentazioni razionali. Allo stesso tempo, queste risposte sono avvertite dagli autori come “trasgressioni” dall’attività storiografica, digressioni che è opportuno segnalare come tali; nel farlo, Tito Livio esibisce una formula rituale di scuse e

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un’affettazione di modestia che si può considerare come il primo commento sulla storia controfattuale, ritenuta o piuttosto presentata come una variante minore della storia dei fatti.

Questa sintesi è opportuna a introdurre un dato che il recente exploit della storia controfattuale ha portato a sottolineare con un certo stupore, cioè che non si conoscono scritti di questo tipo prodotti in Occidente tra il I e il XIX o almeno il XVIII secolo. Il pensiero dei “possibili irrealizzati” sembra così disponibile alla coscienza degli individui, così utile a spiegare il ruolo e la portata di specifici eventi entro fenomeni più

complessi188, che la sua assenza dalle scritture per un così lungo periodo quantomeno

colpisce. Vero è che le ipotesi controfattuali sono rare anche nella storiografia greco- romana, e che gli studiosi dei testi medievali si sono interessati di rado a questo oggetto specifico – il che significa che future e meglio indirizzate ricerche potrebbero portare alla luce brani finora trascurati. Nondimeno autori come Niall Ferguson e Jeremy Black hanno tentato di spiegare questo dato come la conseguenza dell’emergere, nella cultura dell’Occidente, di una filosofia della storia fortemente deterministica. A tutta prima il rapporto tra le due cose è evidente: se il corso degli eventi è predeterminato da un’entità metafisica o dalla “logica delle cose”, allora è di scarsa utilità interrogarsi su ciò che sarebbe potuto accadere ma non è accaduto, perché queste possibilità, seppure concepibili, non sono mai state concrete nella realtà. In particolare, la fede nella divina provvidenza rende inutile chiedersi se e come gli uomini avrebbero potuto agire altrimenti, e quindi quali colpe o meriti si debbano attribuire loro. Il determinismo storico avrebbe quindi inibito la concepibilità, o quantomeno l’opportunità, di speculare in termini controfattuali. Si è osservato come in Erodoto l’elemento divino non inibisca affatto il pensiero della libertà umana: se anche le scelte vanno considerate il prodotto di “buone” o “cattive” interpretazioni degli oracoli, nondimeno la loro responsabilità ricade interamente sugli agenti umani, e gli dei intervengono nella maggior parte dei casi per sanzionarle. Niall Ferguson ha ricordato che già in epoca anteriore a quella di Tito Livio, nel II secolo precristiano, un autore come Polibio proponeva un’idea di Fortuna dalle discrete analogie con quella cristiana di Provvidenza, asserendo che «Fortune has steered almost all the affairs of the world in one direction and forced them

to converge upon one and the same goal»189. Un irrigidimento ulteriore del fatalismo si

dovette a teologi come Giovanni Damasceno, per cui Dio indirizza il corso delle cose secondo un «giusto ordinamento» per vie incomprensibili agli uomini. Tuttavia lo stesso Ferguson ha puntualizzato:

«It would be wrong to exaggerate the determinism of ecclesiastical history. […] Divine intervention in history circuscribed, but did not eliminate the idea that individuals have some freedom. […] In that sense, neither classical nor Judaeo-Christian theology necessarily precluded a counterfactual approach. […] Augustine’s God is omnipotent and omniscient, but He has given men free will. […] In theleological terms, this put

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E’ la funzione esplicativa rivendicata dai fautori del controfattualismo «as a scientific method» (cfr cap.1); comprensibilmente essi non ne rivendicano il potenziale suggestivo, ma al contrario propongono criteri di metodo che almeno in teoria dovrebbero accrescere l’attendibilità delle congetture.

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N. Ferguson, " Towards a 'chaotic' theory of the past", in Virtual History: Alternatives and Counterfactuals, p. 22.

