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Problemi definitori della violenza assistita come species di maltrattamento

L’assenza di questa species nel quadro statistico nazionale (cfr. Primo capitolo) non dovrebbe destare stupore; la violenza assistita, come si avrà modo di comprendere nel corso della trattazione, è un fenomeno tematizzato solo di recente e per questo tutt’oggi risulta privo di fonti statistiche attendibili.

Ancora oggi nelle aule dei tribunali, nello studio degli avvocati o negli uffici dei servizi sociali, alcuni professionisti, sebbene comprendano la sofferenza della donna

58 vittima del maltrattamento, in assenza di abuso diretto sui figli nonostante gli stessi siano testimoni della violenza agita sulla propria madre, seguitano nel ritenere l’uomo un padre adeguato91. Le stesse donne, all'oscuro dei possibili effetti sui figli, tentano di ostentare quanto la figura dell’uomo, dal punto di vista dell’essere padre, sia ineccepibile.

Se a molti la scarsa attenzione al fenomeno può destare stupore, è utile ricordare che la figura del minore, come passibile di maltrattamento fisico dalle figure genitoriali ed educative, risulta essere una conquista relativamente recente92. In Italia per anni il

pater familias ha goduto del pieno potere sull’educazione dei figli; a renderlo

possibile, un contesto sociale e normativo dove l’utilizzo della violenza fisica o morale come mezzo di correzione risultava conforme alle norme sociali93. Oggi sebbene esista ancora un numero considerevole di Paesi dove il maltrattamento fisico viene considerato un metodo lecito di sanzione, nella maggior parte dei paesi Occidentali la tutela dell’interesse preminente del minore orienta il sistema normativo in ottica garantista del soggetto più debole94. Tuttavia, anche in tali contesti è possibile sollevare alcune notazioni critiche sull’effettività di tale tutela, in quanto al pari delle

91 Testimonianze ottenute dalle stesse operatrici dei Cav e dalle avvocate.

92 “Nel mondo la sensibilità alla condizione dell'infanzia vittima di violenza e di abuso ha iniziato a

svilupparsi da poco più di trenta anni; da quando nel 1962 H. Kempe et al, nell’ambito della pediatria nord americana, hanno identificato in un articolo divenuto ormai celebre la Battered Child Syndrome” (Di Blasio, et al., 2004 p. 6).

93 Dal monitoraggio effettuato nell’ambito dell’iniziativa globale End all corporal punishment of

children è emerso come l’Italia non figuri nell’elenco dei 49 paesi che vietano il ricorso alle punizioni fisiche in ogni contesto, compreso quello domestico. (Gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, 2016 p. 74)

Sebbene l’abuso dei mezzi di correzione o di disciplina compaia tra le fattispecie penalmente rilevanti del Codice Penale italiano (articolo 571) l’ordinamento in ambito domestico non prevede ancora un divieto esplicito per l’utilizzo di punizioni fisiche e umilianti. Per quanto riguarda il contesto scolastico invece con sentenza della Cassazione Sez. I, ord. 2876 del 29/03/1971 è stato stabilito che “Gli ordinamenti scolastici escludono in maniera assoluta le punizioni consistenti in atti di violenza fisica” confluito successivamente nel Regolamento Scolastico del 1928.

94“States where corporal punishment is not prohibited as a sentence for crime: Afghanistan; Antigua

and Barbuda; Bahamas; Bangladesh; Barbados; Botswana; Brunei Darussalam; Colombia; Dominica; Ecuador; Eritrea; Grenada; Guyana; India; Indonesia; Iran; Kiribati; Libya; Malaysia; Maldives; Mauritania; Nigeria; Pakistan; Qatar; Saudi Arabia; Singapore; Somalia; St Vincent and the Grenadines; State of Palestine; Tonga; Tuvalu; United Arab Emirates; UR Tanzania; Vanuatu; Yemen; Zimbabwe”. “States where corporal punishment is not fully prohibited in any setting: Antigua and Barbuda; Barbados; Botswana; Brunei Darussalam; Dominica; Eritrea; Grenada; Guyana; Malaysia; Maldives; Mauritania; Nigeria; Pakistan; Saudi Arabia; Singapore; Somalia; St Vincent and the Grenadines; State of Palestine; Tuvalu; UR Tanzania; Zimbabwe” (Global Initiative to End All Corporal Punishment of Children, 2015 p. 4).

