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Oltre il realismo.

 Il narratore come storico.

5. Oltre il realismo.

Lo strano, il bizzarro, il fantastico.

Tutti gli elementi riconducibili alla categoria del realismo, inteso sia come plausibilità degli eventi, sia come coerenza della finzione con la realtà, sia infine come mimesi

storiografica del racconto, si trovano con maggiore densità nei primi tre libri di Napoléon apocryphe. Non che in seguito tali elementi spariscano, ma nel complesso

appare evidente un progressivo allontanamento del racconto dall’ambito del realismo. Questa evoluzione coinvolge simultaneamente tutti gli aspetti della rappresentazione, benché in modi e in gradi diversi. A cambiare è soprattutto la natura degli avvenimenti, che si può misurare sia sul metro della plausibilità storica, sia su quello più generico dell’ammissibilità razionale. La divergenza soddisfa entrambi i criteri, mentre eventi successivi sono teoricamente possibili, ma pressoché chiunque li giudicherebbe improbabili; infine si ha a che fare con episodi non solo improbabili, ma via via epici, fiabeschi, agiografici, soprannaturali, miracolosi.

In realtà già nel terzo libro v’è un episodio che sfida la credulità dei lettori, non solo sul piano della plausibilità storica ma anche su quello delle spiegazioni razionali. Nel capitolo “La vie et la mort” (III, 3) si racconta che «à cette époque de 1819, une grande recherche scientifique fut tentée, […] celle de la vie, du mystère de la vie et de la mort. […] Bichat, Corvisart et Lagrange conçurent à peu près de le même temps l’idée. […]

On se rappelle l’enthousiasme que produisit, au moins de septembre 1818314

, le rapport fait par Bichat à l’Institut au nom de ses deux confrères. […] Ils avaient retrouvé dans la plus haute physique la force même de la vie. […] La vie individuelle de chaque monde, et la vie relative de tous, n’étaient plus qu’un effet du grand principe qu’ils avaient découvert. […] Cette œuvre immense illustrera notre âge, comme la découverte de l’Amérique a illustré la sien. […] En juin 1819 parut le grand ouvrage intitulé :

Découverte de la vie et de la mort dans l’homme et les êtres organisés»315. L’incredibile

evento è ammantato di storicità attraverso la menzione dei grandi scienziati, il riferimento alla conoscenza pubblica («on se rappelle») e la citazione di un’opera sulla stessa scoperta – tre espedienti tra i più comuni fra le strategie del realismo di Napoléon

apocryphe. Di per sé, resta però un fenomeno che trascende la spiegazione razionale,

tanto più che è descritto in termini vaghi come «la force même de la vie», una versione

314

Per coincidenza, nello stesso anno Mary Shelley scrisse Frankenstein: che alluda a questo l’incredibile scoperta di «la force même de la vie» ?

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laica della creazione divina. Poiché questo dato non gioca alcun ruolo nel racconto, esso sembra non avere altra funzione che quella di anticipare l’avveniristico se non magico sviluppo del progresso sotto la monarchia universale.

Tolto questo episodio isolato, nei libri I-III di Napoléon apocryphe gli eventi sono pressoché tutti riconducibili a una spiegazione razionale, comunque li si giudichi in senso probabilistico. Le cose cambiano, dai due punti di vista, nella seconda metà del romanzo, benché non vi sia una netta cesura. All’inizio del libro quarto, nei primi giorni del 1821, Napoleone annuncia i preparativi della campagna d’Oriente, che ha inizio alcuni mesi dopo. L’Egitto viene conquistato senza quasi combattere: «ce ne fut en effet qu’une promenade, et non pas une conquête. L’Egypte, qui tremblait à son souvenir et à la seule pensée de sa venue, tomba à genoux silencieuse quand il fut arrivée, pareille à ces divinités agenouillées de granit qui furent, pendant trois mille ans,

ses dieux»316. Qui, per la prima volta, Napoleone non s’impone con la forza delle armi,

