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Il punto di divergenza.

La divergenza di un’ucronia si offre a considerazioni e classificazioni di diversa natura. In diversi racconti e romanzi essa contiene elementi fantastici (l’invasione aliena nella saga di Turtledove) o storicamente irrilevanti, essendo la quintessenza dell’evento casuale (l’uccisione di una farfalla nel racconto di Bradbury). Ancora più numerosi sono i testi nei quali la divergenza è teoricamente credibile e storicamente significativa, ma il modo in cui avviene non è adeguatamente spiegato: in molti casi, ad esempio, la “vittoria nazista” è poco più di un dato di fatto, e non ci viene detto come i nazisti siano riusciti a sconfiggere gli alleati. Nell’ambito della storia controfattuale, tutte queste soluzioni sono insoddisfacenti e perfino inammissibili come premesse ipotetiche, perché non esprimono una concreta possibilità che può aiutarci a capire come sono andate le cose e a ponderare i singoli fatti e le responsabilità annesse. Una premessa controfattuale, secondo Ferguson, Wenzlhuemer e altri fautori del metodo, dovrebbe consistere in possibilità che stando ai documenti si sono “quasi” verificate, tanto più se si tratta di scelte che i grandi attori della storia hanno effettivamente preso in esame, o perlomeno sono apparse probabili ai contemporanei. Su questo aspetto ha insistito anche Pierre Versins, fondando la distinzione tra «ipotesi» e «ipertesi» sulla fondatezza degli «elementi d’interrogazione». Ma i critici letterari dell’ucronia hanno preso la divergenza a criterio di altre tassonomie, fondate non tanto sulla plausibilità del racconto quanto invece sullo statuto dei mondi finzionali configurati dai testi. Chamberlain, per esempio, ha distinto la vera e propria «allohistory» da quelle storie che partono da «our timeline», presentandosi come racconti “pseudo-giornalistici” che a un certo punto introducono una divergenza ucronica. Similmente, Karen Hellekson ha stabilito che la «true alternate history» è ambientata «years after a nexus event», un

evento che corrisponde alla divergenza254.

Rispetto a quest’ultimo criterio, si dovrebbe concludere che Napoléon apocryphe non è una «vera storia alternativa» e forse neppure una «allohistory», dal momento che seppure per poche pagine il racconto è assimilabile a un romanzo storico, perché è collocabile in «our timeline». D’altra parte, che si tratti di una storia alternativa è chiaramente premesso dall’Autore testuale, ma proprio questa premessa ci fa comprendere l’inutilità della distinzione logica tra forme pure e impure dell’ucronia: dovunque sia collocata la divergenza, dal punto di vista cognitivo essa è ciò che fonda e autorizza l’immaginazione di un corso storico alternativo, che è per ciò “indipendente” solo nella misura in cui si oppone a una verità data e riconosciuta, e che si suppone riconosca anche il lettore.

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Il reale e il possibile: due versioni a confronto.

Molto più interessante è considerare il rapporto tra la divergenza di Napoléon

apocryphe e le possibilità della storia. I primi capitoli riportano dati assolutamente

esatti: la grande armée entrò in una Mosca evacuata il 14 settembre del 1812; Napoleone occupò il Cremlino; la notte tra il 15 e il 16 settembre la città fu data alle fiamme, e fu accertato che l’ordine partì dal governatore Rostopchin. Quindi, nel terzo capitolo del romanzo, intitolato “Départ de l’armée”, apprendiamo che «l’empereur, qui ne voulait pas laisser le temps s’écouler inutilement et qui désirait profiter de la saison encore favorable, ordonna le départ pour le 20 septembre, et après avoir assemblé un