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Augustine somewhere between the absolute fatalism of Manichaeism, which denied the existence of free will, and the Pelagian view that free will could not be compromised by the imperfection of original sin. […] During the Reinassance there had been something of a revival of the original classical conception of the relationship between divine

purpose and human freedom»190.

Anche Jeremy Black, ha osservato che il rapporto tra predeterminazione, libero arbitrio e pensiero del possibile nella cultura del medio evo non appare così univoco: «the use of the question: Why? implying alternatives was not central in medieval exposition, [however] medieval people could and did use implicit counterfactuals to project future possibilities when making choiches. […] The question What If? had probably limited resonance for people anxiously attempting to discern the workings of Providence, but […] even in the early medieval chronicles that most frequently emphasise religious

considerations, historical actors exercised free will»191.

Tutto ciò porta a concludere che sebbene il determinismo cristiano può avere inibito la diffusione di ipotesi controfattuali, sarebbe troppo schematico vedere un rapporto di assoluta incompatibilità tra le due cose. Del resto Niall Ferguson, come già prima Charles Renouvier, ha osservato che le moderne teorie scientifiche e la secolarizzazione non hanno affatto eliminato il determinismo dal pensiero della storia, ma semmai lo hanno rinforzato sotto nomi diversi: «if there is a connection from theology to fully fledged historical determinism, it must therefore be an indirect one, mediated by the

self-consciously rationalistic philosophies of the eighteen century»192.

Naturalmente noi non sappiamo se gli uomini del medio evo pensassero in termini controfattuali nella vita quotidiana, e ogni ipotesi che si può formulare si basa sui testi che ci sono pervenuti. Alcune forme della storiografia medievale, come gli annali, sembrano intrinsecamente inadatte a sviluppare congetture ipotetiche, perché in esse gli eventi sono registrati come altrettante unità, e non collegati da relazioni causali che vi attribuiscano un significato. In testi dalla forma più narrativa, come la Storia dei

Franchi di Gregorio di Tours, non era previsto che l’autore esprimesse la sua opinione,

e in ogni caso la spiegazione degli eventi era spesso miracolosa, dunque sottratta alla libertà umana d’iniziativa. Ne è esempio il racconto della conversione di Clodoveo re dei franchi, una scelta squisitamente politica di alleanza con il clero che San Gregorio riconduce a un miracolo:

«La regina non smetteva di pregare perché Clodoveo arrivasse a conoscere il vero Dio e abbandonasse gli idoli. Eppure in nessun modo egli poteva essere allontanato da queste credenze, finché un giorno fu dichiarata una guerra contro gli Alamanni, durante la quale egli fu costretto per necessità a credere quello che prima aveva negato sempre ostinatamente. Accadde infatti che, venuti a combattimento i due eserciti, si profilava un massacro e l’esercito di Clodoveo cominciò a subire una grande strage. Vedendo questo, egli, levati gli occhi al cielo e con il cure addolorato, già scosso dalle lacrime, disse: “O Gesù Cristo, che Clotilde predica come figlio del Dio vivente, tu che, dicono, presti 190 Ivi, pp.23-26. 191 J. Black, op cit, pp.39-40. 192 N. Ferguson, op cit, p.26.

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aiuto a coloro che sono angustiati e che doni la vittoria a quelli che sperano in te, io devotamente chiedo la gloria del tuo favore, affinché, se mi concederai la vittoria sopra questi nemici e se potrò sperimentare quella grazia che di te dice d’aver provato il popolo dedicato al tuo nome, io possa poi credere in te ed essere così battezzato nel tuo nome. Perché ho invocato i miei dei ma, come vedo, si sono astenuti dall’aiutarmi; per questo credo che loro non posseggano alcuna capacità, perché non soccorrono quelli che credono in loro. Allora, adesso, invoco te, in te voglio credere, basta che tu mi sottragga ai miei nemici”. E dopo aver pronunciato queste frasi, ecco che gli Alamanni si volsero

in fuga, e cominciarono a disperdersi.»193

Questo racconto, come segnalò già Isaac D’Israeli, piega gli avvenimenti militari a un aneddoto miracoloso che giustifica l’alleanza di Clodoveo con il clero. Non avrebbe alcun senso, allora, domandarsi “cosa sarebbe accaduto se gli Alamanni avessero vinto?”, perché questa possibilità è tutt’al più subordinata all’imperscrutabile volontà divina.