ma sfruttando la soggezione superstiziosa che il suo nome ispira. Tra l’Europa, l’Africa e l’Asia sembra esservi questa differenza: nel vecchio mondo gli strumenti del potere sono quelli della guerra e della diplomazia; al di fuori, a contare più di ogni altra cosa sono fattori irrazionali come il misticismo e il fatalismo dei popoli. Il trapasso tra queste due dimensioni è sottile, perché anche in Spagna, oltre le armi, si era dimostrata essenziale l’alleanza con il papato e il cattolicesimo. Lo stesso accade in Oriente nel 1821, dopo la presa dell’Egitto, quando Napoleone, sconfitto ad Acri come già nel 1799, motiva il suo esercito parlando di riconquista della Terra Santa: una mossa ispiratagli dal fanatismo degli ottomani, che egli riconosce come una forza superiore alla fedeltà patriottica. Tuttavia, poche pagine prima, si trova il primo riferimento cronologico della campagna d’Asia, quando «se trouvait sur le territoire de Saint-Jean-

d’Acre»317

. La battaglia del 1821 è un vero e proprio deja vu della storia, una replica della sconfitta subita nel 1799 dal generale Bonaparte. All’epoca l’episodio ne aveva frenato i sogni di conquista a Oriente, sulle orme del grande Alessandro, ma il ritiro dalla Siria aveva preluso alla conquista del potere in Francia, con il colpo di stato del 18 Brumaio. E’ lo stesso Napoleone a sottolineare il parallelismo, interpretando la sconfitta come il segno di una futura vittoria: «rappelez-vous, messieurs, qu’il y a vingt-cinq ans un premier échec devant cette ville fatale fut suivi de la conquête de l’Europe. Cet autre

désastre de Saint-Jean d’Acre m’annonce la conquête du monde»318. C’è qualcosa di

chiaramente simbolico in questo ripetersi degli eventi, come se aprisse un secondo capitolo dell’ascesa bonapartista, e la data che il narratore menziona è il 7 giugno del 1821: la prima, nel romanzo, successiva alla morte di Napoleone nella realtà, un dato che fa simbolicamente del personaggio un fantasma o un doppio metafisico del prototipo.

Questa soglia del regime “fantastico” non è esplicita, ma è un fatto che da questo momento le cose sfidano la plausibilità storica e quasi la stessa ammissibilità razionale. La battaglia di Gerusalemme ha per conseguenza l’estinzione quasi totale e immediata della religione islamica, la sola forza che si opponesse realmente all’avanzata di 316 Ivi, p.196. 317 Ivi, p.200. 318 Ivi, p.203.

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Napoleone; con la distruzione, il saccheggio e l’incendio dei luoghi sacri, gli orfani di Maometto non tardano a invocare «le nouveau prophète Buonaberdi, comme elle

l’appelait»319

. Di qui in poi hanno luogo non più conquiste, ma occupazioni di terre tolte a popoli inermi: «le roi d’Espagne soumettait sans difficulté le Béloutchistan. […] Les habitants […] s’accommodèrent facilement d’une conquête qui […] les plaçait sous la domination de celui que la renommée leur peignait presque comme un dieu. […] Les

royaumes de la Cochinchine, de Siam et d’Anam allèrent au-devant de la conquête»320

. Grazie alla credulità di queste popolazioni, la grandezza umana di Napoleone assurge a un rango divino, confermato da occasionali miracoli come la fiera domata a Kabul («et le Asiatiques […] commençaient à croire que Napoléon était un dieu»). Queste reazioni non sono incompatibili con l’aura di “esotico” che circonda l’Oriente nell’immaginario collettivo (si intende, del 1836), e un elemento archetipico di questo immaginario – gli unicorni – viene ricondotto alla spiegazione razionale della scienza zoologica. Nondimeno in Asia accadono cose riferibili alla leggenda, come la scoperta – dovuta allo stesso Napoleone e al suo prodigioso intuito –della torre di Babele perfettamente intatta. Un’ultima rivolta in Egitto viene punita dall’imperatore deviando il corso del Nilo – come aveva fatto già con il Tevere – e condannando così il paese a una siccità che ricorda le piaghe bibliche. L’estremo Oriente è di per sé un “altro mondo”, sede naturale dell’esotico e dello strano: «tout est singulier dans la Chine, il semble que ce soit un monde à part jeté dans un autre monde; tout y est particulier, étrange, original». Pur essendo una civiltà millenaria, quella cinese appare l’incarnazione stessa del fatalismo, e si consegna inerme al conquistatore: «la Chine n’est nullement soucieuse de son indépendance; elle ne sait ce que c’est que la liberté. […] Destinée à être conquise […] elle s’abandonne sans défense et presque sans regret au premier venu qui veut en être le maitre. […] Pour eux, Napoléon n’était qu’une vingt-deuxième dynastie à