conseil, il décida qu’on marcherait sur Pétersbourg»255

. In realtà Napoleone tenne Mosca in assedio per trentacinque giorni, aspettandosi la capitolazione dello zar. Il 20 settembre inviò una proposta d’armistizio a San Pietroburgo, dove si trovava Alessandro I, e altre delegazioni partirono il 5 e il 14 ottobre. Solo il 19 ottobre, non avendo avuto risposta, l’imperatore ordinò la ritirata. Attraversando l’immenso territorio russo, l’esercito fu piegato dalla neve e dal gelo, finché giunto sul fiume Beresina fu colto di sorpresa da quello russo; Bonaparte fece tagliare i ponti dietro di sé, sacrificando un alto numero di soldati. Fu stimato che nella campagna di Russia morirono almeno quattrocentomila uomini, che l’imperatore dovette sostituire con leve impreparate subendo inoltre un enorme danno d’immagine. Quando nel 1813 fu di nuovo sconfitto a Lipsia il suo consenso scemò del tutto, ed egli abdicò per venire esiliato all’isola d’Elba. Secondo quasi tutti gli storici, la campagna di Russia segnò l’inizio della fine per Napoleone, ma fu anche un grossolano errore strategico. Abituato a risolvere le campagne militari in poche battaglie, egli sembrò non avere considerato che in un territorio così vasto e inospitale gli avversari avevano la possibilità di sfuggire lo scontro contando sull’azione logorante degli spostamenti, e di quello che da allora fu definito il “generale Inverno”.

Nel racconto, Napoleone ordina la marcia su Pietroburgo per «profittare della stagione ancora favorevole», e inoltre per «non lasciar passare il tempo inutilmente». Una scelta di assoluto buonsenso e del tutto in linea con il carattere decisionista dell’imperatore, che non tarda a essere ripagata: dopo i primi scontri con l’armata russa, «le 23 le combat de Klin, le 26 celui de Twer», l’8 ottobre ha luogo la battaglia decisiva di Novgorod: «quelle bataille! Et quelle victoire! L’Europe, le monde les connaissent, et il serait inutile d’en donner d’autres détails que ceux que l’empereur dicta lui-même dans le bulletin rapide que nous allons transcrire ici». Apprendiamo il seguito dal bollettino trasmesso da Pietroburgo, dove lo stesso Napoleone comunica al mondo che il potere dello zar è stato rovesciato e la Russia, con l’alleata Svezia e l’occupata Polonia, è immediatamente annessa all’impero.

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Il giudizio del narratore.

Questa versione dei fatti non è certo inammissibile, ma al contrario, con il proverbiale senno di poi, sembra proprio ciò che Napoleone avrebbe dovuto fare per risolvere il conflitto prima di essere travolto dal “generale inverno”, e oltretutto ciò che ci si sarebbe atteso da colui che aveva sottomesso l’Europa con il suo genio militare. Il confronto tra la serie autentica degli eventi e quella immaginaria porta inevitabilmente a esprimere un giudizio negativo; ma se nelle prime pagine di Napoléon apocryphe questo confronto è eventualmente riservato al lettore, più tardi è il narratore stesso a esprimerlo dalla sua prospettiva. Accade nel primo capitolo del libro quinto, “Une prétendue histoire”, dove il narratore si scusa per aprire una digressione necessaria a denunciare l’esistenza di un

«coupable roman […] qui se retrouve partout reproduite sous tous les formes. […] Il a dit ce qui était de Napoléon et de l’Europe jusqu’en 1812, mais quand il en est venu à l’apparition des Français devant Moscou, voici ce qu’il invente. […] Napoléon il ne trouve rien de mieux, lui, l’homme de l’activité et du génie, que de le faire s’arrêter trente-cinq jours entiers à pousser du pied les charbons de la ville embrasée ; et comme si l’empereur l’avait fait tant de choses que pour assister à ce lointain feu de joie ou de détresse, il fait bientôt sa retraite vers la France ; et quand il veut fuir de cette contrée, voici qu’une catastrophe affreuse abime ses armées dans les glaces de la Bérézina, tandis que l’empereur, s’enveloppant dans sa pelisse, laisse là ses soldats glacés et mourants, part en poste avec le duc de Vicence, et rentre à Paris. […] Oh! Mon Dieu!

