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Uchronie  Struttura.

 Il pensiero del possibile nella storia.

3. Uchronie  Struttura.

Quasi tutti i commenti a Uchronie, qualunque ne sia la provenienza, mostrano la difficoltà di collocare l’opera nel sistema dei generi letterari. Augusto Del Noce ha parlato di «una esemplificazione, certo letterariamente non troppo felice, di questa critica della filosofia della storia. […] Una delle opere più singolari […] dell’intera

storia della filosofia»367. Vittore Collina lo ha definito «una specie di romanzo storico-

filosofico». Pierre Versins ne ha riconosciuta l’originalità «dans la mesure où s’interroge avec pertinence sur la validité et l’intérêt de sa démarche. […] Avec Renouvier, c’est non seulement l’uchronie dans ce qu’elle peut avoir de plus sérieux,

mais c’est aussi l’uchronie qui réfléchit sur elle-même»368

. Jacques Van Herp, un giudizio condiviso da Gordon Chamberlain, ha affermato che «l’œuvre de Renouvier est

de celles dont on souhaite la lecture à ses ennemis»369, probabilmente pensando a uno

standard letterario di piacevolezza. Più articolato il commento di Emmanuel Carrère: «le livre clé de notre matière […] et un catalogue raisonné de ses desseins et de ses difficultés. […] Il s’agit d’un ouvrage de réflexion plutôt que d’invention romanesque. […] Renouvier, sans doute, a voulu faire œuvre scientifique, codifier, illustrer [...] les

367

A. Del Noce, Op cit, p.203.

368 P. Versins, “Uchronie”, in Encyclopédie de l'utopie, des voyages extraordinaires et de la science

fiction, Parigi, L'Âge d'Homme 1972, p.904.

369

J. Van Herp, Panorama de la science-fiction: Les thémes, les genres, les écoles, les problémes, Gérard, 1973, p.67.

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règles d’un jeu de l’esprit»370

. Infine, Marc Angenot, ha rilevato che «non ha avuto continuatori nel campo […] in cui si poneva, […] il tentativo di dare alla storiografia

fantastica lo statuto di una meditazione filosofica»371. Dunque un’opera anfibia nella sua

forma, romanzesca dal punto di vista dei filosofi e ostica se guardata con gli occhi del critico letterario. La metodologia speculativa che Uchronie esemplifica era rivolta agli ambienti filosofici, che non la accolsero con particolare entusiasmo né probabilmente con attenzione, ma è divenuta nel tempo la formula di un genere letterario; salvo essere poi ripresa nel modo più esplicito della counterfactual history.

Questa eterogeneità si può cogliere a colpo d’occhio dall’indice del volume del 1876:

 «Avant-propos de l’éditeur».

 «Appendice sans titre, par un auteur du XVIIe siècle. Pouvant servir de préface».

 «Uchronia», in cinque «tableau».

 «Deuxième partie de l’appendice du livre d’uchronie. Note finale du fils, second

dépositaire du manuscrit».

 «Troisième partie de l’appendice du livre d’uchronie. Note finale du petit-fils,

troisième dépositaire du manuscrit».

 «Postface de l’éditeur».

I titoli delle diverse sezioni fanno intendere che il testo è il prodotto di una cura editoriale a partire da materiali eterogenei ma geneticamente legati uno all’altro. L’«éditeur» è una figura anonima che solo nella postfazione si firma come «Charles Renouvier», ma che in realtà è un elemento costitutivo della finzione su cui è costruito il testo. Questi rivendica la scelta del titolo del volume, che per esteso è Uchronie

(l'utopie dans l'histoire). Esquisse historique apocryphe du développement de la civilisation européenne tel qu'il n'a pas été, tel qu'il aurait pu être372. Uchronia373

sarebbe il titolo del manoscritto originale, composto in latino e proposto in traduzione francese: «le sous-titre que nous avons adopté, après bien de tâtonnements, […] indique l’objet moral du livre. […] Il était difficile de faire mieux que d’énoncer en termes

généraux la pensée neuve et le genre insolite»374. «Utopia nella storia» è quindi

un’espressione dell’editore, scelta per ricondurre il «pensiero nuovo» e il «genere insolito» a qualcosa di familiare al pubblico, il che può giustificare l’approssimazione della formula rispetto a ciò che descrive: non una vera e propria rappresentazione utopistica, quanto l’immaginazione di un progresso precoce della civiltà.

