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3.4.2 FIR – FEDERAZIONE ITALIANA RUGBY

3.4.2.1 CENNI STORIC

Come forse qualcuno ricorda in occasione dei Mondiali di Francia 2007, uno degli spot pubblicitari che veniva mandato in onda più frequentemente, aveva ad oggetto l’episodio al quale si riconduce “simbolicamente” la paternità di questo sport:

nella cittadina di Rugby, vicino a Birmingham, nel 1823 un certo William Ellis, decise un giorno di infrangere le regole in vigore nella sua università per il gioco del pallone; egli pre-

se la palla con le mani,e correndo la tenne bloccata saldamente al petto, determinando così l’origine di una delle caratteristiche essenziali e distintive del gioco del rugby.

Nella frase introduttiva ho deciso di inserire il termine simbolicamente e poi metterlo tra virgolette perché regna un gran incertezza: ad oggi, infatti, non è ancora stata fatta chiarezza sul fatto, se sia accaduto così come descritto o sia stato poi strumentalizzato per attribuire un origine ben precisa e ad effetto a questo sport.

La situazione di incertezza riscontrata tra gli scritti esaminati è riconducibile al fatto che il contesto inglese dell’epoca non era molto chiaro: nel XIX secolo in molti colleges inglesi, il gioco del pallone era molto in voga, tuttavia, vi erano numerose differenze da college a college, e inerenti alle diverse regole sull’uso che si faceva delle mani e dei piedi.

L’eccezionalità del gesto dello studente Williamo Webb Ellis non è pertanto legata al fatto che abbia afferrato il pallone con le mani, in quanto accadeva costantemente, ma che una volta afferrato, lo abbia trattenuto portandolo in avanti, commettendo una pesante violazio- ne delle regole generali.

(Esistono però dati più oggettivi a conferma di tale teoria: la palla che si utilizzava nel college di Rugby aveva una forma ovale, proprio come le attuali palle da gioco. Tra gli stu- denti del suddetto istituto, era iscritto, infatti, un artigiano molto abile nel rivestire di cuoio la vescica di maiale, che riempita di fieno veniva usata come palla, e si distingueva dalle tradizionali palle sferiche, per la forma allungata alle estremità.)

Il movimento del rugby, portando tale immagine come simbolo della sua nascita, ha a mio parere, deciso di puntare su un sistema valoriale di forte contrasto allo sport tradizionale, ponendosi come realtà che nasce da una trasgressione e vuole distinguersi dalle regole di massa, prime fra tutte quelle del calcio.

Non a caso ho nominato il calcio, perché tra le stesse fonti osservate, appare come nota co- stante il fatto che si volessero infrangere le regole del massiccio utilizzo dei piedi nel gioco della palla ed il dato storico che lo conferma, è relativo al distacco del movimento soccer inglese da quello del rugby, avvenuto pochi anni dopo la sua nascita.

Al di là del come sia nato è importante, parlando del contesto italiano, notare come la nostra cultura sportiva sia stata influenzata dal mondo anglosassone. Come già visto per il calcio, anch’esso importato dall’Inghilterra, il rugby nasce nell’isola britannica e dopo qualche tempo si diffonde nella nostra penisola.

Il rugby italiano, tuttavia, non apprende direttamente questo sport dai praticanti britannici, ma per effetto del rapporto con i nostri cugini d’oltralpe.

A conferma del fatto, la prima partita di rugby disputata sul suolo italiano di cui si abbia no- tizia, risale al 1910 e vide contrapposte la formazione parigina del Racing Club, contro quel- la ginevrina del Servette.

Possiamo affermare quindi che a fare da tramite della cultura anglosassone furono i prati- canti francesi, con i quali nel 1911 disputammo la nostra prima partita, a Milano, in occa- sione della quale la padrona di casa dell’US Milanese affrontò l’ospite francese del Voiron. Il periodo di diffusione del rugby sul suolo italiano, si dovette prematuramente interrompere nel 1912, complice il Primo Conflitto Mondiale e riprese molto a rilento fino al 1927, anno in cui venne costituito il “Comitato di propaganda”.

Sotto la spinta dello stesso Comitato, diretto da Piero Mariani, un anno dopo si provvide alla costituzione della Federazione Italiana Rugby, il cui presidente fu proprio lo stesso direttore. Nel 1929 si disputò il primo campionato al quale parteciparono sei delle sedici società attive in Italia, e per la cronaca, il titolo andò alla società Ambrosiana Milano.

Sfruttando il momento positivo e di sviluppo del movimento rugbistico, si costituì nello stesso anno la Squadra Nazionale, che disputò la sua prima partita in Spagna dove venne sconfitta per nove a zero.

Il fatto che si trattasse di uno sport “maschio”, ricco di scontri, in cui si esaltavano la forza fisica e il cameratismo fra i compagni di squadra, ne determinò un particolare successo nel ventennio fascista. In particolare fu talmente grande il consenso ottenuto dal partito fascista, che venne attribuita un’etichetta di “sport nero”, che sarà cancellata solo a distanza di molti anni e, probabilmente fu un fattore che non ne permise l’ascesa nell’immediato dopoguerra. Negli anni ’30, in Europa si assiste ad una scissione nel mondo del rugby, tra lo schieramen- to anglosassone e dei paesi del sud del mondo e tra quello della Francia che si stacca dal 5 nazioni e fonda la FIRA: Federazione Europea Rugby, cui si affiliano Italia, Spagna, Ceco- slovacchia e Germania.

Le competizioni, i regolamenti e le tecniche, pertanto prenderanno inevitabilmente strade differenti, creando scuole contrapposte.

Bisogna attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale per poter assistere ai primi pro- gressi in termini di globalizzazione del sistema mondiale del rugby.

L’Italia vive in prima persona questo fenomeno, potendo beneficiare della presenza nel ter- ritorio italiano di militari americani , inglesi, sud africani e neozelandesi, che portano una ventata di rinnovamento negli stili e nelle metodologie di svolgimento.

Nel periodo della ripresa italiana a ridosso degli anni ’60 il rugby, come già accennato, fati- ca a progredire, causa la ancora fresca associazione al mondo fascista che aveva sconvolto l’Italia poco tempo prima.

Con il passare degli anni, tuttavia, la Federazione Italiana riesce a scrollarsi abilmente di dosso questo pesante attributo e, attraverso una politica di internazionalizzazione che la por- tano in Nuova Zelanda, Sud Africa e Sud America, riesce a incrementare le competenze e il movimento nazionale.

Si assiste ad un crescendo di competenze ed abilità che consentono alla nostra nazionale di collezionare i primi successi internazionali ed iniziare a farsi notare dall’organo internazio- nale “International Standard Board”.

L’episodio più importante, che determinerà la svolta del rugby in Italia è riconducibile alla vittoria che la nostra nazionale ottiene con quella transalpina, che le permette di essere uffi- cialmente invitata a partecipare al torneo delle Cinque Nazioni,che dal 2000 diventerà delle Sei Nazioni.

E’ in assoluto la testimonianza più lampante del cambiamento che ha subito in Italia il rugby: non si tratta più di una realtà marginale, priva di radici culturali, ma diventa a tutti gli effetti una realtà sociale e la legittimazione internazionale lo dimostra.

Dal 2000 ad oggi è storia recente, fatta di duri scontri, certamente di minori vittorie rispetto alle sconfitte; ma soprattutto di stadi pieni, di riviste e trasmissioni sportive che si interessa- no del rugby e dei loro campioni.