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Strategie del realismo  Il personaggio Napoleone.

 Plausibilità e letteratura.

4. Strategie del realismo  Il personaggio Napoleone.

Se la credibilità della divergenza di Napoléon apocryphe poggia in buona misura sulla coerenza tra il Napoleone-personaggio e quello familiare ai contemporanei e ai posteri, ciò significa che il “realismo” dell’ucronia ha a che vedere con l’identità delle

controparti. Anche se il nome proprio, definito «designatore rigido» nella semiologia

dei mondi finzionali265, di solito basta a stabilire un senso di identità tra prototipo e controparte, di norma le controparti delle ucronie tradiscono in modi plateali l’insieme di attribuzioni dei prototipi fissato dall’enciclopedia culturale. Se nel romanzo di Geoffroy Napoleone diviene imperatore del mondo, nel racconto di Benét The Curfew

Tolls (1935) o in quello di Maurois If Louis XVI Had Had an Atom of Firmness (1931)

egli non diviene mai neppure generale. Questa trasgressione fondamentale produce lo straniamento cognitivo alla base delle ucronie e di tutta la fiction speculativa: ma ciò che viene “deportato” in una realtà finzionale è al tempo stesso reso familiare da elementi che fanno apparire il racconto plausibile. Se nei romanzi storici tradizionali i prototipi sono definiti spesso da pochi elementi, nell’ucronia, proprio perché occorre stabilire un’identità malgrado le differenze, la personalità delle controparti è a volte ciò che più di ogni altro aspetto del racconto produce un senso di realismo. Torna in gioco la distinzione tra vero, falso e fittizio: nei romanzi storici è sufficiente che il fittizio sia (cioè appaia) compatibile con il vero, ad esempio che le parole attribuite a un personaggio-controparte vengano percepite come parole che il prototipo, sulla base delle conoscenze, avrebbe potuto dire in senso meramente possibilistico. Ma nell’ucronia le controparti si muovono in scenari storicamente falsi, che il lettore deve riconoscere come tali ma al tempo stesso fingere di credere veri. Ciò spiega ad esempio perché in Napoléon apocryphe, oltre a discorsi privati dell’imperatore, che si possono accogliere come elementi fittizi, si trovino numerosi discorsi pubblici che ricalcano veri discorsi.

Protagonista assoluto del romanzo di Louis Geoffroy, Napoleone si qualifica nella divergenza come una versione ideale (secondo Alkon) del prototipo, ma si può anche dire come una versione coerente con il prototipo fino alla campagna di Russia. Poco dopo averla conquistata egli restituisce la sovranità alla Polonia, un’intenzione dichiarata anche nel Memoriale di Sant’Elena. Ancora nel primo libro si racconta del concordato con Pio VII, che fu effettivamente siglato nel 1813 benché in gennaio

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anziché in giugno – un ritardo “realisticamente” giustificato dal fatto che nel racconto Napoleone rimpatria solo al termine dell’inverno. Tra le due versioni del patto c’è una differenza eclatante legata alla vittoria del 1812, perché Napoleone ha ottenuto dallo zar l’annessione della chiesa ortodossa a quella di Roma. Questa generosissima concessione al papa non è altro che una geniale mossa strategica, anch’essa nelle corde del personaggio, perché l’alleanza con Pio VII si rivela indispensabile a guadagnare il consenso degli spagnoli sottomessi definitivamente nell’estate del 1813. La conquista dell’Inghilterra, la sovranità sull’Europa, l’espansione a Oriente furono tutti progetti – o se non altro sogni – di Napoleone; e quando molti anni dopo egli incorona Giuseppina imperatrice del mondo non fa che ripetere il gesto del 2 dicembre 1804 a Notre Dame, immortalato dalla celebre tela di Jacques-Louis David.

Innumerevoli azioni del personaggio letterario riflettono azioni analoghe svolte dal personaggio storico in altre circostanze, o intenzioni attestate che egli non ha potuto realizzare. Vi sono poi il carattere e le idee di Napoleone, altrettanto noti al pubblico grazie a infiniti aneddoti e testimonianze. Il suo disprezzo per le dinastie dell’antico regime emerge con grande frequenza, in modo eclatante quando esilia i Borbone sull’isola di Man, e ancor più quando nomina re un soldato semplice; mentre ha grande rispetto per le figure dei militari, come il traditore Murat e il ricordato «M.A. Geoffroy». Connaturato al suo ritratto psicologico è lo spregiudicato calcolo, che si esprime al massimo nell’uso degli elementi religiosi: nel travestire da crociata quella che era partita come una mera spedizione di conquista, e ovviamente nel divinizzare se stesso. La religione è sfruttata come strumento di consenso, e la distruzione dell’islam non è altro che l’eliminazione di un “concorrente” per la devozione dei popoli; Napoleone, peraltro, ammira e sente propria la grandeur della fede musulmana «avec