Si può ancora osservare che le speculazioni di Erodoto e di Livio nascevano, o almeno erano presentate, come risposte a dibattiti dalla forte impostazione retorica, come le comparazioni della synkrisis attraverso le quali si stabilivano analogie, differenze, gerarchie tra uomini eccezionali. Nel medio evo la storiografia non era altrettanto legata alle tecniche degli oratori latini. Vero è che Sant’Agostino, nel De Doctrina Christiana, aveva riprodotto l’impianto della retorica classica, ma il suo tipico campo di applicazione era l’esegesi dei testi sacri.

Se le ipotesi controfattuali fossero esclusivamente legate al determinismo storico, ovviamente in rapporto negativo, allora si faticherebbe a spiegare perché, se è vero che l’età secolare ha prodotto nuovi e più forti determinismi, a partire dal XIX secolo autori come D’Israeli e Renouvier ripresero a utilizzarle con ben più spazio e consapevolezza rispetto all’antichità. La tesi di Ferguson (e dello stesso Renouvier) non è inaccoglibile, se consideriamo ad esempio la formulazione deterministica di Laplace, di matrice scientifica e matematica:

«Un intelligence qui, pour un instant donné, connaîtrait toutes les forces dont la nature est animée, et la situation respective des êtres qui la composent, si d’ailleurs elle était assez vaste pour soumettre ces données à l’analyse, embrasserait dans la même formule les mouvements des plus grands corps de l’univers et ceux du plus léger atome: rien ne

serait incertain pour elle, et l’avenir comme le passé, serait présent à ses yeux»194

. Il determinismo di Laplace descrive però la realtà in sé, e non la sua conoscenza da parte dell’uomo: al contrario, la possibilità di conoscere tutte le variabili che a ogni istante determinano l’accadere si presenta come un paradosso. D’altronde nel XIX secolo la storia controfattuale, come anche l’ucronia, ha avuto ben poche manifestazioni ed è rimasta ai margini della cultura fino a tempi piuttosto recenti, l’epoca post- ideologica o persino post-storica. Ma non bisogna necessariamente dedurne una quasi incompatibilità con il determinismo, perché D’Israeli fornì diversi esempi

193

Massimo Oldoni (cur), Gregorio di Tours, La storia dei Franchi, Napoli, Liguori, 2001; pp.130-135.

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contemporanei di storia controfattuale, semplicemente nascosti in testi tradizionali e non accompagnati da commenti metacritici. Stando a Ferguson, la diffusione della cultura marxista nel XX secolo ha ulteriormente inibito la diffusione dei controfattuali negli studi storici, ma anche questa associazione potrebbe essere troppo drastica. Recentemente Ann Talbot ha dimostrato che negli scritti di Marx, di Plekhanov, di Trotsky e dello stesso Carr (che definì il controfattualismo «merely a parlour game»), si trovano discrete concessioni al ruolo dei fenomeni contingenti e aleatori nel determinare l’esito di eventi anche importanti. Le “leggi storiche” descritte da Marx non sono sovrapponibili al continuo e puntuale intervento della provvidenza cristiana nella vita umana, e pur descrivendo uno sviluppo inevitabile della civiltà non escludono che il ritmo di questo sviluppo, a causa dell’iniziativa umana o di fattori casuali, possa essere accelerato o ritardato. D’altronde anche in Uchronie si può scorgere un certo determinismo, perché se il cambiamento sottostà all’iniziativa di alcuni individui (Avidio Cassio e Marco Aurelio), questa sembra poi innescare un progresso prima o poi destinato a imporsi; difatti l’«utopia nella storia» non consiste in un modello del tutto diverso di civiltà, ma nel progresso precoce della civiltà occidentale.