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Charles Sanders Peirce

Nel documento Semiotica (pagine 72-79)

TEORIE DEL SEGNO

2. Charles Sanders Peirce

Charles Sanders Peirce (1839-1914) è considerato il fondatore della semiotica1. La sua tar-

diva fama – anche come filosofo – è dovuta, oltre che a vicende della vita personale, soprat- tutto al fatto che i suoi scritti sono rimasti a lungo inediti. Le due maggiori raccolte delle ope- re di Peirce sono le seguenti: The Collected Papers of Charles Sanders Peirce e Writings of

Charles Sanders Peirce. Anche in italiano esistono ormai varie raccolte degli scritti peirciani.

La definizione e il concetto di segno non sono coerenti nel pensiero di Peirce. Infatti, so- no state riscontrate perlomeno 76 definizioni di “segno” (brevemente analizzate da Marty)2.

Una delle sue più famose definizioni è la seguente:

1La bibliografia su Peirce è enorme. Per una bibliografia selettiva e i rimandi dettagliati, vd. la relativa

sezione bibliografica.

2Queste definizioni e l’analisi di Marty sono disponibili al sito:

«Un segno, o representamen, è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un se- gno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo

interpretante del primo segno. Il segno sta per qualcosa: il suo oggetto. Sta per quel-

l’oggetto non sotto tutti i rispetti, ma in riferimento a una sorta di idea che io ho talvol- ta chiamato la base del representamen (CP 2.228, tr. it. p. 132)»3.

Considerata l’importanza di questa citazione, è opportuno dare anche il testo originale:

«A sign, or representamen, is something which stands to somebody for something in some respect or capacity. It addresses somebody, that is, creates in the mind of that per- son an equivalent sign or perhaps a more developed sign. That sign which it creates I call the interpretant of the first sign. The sign stands for something, its object. It stands for that object, not in all respects, but in reference to a sort of idea, which I have sometimes called the ground of the representamen».

Si confronti quest’altra definizione:

«[...] un segno, in quanto tale, ha tre riferimenti: primo è un segno per un pensiero che lo interpreta; secondo, è un segno in luogo di un [for some] oggetto a cui in quel pen- siero è equivalente; terzo, è un segno sotto qualche rispetto o qualità che porta il segno stesso in connessione con il suo oggetto» (CP 5.283, tr. it. p. 60).

È davvero incredibile l’affinità rintracciabile tra queste definizioni del segno formula- te da Peirce e quelle formulate da Agostino nel De doctrina christiana e nel De Trinitate. Infatti, Agostino definisce il segno come «una cosa che, oltre all’immagine che trasmette ai sensi di se stesso, fa venire in mente, con la sua presenza, qualcos’altro [diverso da sé]» (De doctr. christ. II 1, 1)4. A questa si possono affiancare altre due formulazioni, più espli-

cite. Si legge ancora in De doctr. christ. II 2, 3: «Nessun altro motivo abbiamo noi di si- gnificare, cioè di emettere segni, se non quello di palesare o trasmettere nell’animo altrui ciò che passa nell’animo di colui che dà il segno»5. E in De Trin. IX 7, 12, Agostino af-

ferma: «Quando parliamo ad altri, restando il verbo a noi immanente, ricorriamo all’aiuto

3Le citazioni si riferiscono tutte ai Collected Papers (siglati CP con indicazione del volume e del para-

grafo); le traduzioni (indicate con i numeri delle pagine) sono quelle che si trovano in Ch. S. Peirce, Se- miotica, a cura di M.A. Bonfantini, L. Grassi, R. Grazia, Einaudi, Torino, 1980.

4«Signum est [...] res, praeter speciem quam ingerit sensibus, aliud aliquid ex se faciens in cogitationem ve-

nire» (Sant’Agostino, La dottrina cristiana, tr. it. di V. Tarulli, Città Nuova, Roma, 1992, pp. 12-13).

5«Nec ulla causa est nobis significandi, id est signi dandi, nisi ad depromendum et traiciendum in alte-

della parola o di un segno sensibile per provocare anche nell’anima di chi ascolta, me- diante un’evocazione sensibile, un qualche cosa di somigliante a ciò che permane nel- l’anima di chi parla»6.

Tornando a Peirce, si può individuare un’azione triadica del segno (costituita da “repre- sentamen”, “oggetto” e “interpretante”), chiamata semiosi7, che costituisce il vero oggetto

della semiotica:

Interpretante

Segno Oggetto

Soffermiamoci su questi tre concetti.

Il representamen è «un Oggetto percettibile, o soltanto immaginabile, o anche inimma- ginabile in un senso univoco» che funziona come segno (CP 2.230, tr. it. p. 133). Peirce lo considera anche come il segno nella sua “natura materiale” (CP 8.333, tr. it. p. 190).