370

E. Carrère, Le détroit de Behring: Introduction à l'uchronie, P.O.L., 1986, p.75.

371

M. Angenot, D. Suvin, J. Gouanvic, "L'uchronie, histoire alternative et science”, in IF. Rivista dell’insolito e del fantastico, n.3 (marzo 2010), p.29 (tr. C. Bordoni) [1982].

372 Si fa qui riferimento all’edizione: Cressé, PyréMonde, 2007. Un’altra edizione in commercio è: Parigi,

Fayard, 1988. La prima edizione in volume è: Parigi, Bureau de la Critique Philosophique, 1876; anche: Parigi, Alcan, 1901.

373 D’ora in poi «Uchronia» sarà riferito alla parte del testo di Renouvier che corrisponde alla traduzione

in francese del presunto manoscritto latino, e «Uchronie» al testo integrale (volume). «Uchronia» era anche il titolo del primo nucleo dell’opera, pubblicato nel 1857 sulla Revue Philosophique et Religieuse.

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L’indice del volume presenta quattro autori testuali: lo stesso editore, l’autore di

Uchronia, il secondo e il terzo «dépositaire du manuscrit», che rispettivamente firmano

le prime due e l’ultima delle «appendici». Queste figure sono introdotte nell’«avant- propos», traducibile come prefazione generale o dell’editore per distinguerla dalla prima appendice «pouvant servir de préface», e con esse è anche espressa la genesi e trasmissione del manoscritto fino al presente.

La prima e la seconda appendice, poste rispettivamente prima e dopo l’ucronia, risultano scritte dallo stesso individuo anonimo ( il «figlio, secondo depositario») in tempi diversi: l’una verso il 1633, come si desume dal riferimento alla recente abiura di Galileo, l’altra certamente nel 1658. Diverso è anche il carattere dei due scritti. Nell’«appendice sans titre» posta dall’editore a guisa di prefazione, «se trouve exposé tout ce que nous savons de l’origine et des premières aventures du livre d’Uchronie». E’ una lettera destinata ai figli in cui l’autore rievoca la sua gioventù e la figura del padre, ma soprattutto quella dell’autore del manoscritto che si trova nelle sue mani. Si tratta di un prete condannato per eresia e morto sul rogo «un peu après Giordano Bruno», che ha affidato al suo confessore (padre dell’autore) il proprio testamento intellettuale. Quest’ultimo ha poi trasmesso al figlio Uchronia affinché potesse comprendere, come lui tempo addietro, quale fonte di intolleranza sia la chiesa cattolica e di rassegnazione il pensiero fatalista cristiano. L’insegnamento è affidato a un racconto esemplare, che simulando il registro dei libri di storia narra come l’iniziativa di alcuni uomini virtuosi, in epoca tardoromana, abbia posto le basi di una civiltà libera dai poteri assoluti e dal fanatismo religioso. Nella seconda appendice, il custode del manoscritto offre ai figli un compendio storico da leggersi come contrappunto a Uchronia, un’enciclopedia delle guerre, delle eresie, delle persecuzioni, dei conflitti di successione tra il II e il XVI secolo. E’ una cronologia solo apparentemente parallela a quella del racconto di padre Antapire, perché il Cinquecento di Uchronia è misurato sul calendario grecoromano e non su quello cristiano, e se somiglia nella sostanza al Cinquecento che conosciamo è proprio perché la civiltà è progredita più in fretta. In questo modo, la seconda appendice di Uchronie non solo spiega cosa è accaduto realmente al posto dei fatti immaginari, ma anche cosa è accaduto in epoca successiva e fino al presente, proprio perché quei fatti non sono mai accaduti e l’Occidente non si è mai liberato dal cristianesimo e dall’assolutismo. La terza appendice, infine, risulta scritta dal «petit-fils» nonché «troisième depositaire du manuscrit». Come la prima, anch’essa rievoca la storia dell’autore e della sua famiglia, ma le vicende sono perfettamente inserite nello scenario autentico della guerra di successione franco-spagnola e della persecuzione dei protestanti olandesi sotto Luigi XIV. Il testo, datato 1700, ha una coda scritta quindici anni dopo e cioè poco dopo la pace di Utrecht del 1713, e dimostra come la condizione dei perseguitati non sia cambiata: l’unico figlio sopravvissuto dell’autore è ancora prigioniero. Preda della disperazione, il terzo depositario di Uchronia non crede nella possibilità che il suo insegnamento attecchisca in un mondo ancora segnato dall’intolleranza religiosa. L’editore, che commenta i diversi scritti con note a piede di pagina, critica questa conclusione riaffermando l’attualità pedagogica del messaggio di padre Antapire, ed esprimendo la convinzione che la sua diffusione nel XVIII secolo del terzo depositario avrebbe giovato al progresso della civiltà.