59 donne, anche la violenza sui minori risulta essere un fenomeno trasversale, multiforme e composito, che va ben oltre il maltrattamento perpetrato attraverso le percosse, che ancora oggi, rimane, spesso, l’unica tipologia considerata. (Di Blasio, et al., 2004)

Una definizione completa e relativamente recente (contenente elementi afferenti alle diverse classificazioni proposte negli anni dalle Istituzioni e dagli Enti) risulta essere quella emessa nel 1991 dal “Consultation on Child Abuse and Prevention” del

WHO, ripresa in seguito nel 2002 anche nel “World Report on Violence”:

per abuso all’infanzia e maltrattamento debbano intendersi tutte le forme di cattiva salute fisica e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere (Krug, et al. cit.in Di Blasio, Rossi., 2004, p.9)

Per superare i rischi connessi ad un approccio unidimensionale, si è andata progressivamente delineando una operazionalizzazione del concetto articolata in quattro tipologie principali: (1) abuso fisico, (2)abuso sessuale, (3) abuso affettivo e psicologico e, infine, (4) incuria (negligenza)95.

Tale definizione, sebbene possa apparire esaustiva, è stata oggetto di critiche in quanto non è in grado di rappresentare il fenomeno nella sua realtà effettiva, specie in riferimento alla violenza derivante dall’essere testimone del maltrattamento sulla propria madre.

Per ottemperare al gap conoscitivo nel 1990 un ricercatore Americano Felitti, assieme al suo staff, ha proposto di ricorrere al concetto di “Esperienze sfavorevoli Infantili” (ESI), idoneo secondo l’autore ad offrire una lettura più ampia, capace di attestare come alcuni eventi/fatti avvenuti durante l’infanzia, possano incidere negativamente nella crescita degli stessi bambini. Tale approccio permette di guardare oltre gli episodi di maltrattamento fisico (agito per ledere direttamente il minore),

95 Il tentativo di definire la violenza ai danni dell’infanzia come "quell'insieme di atti e carenze che

turbano gravemente il bambino attentando alla sua integrità corporea e al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono: la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino" risale al 1981 durante il IV Colloquio Criminologico di Strasburgo del Consiglio di Europa. (Di Blasio, et al., 2004 p. 8)

60 considerando violenza anche quella “intangibile” che può derivare dal crescere in un ambiente dannoso dove il padre agisca violenza nei confronti della compagna/moglie- madre (Malacrea)indipendentemente dal fatto che tale condotta derivi dall’abuso di sostanze, da patologie psichiatriche o disturbi del comportamento. Una nozione che per la prima volta ha diretto l’attenzione ai minori esposti alla violenza assistita ed ai possibili effetti nefasti sulla loro crescita; un approccio che negli anni ha acquistato sempre maggior interesse, divenendo patrimonio condiviso dalla comunità scientifica.

Altri ricercatori hanno tentato di affrontare l’assistere alla violenza interpersonale e i successivi effetti da essa derivanti, considerando il fenomeno al pari dell’abuso psicologico; la stessa Di Blasio nel definire il maltrattamento psicologico come “la reiterazione di pattern comportamentali o modelli relazionali che convogliano sul bambino l’idea che vale poco, non è amato” enuclea tra i fattori causali anche l’assistere “alla violenza e ai conflitti tra i genitori” o l’essere “spettatore di aggressioni fisiche di un genitore nei confronti dell’altro o dei fratelli” (Luberti, 2006 p. 128).

Un altro studioso Monteleone nell’elencare le circostanze dell’abuso psicologico sul minore vi inserisce anche:

• ignorare il bambino e venire meno al compito di fornire stimoli necessari, risposte affettive e conferma della sua dignità, all’interno della normale routine familiare;

• isolarlo e impedire al bambino un normale contatto umano; • terrorizzare il bambino;

• creare un clima di paura, ostilità e ansia, impedendo al bambino di fare propri sentimenti di sicurezza e protezione; confermando come molti degli aspetti attinenti alla violenza psicologica sulla donna, siano presenti anche nel caso in cui il minore assista al maltrattamento su un membro della famiglia o sulla stessa madre (Luberti, 2006 p. 128). L’indurre terrore nella vittima o le minacce di agire violenza ad altri membri (ai figli) in presenza del bambino riscontrate nelle situazioni di violenza psicologica agite sulla donna96, sebbene spieghino la motivazione sottostante al considerare la violenza assistita

61 solamente “espressione del maltrattamento psicologico”, allo stesso tempo testimoniano come in realtà sia una rappresentazione restrittiva del fenomeno97.