son fanatisme, ses couleurs orientales, son enthousiasme, son énergie»266, così come

s’identifica nel sublime della natura, la tempesta nell’oceano, «comme si cette agitation

sublime se trouvait de mesure avec la grandeur de son âme»267. Il suo senso di

grandezza si misura allorché nega ai cittadini il permesso di erigere una statua a suo padre, che era stato un cittadino comune: «voulait que tout fut extraordinaire et plus

qu’humain dans lui et sa famille»268. Nella conquista dell’Asia a guidarlo è il modello di

Alessandro Magno, che non vuole solo eguagliare ma surclassare. Riferendo i pensieri di Napoleone, il narratore svela una personalità per cui la ricerca del potere, le opinioni politiche e la vocazione all’eccesso sono tutt’uno: quando alla morte di Pio VII egli medita di eleggersi papa, nello stesso tempo considera con disprezzo il retaggio di “repubblicanesimo” del conclave.

266 L. Geoffroy, op cit, p.215. 267 Ivi, p.268. 268 Ivi, p.82.

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Napoleone e gli altri, I: le controparti.

La figura di Napoleone si definisce meglio nel rapporto con altri personaggi, tra i pochi del romanzo che per la loro definizione o il loro ruolo negli eventi si possono definire tali. Sono quasi sempre scene a due attori, ed eccezioni rispetto alla norma che vede Napoleone muoversi da assoluto protagonista e da agente unico tra un pubblico formato dai re, dal popolo o dall’esercito. I suoi interlocutori sono nella maggior parte dei casi controparti, e la situazione è spesso conflittuale o in ogni caso polemica. Il primo in ordine di apparizione è Rostopchin, il governatore di Mosca responsabile dell’incendio, che s’immola come martire della patria ma ottiene dall’imperatore solo una grazia sprezzante. Piuttosto simile, nel secondo libro, è il dialogo con Luigi XVIII ad Hartwell, che il narratore trascrive dalle Memoires di un testimone oculare (il generale Rapp) in una forma del tutto teatrale; l’esilio dei Borbone sull’isola di Man sembra peraltro un rovesciamento ironico della realtà, perché negli stessi mesi del 1814 Luigi XVIII fu rimesso sul trono, mentre a venire confinato su un’altra piccola isola fu Napoleone. Nel terzo libro v’è un dialogo a porte chiuse con l’abate di Lamennais, la cui popolarità l’imperatore vorrebbe sfruttare: «Napoléon devint pressant, terrible même. M. de

Lamennais, la tête baissée, était aussi calme devant la séduction que devant l’effroi»269

. In questi episodi si ritrova il Napoleone irruento e passionale che non tollera l’altrui orgoglio, un lato poco consono ai toni agiografici del narratore. Ma la situazione conflittuale per eccellenza, il processo di Gioacchino Murat, dà al protagonista sfumature più complesse. Già nel 1816 il cognato di Napoleone (in realtà ucciso l’anno precedente) aveva invaso di sua iniziativa la Sardegna, ed era stato per ciò duramente giudicato dal narratore come «âme jalouse. […] Parodie ridicule. […] Imitateur

présomptueux»270. Declassato sull’inutile trono di Svezia, qualche anno dopo Murat

prepara una rappresaglia che viene prontamente sventata. Sono circostanze almeno plausibili, perché riflettono l’insubordinazione di Murat dimostrata nel 1805, quando alla vigilia della battaglia di Austerlitz trattò una pace separata con la Russia, e poi nel 1813 dopo la sconfitta di Lipsia, quando tradì il cognato per conservare il trono di Napoli. Ma al processo egli si rivela eroicamente orgoglioso, ricusando i re-giudici suoi pari e accusandoli di avere rinunciato alla libertà sotto il tiranno. Ciò nonostante Napoleone lo grazia dopo averlo raggiunto nelle segrete, in una scena grave di pathos melodrammatico: «Murat, fondant en larmes, se jetait à ses genoux…Ils s’embrassèrent

étroitement, leurs larmes se confondirent»271. Nel gesto, spiega il narratore, convergono

motivazioni diverse: l’affetto per il parente, la stima del suo valore militare, non ultimo il calcolo politico. La grandezza di colui che lo stesso narratore aveva definito un emulo miserabile, e la sua apologia della libertà, incrinano la monotonia celebrativa del racconto, insinuando nel lettore un dubbio che in seguito, quando farà la sua apparizione il generale Oudet, diverrà ben più pressante.