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Chiude il testo la «postfazione dell’editore», siglata da Charles Renouvier. Il vero autore di Uchronie si rivela solo al termine della finzione, per giustificare la metodologia speculativa che l’ha sorretta. In senso logico non è possibile identificare l’«éditeur» con Renouvier, perché il primo è evidentemente parte integrante della

fiction, avvalorando l’autenticità storica di scritti e di autori fittizi. Questo edificio

finzionale risulta molto credibile, perché tutti gli pseudo-autori sono inseriti in contesti storici minutamente rievocati, e i loro discorsi simulano in modo efficace le forme del racconto storico e del memoriale, così come l’«avant-propos» dell’editore è plausibile come introduzione storico-critica di un testo del passato. Al tempo stesso, Renouvier non sembra puntare al massimo della contraffazione, in primo luogo perché l’espediente del falso manoscritto era un topos della letteratura storica di finzione e facilmente riconoscibile come tale, poi perché la figura dell’autore di Uchronia non è del tutto coerente con il contesto nel quale è calato, ma è per molti versi un trasparente alter ego del vero autore. Padre Antapire va preso piuttosto come un simbolo di vittima della persecuzione religiosa alla quale è possibile opporre una virtù stoica, quindi un esempio per i contemporanei, come esemplare è il racconto dato come la sua eredità intellettuale. L’ucronia è quindi il trait-d’union tra gli scritti che compongono il testo di Renouvier. Le appendici e la prefazione generale parlano del presunto manoscritto e della sua trasmissione nel tempo, ne esplicitano il messaggio etico, lo avvalorano con testimonianze e informazioni. Il dialogo tra le diverse parti del testo mette poi in scena il rapporto ideale tra Uchronie e i suoi lettori, perché è evidente che i custodi del manoscritto sono alter ego di questi ultimi così come padre Antapire lo è dell’autore empirico. La prima appendice, in particolare, rappresenta una trasmissione di sapere intersoggettiva tra padre Antapire e il suo confessore, tra quest’ultimo e il figlio. Oltre una versione alternativa e possibile della storia, Uchronie illustra un processo sotterraneo di liberazione delle coscienze, che la pubblicazione del manoscritto nel 1876 avrebbe portato finalmente alla luce invitando i lettori a proseguirlo.

L’«avant-propos» dell’editore.

Alla figura dell’editore competono dunque quattro attività:

 Stesura dell’«avant-propos» o prefazione generale.

 Cura editoriale del testo (traduzione dal latino, disposizione delle parti, titolazioni).

 Note a pie’ di pagina.

 Stesura della postfazione.

Trascurando per ora quest’ultima, che si situa al di fuori della costruzione finzionale,

consideriamo dapprima l’«avant-propos»375. L’editore introduce l’ucronia come

un’opera fortemente originale e sorprendentemente moderna, che «suppose chez

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l’auteur une instruction libre et entendue, des notions et bien des choses de science, très épurées pour son temps, et des sentiments plus rares encore. C’est le seul motif que nous puissons admettre d’en suspecter l’authenticité, mais ce motif suffit d’autant moins, que les idées de ce moine, extraordinaires en 1600, paraitront encore étranges à la plupart de nos lecteurs». Il sospetto di inautenticità sembra un indizio offerto ai lettori, o piuttosto un ammiccamento, ma più avanti nella prefazione dell’editore questi esorta: «que les antiquaires viennent donc consulter et vérifier le texte», avvertendo poi che «le propriétaire actuel du manuscrit s’en montre fort jaloux, et refuse d’ailleurs d’être nommé. Nous blâmons cette détermination, mais nous devons la respecter». Il problema dell’autenticità resta così sospeso tra sospetto e reticenza, ma l’editore afferma infine che è secondario rispetto al valore dell’opera per i contemporanei : «le latin n’est rien, la paléographie n’est rien ici ; la pensée est tout ; la voici en français à l’adresse de tous ceux qui lisent. En profite qui peut». Un valore che risiede nell’originalità del racconto, ma ancor più nel messaggio che se ne ricava:

«Il s’agit de l’histoire d’un certain moyen âge occidental que l’auteur fait commencer vers le premier siècle de notre ère et finir dès le quatrième, puis d’une certaine histoire moderne occidental qui s’étend du cinquième au neuvième […] Mêlée de faits réels et d’événements imaginaires. […] Utopie des temps passés. […] L’écrivain […] ne nous avertit ni de ses erreurs volontaires, ni de son but : Arrivé au terme seulement, il pose la liberté morale de l’homme, […] mais sans quitter la fiction. […] Il ne laisse ses passions s’y trahir qu’un moment. […] Visionnaire qui rêve le passé, il s’exprime avec la même

assurance que ferait l’historien le plus sage et le plus attentif. »376

L’introduzione riassume tutti gli aspetti più significativi dell’ucronia, rendendoli intelligibili al pubblico del 1876. Si comprende che le categorie storiche di medio evo ed età moderna sono retrodatate di alcuni secoli, mescolando «fatti reali e avvenimenti immaginari» per raffigurare una «utopia dei tempi passati». Anche se l’editore non approfondisce i contenuti del racconto, si può intuire che l’”utopia” consiste proprio nell’accelerazione della storia che permette di parlare di età moderna rispetto all’epoca in cui nella realtà si situa invece l’inizio del medioevo. L’editore spiega quindi l’essenza della finzione ucronica, che consiste nel presentare il racconto senza avvertire degli «errori volontari» commessi. Sui lettori ricade quindi l’onere di riconoscerli, ma anche quello di decifrare l’intento di questa invenzione, giacché l’autore si esprime come farebbe «lo storico più saggio e più attento»: quasi volesse far credere, ingannevolmente, che siano fatti realmente accaduti. Ma al termine trapela il vero messaggio, la «libertà morale dell’uomo». Un messaggio che non solo l’editore, ma anche gli autori delle appendici esplicitano a beneficio dei lettori, così come del resto segnalano una buona parte degli «errori volontari». Tuttavia in queste righe si trova una descrizione perfetta della «true alternate history», un puro racconto che presenta il falso come verità storica, eventualmente simulando anche le forme tipiche della storiografia. Senza l’ausilio ermeneutico dei commentatori testuali, soltanto l’erudizione permetterebbe al lettore di discriminare il vero dal falso, e soltanto la riflessione lo

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porterebbe a capire quali intenzioni e quali messaggi esprima questa “falsificazione non ingannevole”.

Il resto dell’«avant-propos» è dedicato a spiegare perché, come afferma l’editore, «la publication de ce manuscrit eut été impossible il y a deux siècles ou plus». I suoi primi depositari, tra la metà dei Seicento e l’inizio del Settecento, lo hanno tramandato di padre in figlio senza osare renderlo pubblico per paura di subire persecuzioni; ma «d’autres raisons s’opposaient à la publication du manuscrit pendant le dix-huitième siècle», ragioni che hanno a che fare con le condizioni della cultura. «L’histoire», spiega l’editore, «fut enfin conçue au dix-huitième comme une science. […] Il est de la nature d’une science de supposer et de chercher des lois nécessaires, et il est de la nature des faits, dans le sciences mathématiques et physiques, d’être des faits nécessaires. Une science qui se fonde […] tend naturellement à se modeler sur les sciences déjà

connues»377. E’ il determinismo fondato sulle leggi fisico-matematiche, assunte dalla

storia per fondarsi a sua volta come una scienza esatta in mancanza di premesse teoretiche proprie. Così la secolarizzazione dell’età moderna non ha superato, ma riprodotto le leggi «a priori» contestate da Renouvier nella Filosofia analitica della

storia. L’editore parla anche di un altro genere di necessità sentita dagli autori del

Settecento, questa di ordine morale: la necessità di legittimare le istituzioni democratiche come punto d’arrivo di un progresso inevitabile della civiltà, quindi una teleologia della storia a sua volta deterministica: «les écrivains du dix-huitième siècle en France, et Condorcet lui-même, ne furent pas décidément enclins à ce point de vue fataliste: c’est que, préoccupés avant tout de leur lutte contre les traditions d’intolérance, […] ils auraient eu mauvaise grâce à proclamer la nécessité des institutions». Rispetto a una tale istanza, l’Uchronia sarebbe apparsa come «un maladroit qui vient jeter le

trouble dans un parti uni, discipliné, résolu»378, mostrando che non c’è nulla di

inevitabile nel corso degli eventi, ma solo una serie di possibilità a disposizione degli

