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La secret history.

Una di queste è senz’altro la metodologia di ricerca sulle fonti storiche, in particolare quelle che D’Israeli riconduceva alla «secret history». Nella critica letteraria la stessa espressione definisce un tipo di storie che si situano tra le pieghe dei grandi eventi: come quella concepita da Guido Morselli nel romanzo Divertimento 1889, che racconta in modo alquanto verosimile una breve fuga da palazzo di Umberto I; un evento che in sede di pura teoria potrebbe essere realmente accaduto senza modificare la storia pubblica, e senza entrare nei suoi resoconti. Ma da questa accezione di «secret history» il passo è breve per giungere a una tipologia diversa di scritti, che insinuano più o meno sul serio l’idea che la storia – la storia pubblica – si sia svolta altrimenti da come sappiamo. Oggi questa formula è alquanto conosciuta come espressione narrativa della teoria del complotto, ma in effetti se ne trovano esempi contemporanei a Curiosities of

Literature, il più suggestivo dei quali è probabilmente il pamphlet di Richard Whately Historic Doubts Relative to Napoleon Bonaparte (1818). Whately aveva applicato

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Londra, John Murray, 1823.

211 Edward Moxon: 1834, 1838, 1843, 1849. Si fa qui riferimento alla 10° edizione del testo, Moxon 1838. 212

Tra cui Routledge, Warne & Routledge, 1863; William Veazie, 1864; Widdleton, 1865; George Routledge, 1866; A.C. Armstrong 1881. Vi è poi un sito internet, <http://www.spamula.net/col/>, che presenta il testo ricostruendo filologicamente la composizione dei brani.

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l’empirismo scettico di David Hume al soggetto pubblico per eccellenza, portando all’estrema conseguenza le premesse che definivano la conoscenza su basi probabilistiche, cioè data dall’osservazione della regolarità dei fenomeni e dall’abitudine mentale. Da queste premesse l’autore di Historic Doubts giunge a dubitare della stessa esistenza di Napoleone Bonaparte, inteso non come un individuo, bensì come un nome che riassume tutta una serie di credenze diffuse su eventi quasi mai direttamente esperiti.

La «secret history» di D’Israeli è altra cosa. I suoi esempi pratici si trovano soprattutto nella Second Series delle «curiosità letterarie», con titoli quali “Secret History of Authors who have Ruined their Booksellers” (22); “Of Des Maizeaux, and the Secret History of Anthony Collins’s Manuscripts” (25); “Secret History of the Building of Blenheim” (31); “Secret History of Sir Walter Rawleigh” (32); “Secret History of the Death of Queen Elizabeth” (59); “Secret History of an Elective Monarchy” (63); “Secret History of Charles I. and his First Parliaments” (76). Di cosa si tratti è lo stesso autore a spiegare, nel brano “True Sources of Secret History” (66):

«This is a subject which has been hitherto but imperfectly comprehended even by some historians themselves; and has too often incurred the satire, and even the contempt, of those volatile spirits who play about the superficies of truth. Secret history is the supplement of History itself, and its great corrector; and the combination of secret with public history has in itself a perfection, which each taken separately has not. The popular historian composes a plausible rather than an accurate tale; researches too fully detailed would injure the just proportions, or crowd the bold design of the elegant narrative; and facts, presented as they occurred, would not adapt themselves to those theoretical writers of history who arrange events not in a natural, but in a systematic order. But in secret history we are more busied in seeing what passes than in being told of it. We are transformed into the contemporaries of the writers, while we are standing on “the vantage ground” of their posterity; and thus what to them appeared ambiguous, to us has become unquestionable; what was secret to them has been confided to us! They mark the beginnings, and we the ends! From the fullness of their accounts we recover much which had been lost to us in the general views of history, and it is by this more intimate acquaintance with persons and circumstances that we are enabled to correct the less distinct, and sometimes the fallacious appearances in the page of the popular historian. […] The gossiping of a profound politician, or a vivacious observer, in one of their letters, or in their memoirs, often, by a spontaneous stroke, reveals the individual»213.

La storia segreta, dunque, si fa rovistando gli archivi, i diari, le lettere, le testimonianze non ufficiali, per ricostruire nel modo più vivo la personalità degli agenti storici e i retroscena delle decisioni che presero. In questo modo diveniamo «contemporanei» degli attori e dei testimoni, conservando al contempo il privilegio dei posteri, cui ciò che allora appariva ambiguo e incerto risulta più chiaro. Non può sfuggire l’affinità tra questa prospettiva e i discorsi di Niall Ferguson sulla storia controfattuale: per

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conoscere «those alternatives which […] contemporaries actually considered» occorre spesso rivolgersi a fonti alternative a quelle ufficiali, come i discorsi e le memorie di Asquith che riesuma Ferguson nel suo “The Kaiser’s European Union” (1997). La differenza è che la «secret history» ci parla delle idee degli uomini del passato, mentre la storia controfattuale (almeno nelle linee di Ferguson) trae spunto dalle medesime idee per congetturare su ciò che sarebbe accaduto se altre scelte fossero state prese; come fa Erodoto immaginando che gli ateniesi, seguendo un’altra interpretazione degli oracoli, fuggissero o si arrendessero. D’altra parte, laddove D’Israeli parla del «vantage ground» della posterità, sembra supporre la possibilità di integrare la prospettiva degli uomini del passato con quella che ci è data dalla conoscenza degli sviluppi successivi.

Parlando della storia segreta, Isaac D’Israeli fa un’altra osservazione che si può ricollegare alle funzioni della storia controfattuale. Egli afferma infatti che la «secret history» è un supplemento e un correttivo della storia ufficiale, e che la loro sinergia offre una comprensione altrimenti non raggiungibile (viene in mente, a livello di pura suggestione, il discorso di Pascal sullo spirito di finezza e quello di geometria). Questo perché lo «storico popolare» è più preoccupato di offrire un racconto plausibile che non accurato, che restituisca (o “inventi”, si direbbe seguendo Hayden White) il significato complessivo di ciò che è accaduto; mentre gli «scrittori teoretici», evidentemente i filosofi della storia, non si sporcano troppo le mani con la sequenza minuta dei fatti perché ciò che preme loro è esprimere l’ordine sistematico delle cose. La storia ufficiale, quindi, è una narrazione che parla in fondo più di se stessa che di ciò che è realmente accaduto, nel modo e nell’ordine in cui è accaduto. Da questo racconto sono espunte le molte possibilità abortite, frutto dei temperamenti individuali, delle valutazioni o del caso: tutto ciò che non si adegua alla “struttura d’intreccio” prescelta o inconsapevolmente assunta dallo storico, la struttura che fa apparire il racconto plausibile o familiare. Da questo punto di vista, storia segreta e controfattuale sembrano avere in comune l’intento di demistificare le sovrastrutture teoretiche e narrative del discorso storico: l’una solo integrandolo con ciò che le fonti minori svelano, l’altra

sostituendolo con un (dis)corso storico alternativo.