269 Ivi, p.157. 270 Ivi, pp.99-100. 271 Ivi, p.171.

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II. Personaggi fittizi.

Questi confronti definiscono il personaggio-Napoleone per via drammatica, in un teatro di parole e di gesti, ma nel contempo portano sulla scena altre controparti a loro volta coerenti con i rispettivi prototipi. In Napoléon apocryphe vi sono anche alcuni personaggi fittizi che collaborano a conferire un realismo psicologico al protagonista, e che vale quindi la pena menzionare. Con notevole simmetria, alla fine dei libri III e VI, l’imperatore subisce due gravi lutti. Dapprima muore l’anziana madre, le cui ultime parole celebrano la grandezza del figlio e per ciò collaborano all’atmosfera solenne di tutto il racconto. Ma nell’ultimo libro, subito dopo l’incoronazione dell’imperatore del mondo, muore il personaggio immaginario di Clémentine, la figlia che Napoleone avrebbe avuto da Giuseppina nel 1813. Nel 1814 risulta nato anche Gabriel, e due sono anche i figli illegittimi generalmente attribuiti a Bonaparte. Se il maschio sembra esaurire il suo ruolo narrativo alla nascita, quando è eletto re d’Inghilterra per scatenare la guerra con il paese nemico, la morte di Clémentine nel 1828 si carica di numerosi effetti e significati. In primo luogo, la situazione fittizia ne evoca una autentica, la morte a soli vent’anni (1832) di Francesco Napoleone, l’unico erede legittimo dell’imperatore nella realtà. In secondo luogo, la morte di Clémentine ha tutta l’aria di un atto divino, perché accade improvvisa non appena il padre si è definitivamente eretto al di sopra degli uomini e quasi al rango dell’Onnipotente: se sia una punizione per la superbia dell’uomo o la sanzione definitiva che Napoleone e la Storia sono divenuti una cosa sola, destinati a spegnersi nello stesso momento, sta al lettore decidere. Certo è che l’episodio restituisce l’immagine di un uomo indifeso di fronte alla morte e in ciò uguale a ogni altro: «Napoléon! Lui qui le matin s’était vu si près de Dieu, qui avait placé son trône en face des autels, et avait partagé l’adoration des peuples, maintenant il se j’était à genoux, il se prosternait le front à terre, il pleurait, il implorait, il priait Dieu

pour sa fille, n’ayant plus rien d’empereur, ayant tout d’un père et d’un suppliant»272

(p.349). La morte della figlia di Napoleone realizza inoltre la profezia della madre prima che lasciasse il mondo, tratteggiando così un destino tragico legato alla grandezza: «mon fils, tu vas donc rester seul sur la Terre, seul avec le monde. […] Pauvre Napoléon, que tu seras seul au monde quand il n’y aura plus que des inferieurs,

auprès de toi!»273.

Altri due personaggi fittizi umanizzano il ritratto di Napoleone e ne fanno un personaggio a tutto tondo. Il primo è la giovane che a Madrid, dopo la battaglia di Segovia, tenta di assassinare l’imperatore. Arrestata e condannata a morte, viene graziata da Napoleone quando egli apprende che è orfana di un valoroso ufficiale: «cet acte sublime de clémence fit dans Madrid et bientôt dans toute l’Espagne une sensation

extraordinaire»274. Se questo episodio può ben rientrare nell’agiografia, diverso è quello

del soldato-re, dove Napoleone fa prevalere gli impulsi sul buon senso politico. Suicidandosi per spegnere l’oltraggio dei regnanti, il soldato esemplifica la devozione del popolo e dell’esercito verso l’imperatore, ma la conclusione dell’episodio lascia 272 Ivi, p.349. 273 Ivi, p.180. 274 Ivi, p.50.

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anche il sospetto che sia stato commesso un delitto riparatore: «on supposa qu’il s’était suicidé, car on ne lui connaissait pas d’ennemi. […] D’ailleurs, cet événement de peu

d’importance ne sortit pas de la caserme et du rapport du lieutenant au colonel»275

.

Referenzialità.