individui. L’illuminismo non ha, quindi, liberato l’uomo dal fatalismo, e all’inizio del XIX secolo, come reazione al razionalismo e al fallimento storico dell’ideologia del progresso, sono sorte «des tendances plus fatalistes […] religieuses et philosophiques. […] Nous avons abandonné le culte du rationnel dans les arts, pour nous engouer du fantastique et de l’étonnant, que nous avons qualifié de poétique. […] Tout le nœud de cette réaction est dans le culte de l’histoire». Da ultimo, «des penseurs encore plus hardis, […] lisant dans le passé l’avenir, ont fixé le sort de l’humanité future». Sembra un’allusione a Karl Marx e al suo materialismo storico, e prima di lui al socialismo utopistico di Fourier, Owen e Saint-Simon, coloro «que nous avons applaudis dans la naïveté de notre jeunesse» ma che «ne savaient pas pourquoi, et comment et quel serait, même en gros» il domani dell’umanità.

Ancora oggi, conclude l’editore, «l’esprit du fatalisme historique est vaincu, mais ne se rend pas»; pertanto, «dans l’état actuel […] nous avons pensé que l’Uchronie d’un moine du XVI° siècle pourrait n’être pas un complet anachronisme». Il compito dell’ucronia non è facile, perché si scontra con abitudini mentali assai radicate: «ce n’est pas que nous nous fassions la moindre illusion. Nous n’ignorons ni la puissance des

377

Ivi, p.7.

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habitudes intellectuelles, ni la difficulté de faire bien accueillir des hommes la responsabilité que leur apporterait la croyance en l’efficacité de leurs volontés libres, au lieu de la commode placidité de l’optimisme». Ma dopo aver dichiarato una sfida quasi eroica alle consuetudini, l’editore muta del tutto registro con una dichiarazione di umiltà: «je demande pardon au lecteur pour cette ambitieuse préface, si peu convenable

à la modestie de son état, […] au lieu d’annoncer une simple curiosité littéraire»379. E’

un’affettazione retorica intrisa però di sarcasmo, che denuncia la pochezza della cultura dei tempi e in questo modo, provocatoriamente, rilancia l’appello alla responsabilità. Viene in mente l’introduzione di Tito Livio alla sua digressione su Alessandro, proposta come un «piacevole svago» benché in realtà si trattasse di un’analisi impegnativa della forza romana e di quella macedone; e come padre Antapire, anche Livio poneva nella conclusione il tema della responsabilità collettiva nel preservare l’«armonia» che sola avrebbe garantito la vittoria su qualunque potenziale avversario.

Nell’«avant-propos» di Uchronie si ritrovano i temi più cari a Renouvier: l’apologia dell’individuo, della libertà e della morale, la critica del determinismo o del fatalismo. L’editore accenna solo di sfuggita al rapporto tra i movimenti culturali e il potere, e nondimeno trapela da queste pagine l’idea che, seppure a partire dalle premesse più nobili, tutti i sistemi storico-filosofici degli ultimi due secoli abbiano inibito il progresso e la vera rivoluzione. Il meccanicismo, l’illuminismo, l’utopismo hanno riprodotto la mentalità fatalista che era servita alla chiesa, alleata con il potere assoluto, per reprimere la libertà personale e collettiva. Oltre cent’anni dopo Renouvier, Niall Ferguson avrebbe segnalato la stessa continuità per spiegare come mai i “se” siano stati così a lungo interdetti dalla storiografia occidentale. Avendo assistito al fallimento delle rivoluzioni del 1830 e del 1848, e vivendo ancora sotto la dittatura di Napoleone III quando scrisse il nucleo originario di Uchronie, il vero padre Antapire si era evidentemente convinto dell’inefficacia di quelle teorie rispetto a istanze che pure, in larga misura, probabilmente condivideva. Per diffondere la cultura della libertà personale tra i contemporanei egli pensò allora di rappresentare il passato come teatro di scontri tra possibilità altrettanto concrete nelle mani degli individui. E’ in fondo lo stesso presupposto dei pensieri controfattuali prodotti dagli individui nella vita quotidiana: rintracciare le cause del presente in un’azione compiuta o spesso non compiuta in passato serve soprattutto a reimpostare l'azione per il futuro.

L’appendice «pouvant servir de préface»: padre Antapire.

Questo scritto indirizzato «a mes enfants» è a un tempo memorialistico ed epistolare. Diversamente dalle altre appendici non ha un’intestazione, ma un riferimento a