enregistrer dans leur annales»321.

Il racconto della conquista d’Asia combina quindi una spiccata atmosfera letteraria, che contiene l’epica e la leggenda, l’avventura e l’esotismo, e un clima di credulità religiosa che può vedersi come l’evoluzione dell’ascesa terrena di Napoleone. Non mancano le consuete risorse del realismo e gli elementi plausibili. Gli scavi archeologici di Palmira, ad esempio, rinviano ai primi studi condotti alla metà del XVIII secolo da Robert Wood e James Dawkins, diffusi in Europa con la pubblicazione di Les Ruines de Palmyra (1753), benché nella realtà fu solo alla fine dell’Ottocento che il sito divenne oggetto di consistenti ricerche scientifiche. Addirittura Geoffroy prevede l’apertura del canale di Suez (in realtà solo nel 1869), benché più che per agevolare la navigazione Napoleone la disponga per confinare l’Egitto sull’immensa isola-continente dell’Africa. Avanzando di paese in paese, Napoleone trova poi il tempo di emanare provvedimenti amministrativi per la Francia e l’Europa, spezzando il racconto avventuroso con elementi familiari al pubblico d’Occidente. D’altra parte, il narratore non riproduce documenti né riporta fedelmente le date e i luoghi, citando aree generiche come India o Birmania e a malapena specificando in che anno si svolgano i fatti, coerente in questo 319 Ivi, p.213. 320 Ivi, pp.244-45. 321 Ivi, pp.252-253.

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con l’avvertenza data all’inizio del libro IV di non volersi dilungare nel resoconto storico. La sezione della campagna d’Asia è così avvolta in un’atmosfera rarefatta e quasi fiabesca, come, in effetti, gli eventi sarebbero potuti giungere ai compatrioti di Napoleone, in una composta di notizie autentiche, aneddoti superstiziosi e propaganda celebrativa.

E’ in questo punto del romanzo che si trova il capitolo metafinzionale “Une prétendue histoire”, ed è facile accorgersi come le critiche del narratore al «coupable roman», rovesciando la prospettiva sui fatti, inducano a relativizzare l’eccezionalità di quanto si è appena letto. Chiusa questa digressione, la sfida del racconto alla credulità alza la posta con una serie di episodi al limite del meraviglioso. Dapprima Napoleone sbarca in Australia e ne esplora l’entroterra sconosciuto, scoprendo un immenso lago-mare al cui centro si trova un’isola vulcanica: una rappresentazione che evoca certe cartografie immaginarie, dove l’isola potrebbe anche essere quella di Utopia. Doppiato Capo di Buona Speranza, la flotta dell’imperatore si avvicina all’isola di Sant’Elena, dove è previsto un attracco. Ma avviene un fatto inspiegabile:

«Nous devons nous arrêter ici pendant quelques instants, et parler de l’impression extraordinaire que l’aspect de cette petite île au milieu de l’Océan produsuit sur l’âme de Napoléon. Au moment où […] Sainte-Hélène apparaissait à l’horizon, l’empereur pâlit, une sueur froide parut tout à coup se répandre et briller sur son front; on eût dit qu’un danger inconnu, qu’une apparition effrayante étaient venus glacer son âme et son sang»322.