In Italia diversamente dagli altri Paesi l’attenzione per questa nuova dimensione del maltrattamento è stata mediata dal lavoro delle operatrici dei centri antiviolenza e in special modo delle case rifugio.Il primo momento di formazione, di presa di coscienza e di sensibilizzazione è da individuare nella (loro) partecipazione al Congresso internazionale di Singapore sulla violenza in famiglia (1998) e l’anno seguente al Congresso Stop Domestic Violence di Ipswich; un momento storico, la witnessing violence (violenza assistita) ottiene rilevanza al pari del maltrattamento fisico,

psicologico, dell’abuso sessuale e della trascuratezza; non è più solo una modalità in cui si esplica la violenza, per la prima volta viene considerata un maltrattamento di ordine primario. Contestualmente viene rafforzata la stretta connessione tra la tutela del bambino e la protezione delle stesse donne (Ivi p.129). La stretta connessione, esistente tra i due fenomeni è evidente:la violenza assistita presuppone la violenza domestica98; non è un caso quindi che siano state le operatrici, impegnate a supportare le donne “vittime della violenza”, le prime in grado di cogliere anche i segnali del malessere manifestato dai minori inseriti in quegli stessi contesti familiari.

La presenza dei bambini, obbligati a seguire le madri e a rifugiarsi assieme a loro nelle case protette, ha consentito alle operatrici dei Cav di percepire la loro sofferenza; il disagio e la condotta “espressa” dai minori, le hanno portate a interrogarsi sulla possibilità che la violenza subita dalle figure di riferimento potesse avere ricadute anche sugli stessi bambini.

Nel 2003 una ricerca italiana condotta proprio dalle operatrici di un Cav, l’associazione “Artemisia” di Firenze, ha permesso (non solo) di conoscere il numero di donne che nel periodo 1999-2001 si erano rivolte ai ventotto centri oggetto di studio, ma considerando quelle che erano anche madri (15.120)99, hannomostrato che nel

97 La violenza assistita non deve essere identificata solamente nella violenza psicologica, perché in essa

devono essere individuate le quattro tipologie rilevate nelle donne: violenza fisica, sessuale, economica e psicologica.

98Considerando che il minore potrebbe assistere alla violenza agita sui fratelli o su altri parenti

l’accezione è adeguata; dato l’interesse della tesi, limitando la studio solamente alla violenza agita dall’uomo sulla moglie/compagna sarebbe preferibile avvalersi del termine “violenza interpersonale”.

99 dall’indagine è emerso che nell’80% dei casi il maltrattamento, durato (in media) circa sette anni, è

62 periodo preso in esame, 22.226 bambini avevano assistito alle violenze agite contro la loro mamma (Luberti, 2006 p. 132).

L’esperienza maturata nel lavoro sul campo ha portato anche nel nostro Paese ad esperienze pionieristiche di tematizzazione e intervento su quella che oggi chiamiamo violenza assistita. Per quanto riguarda i servizi pubblici, da annoverare tra le esperienze pilota (fine anni ‘90) troviamo il “progetto Girasole” ideato a Roma all’interno dell’Unità Operativa dell’Ospedale “Bambin Gesù”; sebbene siano risultati 112 i bambini vittima di violenza assistita, in realtà solo il 7% era stato condotto per una valutazione diagnostica circa gli effetti provocati dalla violenza in famiglia. Il 31% dei bambini infatti era stato accompagnato dagli stessi genitori, ignari dei possibili effetti provocati dalla violenza domestica, solamente perché preoccupati dal comportamento esibito dai figli (Save the Children, 2011 p. 9).

Nel 1999 tutte le esperienze e gli studi che stavano nascendo sull’argomento, trovano un luogo di confronto nella creazione di una commissione scientifica all’interno del Cismai100 (Coordinamento Italiano dei servizi contro il maltrattamento

e l’abuso all’infanzia). All’interno della stessa il fenomeno della violenza assistita ottiene particolare attenzione e maggior interesse durante un momento di discussione e formazione: nel 2003 ha luogo a Firenze il terzo congresso nazionale del Cismai denominato: “Bambini che assistono alla violenza domestica”. Un incontro fondamentale, che per la prima volta in Italia rende possibile la discussione e il confronto con alcuni tra i maggiori esperti sul fenomeno ponendo le basi per la realizzazione successiva del “Documento sui requisiti minimi degli interventi nei casi

di violenza assistita da maltrattamento sulle madri”, e dopo anni di incertezza

chiarifica il fenomeno proponendo una prima definizione del tema; non si tratta di una spiegazione giuridica o clinica, ma descrittiva, adatta ad inquadrare i soggetti implicati e delimitarne il contesto (Save the Children, 2011).