Mais tout ceci est aussi faux qu’absurde!» 256

Ben giustamente Paul Alkon ha affermato che la divergenza posta all’inizio di

Napoléon apocryphe andrebbe letta in rapporto a questo capitolo metafinzionale, dove

la verità nota ai lettori è rievocata come una falsificazione storica, nel primo esempio di ”ucronia reciproca” della storia dell’ucronia. Evidente è la condanna del narratore verso questo presunto Napoleone che temporeggia e «non trova niente di meglio da fare» che attendere l’esito di inutili trattative, poi, rassegnatosi, sacrifica con viltà i suoi soldati sul Beresina «avvolto nella sua pelliccia». Dalla sua prospettiva di cronista devoto all’infallibile imperatore del mondo, questo ritratto è fortemente ingiurioso, e sembra concepito apposta per diffamare la memoria di Napoleone attraverso il falso. Alkon ha osservato a proposito:

«Geoffroy’s critique of reality […] allows for severe criticism of the actual Napoleon within a work that is also designed to glorify him. […] He more than anyone is responsible for what happened- the plot of the bad novel […] where for no plausible reasons acts out of character. In conclusion, «Napoleon and the Conquest of the World […] is largely a commentary on the disparity between Napoleon as he finally was and

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Napoleon as he should ideally have been. […] A kind of platonic ideal never fully

embodied in the real Napoleon.»257

Che il racconto nel suo complesso fosse concepito per «glorificare» Napoleone è forse discutibile, alla luce delle considerazioni che un attento esame del testo autorizza. E’ più accettabile l’idea che il romanzo di Louis Geoffroy illustri il Napoleone «ideale» e mai del tutto raggiunto dall’uomo, ma si tratta di un ideale dal punto di vista di Napoleone

stesso, ricostruibile a partire da fonti quali il Memoriale da Sant’Elena di Emmanuel de

Las Cases. Certo è che nel rovesciamento di prospettive innescato dalla metafiction si registra una sanzione che il lettore può fare propria, attribuendo al personaggio storico un errore strategico nonché un atto vile nel sacrificio dei soldati. Un giudizio aggravato dall’impressione che il Napoleone in Russia “non sembrò lui”: e in Napoléon bis (1932) di Jeanne la medesima suggestione si fa letterale, perché quello che occupa Mosca nel settembre 1812 non è lui, bensì un sosia introdotto dai vertici militari cui è giunta notizia di un possibile attentato all’imperatore. Così si spiegano non solo gli errori strategici di quei giorni, così poco in linea con il talento di Napoleone, ma altresì quelli successivi fino alla battaglia di Waterloo, perché in un’alternanza frenetica diviene impossibile stabilire se l’uomo che siede sul trono sia il sosia o l’originale.

Una «storia pretesa»: vero, verosimile e falso.

Quella che il narratore sa essere una menzogna, «horribles impostures, […] infamie, […] calomnies», gli appare allo stesso tempo «absurde, […] grande invention, […] caprice»: si tratta quindi una falsificazione implausibile, che si fa riconoscere non solo perché contraria a ciò che si sa, ma altresì perché è inaccettabile al buon senso. L’espressione «roman coupable» riassume bene questi due aspetti, perché si può definire un romanzo sia come ciò che non è storia ma racconto d’invenzione, sia come sinonimo di favola, leggenda, ciò che trascende la percezione comune della realtà e la stessa logica delle cose. Quando non s’indigna, il narratore è sarcastico nel riassumerne i contenuti, come l’«absurdité» di un Napoleone sconfitto dalla sesta coalizione eppure esiliato «dans une petite ile, l’ile d’Elbe, je crois, à une portée de télescope de l’Italie, à quelques lieues de la France, afin que tous ces grands politiques puissent s’endormir plus tranquillement» , e che «se lève, au 1er mars 1815, et repoussant son ile d’un pied, il pose l’autre en France. […] Entre à Paris, […] s’y couche et se réveille au matin du 21

mars, encore empereur de France»258. Queste pagine ricordano fortemente gli Historic

Doubts di Whately, dove lo stesso sarcasmo aleggia nel resoconto dei presunti fatti:

«Napoleone è sconfitto e gli viene regalata la sovranità dell’Elba…Si sarebbe potuto trovare un modo meno inverosimile di disporre di lui che non piazzarlo proprio ai confini estremi dei suoi antichi domini. Poi l’eroe ritorna in Francia, dov’è ricevuto a braccia aperte, e gli si dà l’occasione di perdere la sua quarta grande armata a

257

P. Alkon, op cit, pp.144-145.

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Waterloo»259. Più ancora che in Napoléon apocryphe, dove il narratore non dubita

affatto della verità, nel testo di Whately questa implausibilità è dirimente nel far respingere la versione ufficiale, che sembra una grande mistificazione diffusa «con l’espresso proposito di piacere alla nazione inglese», creando inoltre una figura- spauracchio utile a mantenere l’ordine.