Benché siano pochi i personaggi che si possano definire tali, in Napoléon apocryphe vengono menzionate centinaia di personalità realmente esistite o ancora in vita quando Geoffroy scrisse il romanzo, e questa densità referenziale non ha probabilmente eguali tra i romanzi storici della stessa epoca. Il culmine è raggiunto negli elenchi come quello del capitolo “Lettres et beaux artes” (VI, 10), dove Napoleone raduna al Louvre una rappresentanza di artisti, scrittori, scienziati e filosofi, in ciò che può evocare un affresco corale o una foto di gruppo:

«Chateaubriand, Walter Scott, Lamartine, Beethoven, Byron, Manzoni, Niébuhr, Goethe, Geoffroy Saint-Hilaire, madame de Stael, Béranger, Courier, Thiers, de Maistre, Villemain, Victor Hugo, Robert Brown, Volta, La Mennais, Cuvier, Canova, Ingres, Thomas Moore, Gay-Lussac, Kant, Berzélius, Poisson, David le sculpteur, David le paintre, Champollion, Thénard, Dupin, Delambre, Gèrard, Brougham, Lawrence, Humprey-Davy, Lamarck, Chaptal, James Watt, Rossini, Jenner, Herschell, Hauy, Paesiello, Humboldt, Thorwaldsen, Fourier, Royer-Collard, Thierry, Guizot,

Ampère, Laplace et d’autres grandes intelligences de l’univers»276.

Questa mera nominazione sembra avere lo scopo di dimostrare quale grandezza e progresso si diano sotto la monarchia universale di Napoleone, come sottolinea egli stesso: «“Voilà mon siècle” dit-il en montrant cette réunion». Ma questi nomi servono anche ad addensare quanto più possibile la realtà nel mondo della finzione, moltiplicando i riferimenti comuni.

Una variante significativa di questa tecnica si trova in un capitolo precedente, intitolato appunto “Catalogue” (III, 8), che compendia la produzione letteraria degli anni 1820- 1830. Anche in questo caso l’intento del narratore è illustrare lo stato di eccellenza del mondo di Napoleone, e le ricadute culturali del suo potere politico. Ma accanto ai nomi di autori tutti rigorosamente esistiti (e in molti casi esistenti), troviamo titoli di opere che essi non hanno mai scritto:

«Le livre des passions, par Mme la duchesse de Staël, 3 vol in-8. […] Les dix Plaies, satires par lord Byron. […] Description des ruines de Babylone, 3 vol in-4 – Atlas…Richelieu, roman historique, par sir Walter Scott, livre publié et composé en France et en français. […] Les Guerres d’Espagne, par le maréchal Foy, 5 vol…Luther, roman historique, par Victor Hugo, 2 vol. […] Description historique et géographique

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Ivi, p.143.

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de l’intérieur de l’Afrique, 6 vol in-4° -Atlas. […] Histoire de l’empereur Napoléon, jusqu’à la monarchie universelle, par A. Thiers, 8 vol. […] Théorie de l’Esprit, par M.

Beyle de Stendhal. Ce livre trop spirituel irrita Napoléon, et fit exiler M. Bayle à Rome, où il acheva sa belle Histoire de la peinture en Italie, 1829, 12 vol in-8. […] La

Diplomatie mise à la portée de tout le monde, par un roi, 1 vol in-8. Ce livre singulier et

ironique parut à une époque où la diplomatie était devenue une science inutile ; il fut

généralement attribué à M. de Talleyrand»277.

Questa parte minima di un catalogo che prosegue per molte pagine basta a dare l’idea di una biblioteca immaginaria o ipotetica degna di Borges e di tanta metafiction postmoderna, ma non è che il luogo a più alta densità di un rinvio bibliografico disseminato in tutto il racconto. L’effetto più immediato di questa tecnica è conferire agli avvenimenti narrati un alone di autenticità, sovrapponendo al piano dei fatti quello dei discorsi e immergendo i primi in una fitta intertestualità. I libri citati, nel «catalogue» e al di fuori, parlano spesso di eventi storici come battaglie, scoperte scientifiche o archeologiche, eventi che spesso non sono ancora stati narrati (nel catalogo: la scoperta di Babilonia, l’esplorazione dell’Africa, la stessa monarchia universale). In certi casi il narratore rinvia ad altri testi per sottrarsi al compito di informare i lettori, e specularmente vi sono titoli che implicano avvenimenti mai riferiti in Napoléon apocryphe, per esempio le circostanze che hanno determinato l’esilio di Stendhal in Italia. In questo modo è come se la realtà finzionale si espandesse alludendo a un inter- ma altresì a un con-testo, cioè affermandosi come una realtà in tutti i sensi più piena rispetto allo spazio necessariamente limitato del racconto. Con uno sforzo d’immaginazione, il lettore potrebbe costruire biografie alternative degli autori citati nel mondo della monarchia universale, speculando ad esempio su quella di Lamartine, che risulta autore della più grande ode mai composta per celebrare Napoleone - mentre nella realtà il poeta, imparentato ai Borbone, tornò a Parigi solo dopo l’esilio di Sant’Elena. E’ anche possibile chiedersi quanta plausibilità abbia questa storia alternativa della letteratura, cioè quanto sia probabile che gli autori menzionati scrivessero quelle opere nelle circostanze narrate: secondo i casi, ma secondo anche il giudizio arbitrario di ogni lettore, i singoli titoli potrebbero vedersi come verosimili libri potenziali o come rovesciamenti paradossali della realtà. In ogni caso, questo impiego referenziale della metafiction ha un duplice effetto autenticante e straniante: se da un lato crea una realtà plausibile proprio perché narrata com’è la nostra, e non da un singolo ma da una pluralità di autori, dall’altro non può che riportare il lettore alla natura stessa di Napoléon apocryphe, perché i titoli attribuiti a Byron, Scott, Goethe si possono anch’essi ritenere “apocrifi”; e la Histoire de l’empereur Napoléon, jusqu’à la