Per violenza assistita siffatti si intende l’esperire da parte del bambino/a di ogni forma di maltrattamento “compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure

100 “associazione pluridisciplinare nata nel 1993 in cui confluiscono più di 60 centri e servizi pubblici e

del privato sociale (nonché singoli professionisti) impegnati in interventi di protezione e cura di minori maltrattati e delle loro famiglie” (Save the Children, 2011 p. 10).

63 affettivamente significative adulte e minori”. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici101 (Cismai).

Recentemente102 la definizione, in occasione della pubblicazione dei nuovi Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita, è stata oggetto di

revisione; tra le forme di violenza sono inseriti anche gli atti persecutori (c.d. stalking) e peculiare attenzione è stata diretta alla “condizione degli orfani denominati speciali, vittime di violenza assistita da omicidio, omicidi plurimi, omicidio-suicidio” annoverando oltre al bambino/a anche la figura dell’adolescente (Cismai, 2017).

Data l’attenzione recente, stupisce solo in parte l’assenza di dati statistico- descrittivi sul fenomeno103; le prime stime sono state ottenute dai centri antiviolenza, e solo in seguito si è potuto assistere ad un incremento di dati prodotto da altre rilevazioni, (in origine) non direttamente finalizzate ad accrescere la conoscenza del fenomeno. La scarsa consapevolezza ha fatto sì che la violenza assistita emergesse, quasi incidentalmente durante le interviste come ulteriore modalità di sofferenza, imponendo così anche ai soli fini di rappresentatività statistica la necessità di rilevazioni più dirette.

Un esempio paradigmatico di questa dinamica è rappresentato dalla ricerca realizzata in attuazione del Piano nazionale infanzia (periodo 2003-2004).

L’indagine che prende nome: “Percorsi di vita: dall’infanzia all’età adulta.

Formazione, lavoro, relazioni affettive e familiari, salute e violenza” è stata condotta

con lo scopo di rilevare i casi di pregresso abuso sessuale (vissuti dalle donne intervistate) prima del compimento del diciottesimo anno di età. Dal campione (2.320 donne dai 19-60 anni) è emerso come la maggior parte delle intervistate (49,6%) abbia

101 L’annoverare l’animale domestico tra le figure maltrattate, sottende la sofferenza che può essere

provata da un bambino nel vedere il proprio cucciolo maltrattato; alcune psicologhe infatti hanno convenuto che in molti casi assistere il padre che maltratta il proprio animaletto suscita maggiormente paura e sofferenza.

102 Pubblicato sul sito http://cismai.it/ il 20 maggio 2017

103 Una motivazione valida deve essere rintracciata, come avremo modo di chiarire in seguito, nel non

64 subito almeno una forma di maltrattamento; il 5,9% un abuso sessuale, il 18,1 ha esperito sia l’abuso che il maltrattamento e solamente il 26,4% ha riferito di non aver avuto nessuna di queste esperienze. Il dato che merita attenzione è individuabile nella forte ricorrenza di episodi di violenza assistita testimoniata dalle intervistate: sia dalle vittime di maltrattamenti (29,5%), sia quelle che hanno esperito maltrattamento e abuso (33,6%). Come è possibile leggere anche nell’estratto che segue:

il 30% delle risposte svela situazioni in cui la bambina era testimone diretta o indiretta di aggressioni fisiche e/o verbali tra i genitori in modo quotidiano o molto frequente. I risultati della ricerca dimostrerebbero quindi la rilevanza della violenza assistita come forma di abuso infantile (Save the Children, 2011 p. 14).

L’importanza nel considerare preminente il maltrattamento subito dalle madri, ottiene attenzione non solo a livello teorico ma risulta un aspetto imprescindibile anche all’interno del documento sui “Requisiti minimi104”, (una sorta di traduzione in azione

delle indicazioni operative per affrontare il fenomeno) dove la violenza assistita viene indicata come “una forma di maltrattamento la cui rilevazione necessita del

preliminare riconoscimento della violenza intrafamiliare diretta” (Cismai, 2005,

2017).