Se la campagna di Russia fu un errore strategico di Napoleone, l’esilio all’isola d’Elba può essere imputato come un errore alla coalizione del 1814. Nei due casi, la critica è veicolata da un espediente che in Napoléon apocryphe è il rovesciamento metafinzionale o ucronia reciproca, in Historic Doubts la simulazione di uno scetticismo metodico radicale ispirato alle tesi di Hume. Ambedue vanno letti in chiave ironica, ma dalle rispettive premesse consentono agli autori di alludere seriamente al tema delle condizioni di credibilità dei racconti, in particolare quelli che si presentano come storici. Whately, da una parte, giudica la plausibilità della presunta storia in rapporto alla letteratura, e a indurlo in sospetto è proprio la sua dimensione letteraria: «andrebbe benissimo come poema epico, e infatti reca una considerevole rassomiglianza con l’Iliade e con l’Eneide». Dall’altra parte, il suo scetticismo si esprime nel contestare teoreticamente l’attendibilità delle fonti, i testimoni e i giornali,

dimostrando la quasi impossibilità di verificarle in modo sistematico.

L’argomentazione, è evidente, presuppone tanto un metodo storiografico di ricerca quanto una visione della logica delle cose che il racconto storico dovrebbe riprodurre in una certa “struttura”, definita negativamente in opposizione alla struttura dei racconti letterari.

Napoléon apocryphe non porta alle stesse conclusioni, perché il narratore non esprime

affatto una posizione di scetticismo. Vero e falso appaiono solo rovesciati al lettore, ma non confusi tra loro da affinità intrinseche: come ha osservato Emmanuel Carrère, l’ucronia può insinuare il dubbio sulla verità dei fatti, «mais elle perde le crédit qu’elle

venait de s’assurer lors-qu’on en arrive à la formulation la plus radicale du paradoxe»260

per cui tutto ciò che crediamo di sapere potrebbe essere falso. Nondimeno, parlando del “romanzo colpevole” già «reproduite sous toutes les formes», il narratore esprime il

timore che «dans les siècles à venir la postérité doutera si n’est pas l’histoire»261

. Naturalmente è Napoléon apocryphe, fuori dalla finzione, che per assurdo potrebbe venire un giorno scambiato per libro di storia, se cadesse l’oblio sui fatti storici autentici. E’ ciò che accade in un romanzo di John Atkins, Les Mémoires du futur 1960-

3750262, dove un uomo del quarto millennio scopre la biblioteca di un lettore di

fantascienza vissuto ai giorni nostri e ricostruisce il passato attraverso i racconti di “storici” come Herbert Wells, Isaac Asimov, Ray Bradbury e George Orwell. Di fronte a un simile rischio, il narratore di Napoléon apocryphe si sente investito dalla missione

259 R. Whately, in Salvatore Nigro (cur), L’imperatore inesistente, p.81. 260

E. Carrère, op cit, p.31.

261

L. Geoffroy, op cit, p.256

262 J. Atkins, Les Mémoires du futur 1960-3750 , Parigi, Deno l, 1958. Ecco come l’archeologo del futuro

ricostruisce il passato a partire dalle “fonti”: «1960: invasion martienne. 1962: les premiers robots. 1975: le grand incendie de livres. 1984: monographie d’Orwell. 2001: colonisation de Mars. 2054: convention de Tycho. 2201: le Dormeur se réveille».

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di trasmettere la verità ai posteri: «c’était un devoir pour un historien de répudier tous

ces contes, et de dire haut au monde que cette histoire n’est pas l’histoire»263

.