monarchie universelle di Adolphe Thiers sembra quasi un’autocitazione.

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II: date, luoghi, avvenimenti.

La referenzialità dei nomi, specie nella versione del «catalogo», non è che un caso specifico dell’uso che Geoffroy fa in tutto il romanzo di dati riferibili alla realtà. Alquanto comuni nei romanzi storici, ma anch’essi sfruttati ad altissima densità in

Napoléon apocryphe, sono i riferimenti spaziotemporali. Quelli cronologici sono così

frequenti che il racconto si apre e si chiude su altrettante date, il 14 settembre 1812 (ingresso dell’esercito a Mosca) e il 21 febbraio 1832 (morte di Napoleone): peraltro la prima autentica, la seconda falsa ma ugualmente inserita nella linea cronologica cui il lettore si riferisce. Nel solo libro primo, e limitandosi agli eventi epocali, è riportato il giorno (e in certi casi l’ora) dei seguenti: la presa e l’incendio Mosca, la marcia su Pietroburgo, le battaglie in Russia, l’incontro con Alessandro I, la promulgazione del trattato di resa, il passaggio di Napoleone a Stoccolma, il congresso europeo ad Amburgo, il ritorno dell’imperatore a Parigi, il trattato di Fontainebleau, la partenza e l’arrivo in Spagna, le battaglie contro la coalizione anglo-spagnola, l’ingresso a Madrid, l’attentato all’imperatore, l’arrivo e la partenza in Spagna di Pio VII. Si è già osservato come la tempistica degli eventi in Russia possa leggersi in parallelo a quella reale, e come il confronto porti alla luce analogie simboliche: il 20 settembre 1812 è la data in cui nel racconto Napoleone ordina la marcia su Pietroburgo, mentre nella realtà è il giorno in cui inviò allo zar la prima proposta di armistizio, ed esattamente un mese trascorre tra l’immaginaria e la vera evacuazione di Mosca, con esiti opposti. Proseguendo si segnalano altre date emblematiche: la monarchia europea è proclamata il 15 agosto 1817, compleanno di Napoleone; l’isola di Sant’Elena è fatta esplodere il 5 maggio 1827, anniversario della morte di Napoleone nella realtà; l’annuncio della monarchia universale è dato il 4 luglio dello stesso 1827, appena giunta la notizia di resa degli stati americani, ed è lo stesso giorno dell’anno in cui gli Stati Uniti si dichiararono indipendenti. Così come i nomi, anche le date producono un duplice e apparentemente contraddittorio effetto, autenticante e simbolico. Per contro, appare del tutto credibile la tempistica generale: mentre i conflitti in Europa sono risolti in poche risolutive battaglie, com’era avvenuto nella realtà, gli spostamenti seguono i tempi lunghi delle grandi opere militari, ed è solo per questo che la campagna d’Asia, compreso il ritorno in patria, occupa Napoleone per sei anni. Una tempistica ragionevole è assegnata anche a processi di altra natura, come la bonifica di Roma del 1816 e la riesumazione archeologica di Babilonia cinque anni dopo. Nell’insieme, questi riferimenti temporali compongono una mappa mentale piuttosto dettagliata della storia fino alla monarchia universale.

Ci sono poi i riferimenti geografici, per rendere conto dei quali basta ricordare due o tre