Il primo accertamento statistico che conduce all’emersione dei dati della violenza assistita a livello Nazionale, (infatti) è la già citata indagine Istat “La violenza e i

maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia”, risalente al 2006, la quale

attraverso un focus dedicato alla tematica violenza sulle donne dà nuova luce al fenomeno. Risultano essere 690 mila le donne a riferire la presenza dei figli durante la violenza. La maggioranza delle intervistate (60,3%) ha dichiarato che i bambini sono stati presenti ad uno o più episodi di violenza; dal grafico è possibile osservare come la percentuale differisca in base alla frequenza che vede i figli testimoni.

104 Ci si riferisce al “Documento sui requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da

65 Grafico 18: Minori presenti ad uno o più episodi di violenza agita sulla madre

Nostra elaborazione dati Istat. Anno 2008

Dalle interviste inoltre emerge come il 15,9% delle donne sostenga che durante il maltrattamento i figli siano stati non solo testimoni ma anche coinvolti direttamente nella violenza fisica agita sulla stessa.

Grafico 19: Coinvolgimento diretto dei figli nella violenza

Nostra elaborazione dati Istat

Nel 2014 l’Istat ha condotto una nuova rilevazione105; anche in questa occasione, attenzione particolare è stata indirizzata a valutare la variazione della violenza assistita, interessandosi anche ad un eventuale gap dai risultati precedenti.

Come si è convenuto dopo la presentazione dei valori rilevati sulla donna106,

probabilmente per le stesse motivazioni, l’incidenza dei bambini testimoni del maltrattamento risulta in aumento: la percentuale delle donne che denuncia la presenza dei figli durante la violenza sale a 65,2%.

Nel grafico sottostante è possibile visualizzare l’entità di questoincremento:

105 L’indagine è stata oggetto di studio nel primo capitolo 106 Cfr. primo capitolo 6,7% 5% 4,2% 4,4 4,6 4,8 5 5,2 5,4 5,6 5,8

raramente a volte spesso

coinvolgimento diretto dei figli nella violenza

16,3% 20,5% 21,4% 18% 19% 20% 21% 22% 23%

raramente a volte spesso

66 Grafico 20: Minori presenti ad uno o più episodi di violenza agita sulla madre.

Confronto dati 2006-2014

Nostra elaborazione dati Istat. Anni 2008 e 2015

Risulta in crescita anche la percentuale delle intervistate (25%) che riferisce il coinvolgimento stesso dei bambini durante i maltrattamenti.

L’ultima rilevazione (non per importanza), a meritare attenzione è stata elaborata da Save the Children Italia in relazione al programma d’azione comunitaria Daphne III (Finanziato dalla commissione Europea) che prende nome: “Children witnesses of

gender violence in the domestic context. Analyses of the fulfilment of their specific

needs through the protection system”107 (Ulivieri, 2014). L’indagine svolta nei mesi

maggio-settembre 2010, ha visto la partecipazione di tre regioni del territorio Nazionale: Piemonte, Lazio e Calabria; rispettivamente afferenti alle tra aree geografiche: Nord, Centro e Sud108.

La specificità della ricerca può essere rintracciata sia nell’aver selezionato (per le interviste), “testimoni privilegiati”: enti locali/regionali, forze dell’ordine, terzo settore e personale afferente alla giustizia e ai servizi socio-sanitari; sia per essere riuscita ad indagare e in seguito rendere visibili i servizi presenti sul territorio Italiano che si occupano del fenomeno.

107La versione originale è disponibile al link: https://www.savethechildren.org

La stesura della versione Italiana “Spettatori e Vittime: i minori e la violenza assistita in ambito domestico” è a cura di Renato Frisanco ed è consultabile al sito: https://www.savethechildren.it/

108 Non solo una divisione geografica, ma politiche di welfare differenti

16,3% 20,5% 21,4% 16,2% 26,7% 22,2% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30%

raramente a volte spesso

67 Negli altri Stati la witnessing violence ha riscontato attenzione; contrariamente all’Italia (dove è stato necessario attendere il 2003-2005 perché acquisisse una definizione stabile e riconosciuta), per comprenderne appieno l’incidenza da anni vengono prodotti studi e rilevazioni.

Esaminando la situazione attuale è rinvenibile anche in questo ritardo109 la spiegazione del perché in Italia, ancora oggi, le indagini nazionali risultino isolate, l’interesse maggiore sia limitato ai servizi che si occupano della violenza sulle donne e in particolar modo perché numerosi professionisti (e non) ignorano la sua esistenza e gli effetti possibili su ogni soggetto implicato.