Una reazione del tutto inspiegabile dal punto di vista del narratore, come pure la decisione, presa tempo dopo da Napoleone, di fare esplodere l’isola: «qui donc avait motivé cette condamnation à mort d’une ile par un homme ? Etait-ce caprice, souvenir,

horreur, crainte superstitieuse? Qui le sait?»323. Questo clin d’œil alla realtà del lettore

produce nel racconto una tipica situazione “fantastica” nell’accezione di Todorov, qualcosa che si potrebbe interpretare razionalmente (lo strano) o irrazionalmente (il

meraviglioso). Un sentimento (quello di Napoleone) non ha di per sé bisogno di

spiegazioni razionali, ma il lettore di Napoléon apocryphe avrà l’impressione che il protagonista “senta” la realtà parallela in cui l’isola di Sant’Elena simboleggia la sua caduta e la sua fine. Dopo questo episodio, l’imperatore supera indenne una prodigiosa tempesta marina, che pur non avendo nulla d’innaturale appare a lui stesso come una manifestazione del sublime. Rischiaratosi l’orizzonte, si profila in lontananza, come un’apparizione soprannaturale, un colosso nel mezzo dell’oceano: «cette apparition ne ressemblait à rien de ce que la terre avait montré jusque-là à l’horizon des mers. […] Il y avait dans ceci quelque chose de plus de terrestre, qui pourrait bien être une transition

de ce monde d’ici-bas, dont il avait déjà assez, vers ce monde d’au delà»324

. Ma si tratta di un’immensa statua («de dix mille pieds de hauteur») scolpita nella roccia di Tenerife con le fattezze dell’imperatore: «les plus illustres artistes, David à leur tête, avaient été 322 Ivi, p.264. 323 Ivi, pp.266-267. 324 Ivi, p.268-269.

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convoqués pour cette merveilleuse entreprise, et, depuis cinq années, des armées de sculpteurs, employant plus souvent le canon et la mine que le ciseau, s’étaient

constamment occupés de ce monument»325. Questi eventi sono compatibili con la

spiegazione razionale, ma è il linguaggio stesso del narratore a presentarli come incredibili o stupefacenti; d’altronde la statua di Tenerife è quantomeno un prodigio della tecnica, che in questo senso eccede il senso ordinario della realtà.

Ancora nel libro quinto si compie la conquista dell’Africa, che Napoleone delega al nipote Luigi Bonaparte sotto l’egida di «deux noms: le Christ et Napoléon. […] D’ailleurs, aucune lutte, aucune bataille, aucune résistance. […] Partout, à leur approche, les rois à la tête de leurs peuples, les chefs précédant leurs tribus, venaient d’agenouiller devant la croix aux flammes tricolores. Tout disaient que les prédictions

des temps passés étaient accomplies»326. La credulità religiosa delle popolazioni tribali

permette all’imperatore di conquistare un intero continente in soli due anni e senza neppure mettervi piede, tale è ormai la potenza evocata dal suo nome. Ma un grado analogo di irrazionalismo fanatico si registra tra i concittadini di Napoleone, quand’egli sbarca a Marsiglia e raggiunge Parigi in una marcia trionfale: «les scènes les plus extraordinaires signalèrent cet enthousiasme. […] Dans tout le Midi, des actes d’une admiration frénétique eurent lieu; des hommes se précipitaient sous les roues de sa voiture et criaient aux hommes qui la trainaient: “Avancez donc! Nous voulons mourir

devant lui et pour lui”»327. Poco più tardi, quando la resa degli stati americani non è

stata ancora resa nota, si diffonde tra la popolazione un presagio che questa volta lo stesso narratore avvalora, denunciando i limiti della ragione: «si l’homme s’écartait quelquefois de cette raison glacée qui le trompe avec ses vains calculs, il serait frappé d’étonnement à la pensée des mystères qui l’entourent et le pressent ; mais il les rejette

fièrement parce qu’il ne les a pas compris»328

. Il sentore trova conferma il 4 luglio del 1827, anniversario dell’indipendenza americana, con l’annuncio della monarchia universale; in una data e un luogo altrettanto emblematici, il 15 agosto nella cattedrale di San Napoleone, verrà incoronato il suo imperatore. In questa “utopia” si ritrovano tutte le specie dell’irrealismo che hanno fatto ingresso nella seconda metà del racconto: l’esotico e il leggendario, l’avveniristico e il magico-miracoloso.