L’oggetto è ciò che il segno “rappresenta” e può essere «una singola cosa conosciuta co- me esistente», oppure una classe di cose (CP 2.232, tr. it. p. 135). Comunque il segno «può solamente rappresentare l’Oggetto e parlare di esso. Non può fornire da solo conoscenza di- retta o riconoscimento di quell’Oggetto» (CP 2.231, tr. it. p. 134). Va inoltre precisato che con oggetto di un segno Peirce intende «quell’entità di cui è presupposta una conoscenza di- retta affinché il Segno possa veicolare qualche ulteriore informazione riguardo all’Oggetto stesso» (CP 2.231, tr. it. p. 135). Inoltre, vanno distinti due oggetti, ossia l’oggetto immediato e l’oggetto dinamico: il primo «è l’Oggetto come il Segno stesso lo rappresenta, e la cui esi- stenza dipende dunque dalla Rappresentazione di esso nel Segno», mentre l’oggetto dinami- co «è la realtà che in qualche modo riesce [contrives] a determinare il Segno alla sua Rap- presentazione» (CP 4.536, tr. it. p. 229).

L’interpretante è il termine usato da Peirce per riferirsi al significato di un segno. L’in- terpretante è un segno creato nella mente di una persona da un altro (da un primo) segno (CP 2.228, tr. it. p. 132). Comunque Peirce distingue tre tipi di interpretanti: l’interpretante emo- zionale, quello energetico e quello logico. Il più importante di tutti è quest’ultimo, ossia l’in-

terpretante logico (CP 5.476-477, tr. it. pp. 291-292).

IV. Teorie del segno

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6«Cum autem ad alios loquimur, verbo intus vanenti ministerium vocis adhibemus, aut alicuius signi cor-

poralis, ut per quamdam commemorationem sensibilem tale aliquid fiat etiam in animo audientis, quale de loquentis animo non recedit» (Sant’Agostino, La Trinità, tr. it. di G. Beschin, Città Nuova, Roma, 1973, 19872, pp. 378-381).

7Questo triangolo semiotico ricorda, ma non va confuso con, quello di C.K. Ogden e I.A. Richards, Il si-

Poiché, dunque, ogni segno crea un interpretante che, a sua volta, è il representamen di un secondo (di un altro) segno, la semiosi risulta in una serie infinita – o meglio, illimitata – di interpretanti successivi. In questo processo semiosico illimitato (semiosi illimitata) non c’è né un “primo” né un “ultimo” segno, per cui il processo semiosico (la semiosi) può es- sere solo interrotto, ma mai portato a termine8.

Peirce ha elaborato una complessa tipologia dei segni (vd. CP 2.233-271, tr. it. pp. 136- 152). Anzitutto viene stabilita una distinzione fra le tre categorie della primità, secondità e

terzità:

«I segni sono divisibili secondo tre tricotomie: in primo luogo, secondo che il segno in se stesso sia una pura qualità, o un esistente effettivo, o una legge generale; in secondo luogo, secondo che la relazione del segno con il suo oggetto consista nel fatto che il se- gno ha qualche carattere in se stesso, o consista in qualche relazione esistenziale con quell’oggetto, oppure nella sua relazione con un interpretante; in terzo luogo, secondo che il suo Interpretante lo rappresenti come un segno di possibilità, o come un segno di fatto, oppure infine come un segno di ragione» (CP 2.243, tr. it. pp. 138-139).

Scrive Fabbrichesi Leo:

«La prima categoria [...] l’autore intende stabilirla come nozione assolutamente irrelati- va e autosufficiente, determinata cioè dal riferimento a null’altro che a se stessa. Essa è sempre definita qualitativamente, ma come puro feeling, possibilità irrappresentabile e irrealizzata, “peculiare e idiosincratica”. L’idea di Secondo [ossia secondità] dovrebbe invece identificarsi con il vero e proprio concetto di relazione [...].

[...] la relazione intrattenuta dalla Secondità sarà definita pura reazione, scontro tra due ecceità che si presentano in una coppia priva di riconoscimento interpretativo e priva di una vera distinzione tra l’uno e il due, dove il primo è per il secondo, e viceversa. [...] Ma la relazione, intesa come rapporto triadico e significativo tra due entità che riman- dano l’una all’altra in quanto una terza costituisce la loro legge di riconoscimento, è una Terzità in atto, una rappresentazione [...]»9.

Insomma, con primità ci si riferisce al segno preso in sé stesso, con secondità al segno in rapporto con l’oggetto, e con terzità al segno in rapporto con l’interpretante. Inoltre, se consideriamo che ognuna di tali categorie può realizzarsi secondo le modalità della possibi- lità, della attualità e della legge, allora si otterranno tre tricotomie fondamentali:

8Cfr. U. Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano, 1975, pp. 101-106. 9R. Fabbrichesi Leo, Introduzione a Peirce, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 47-48.

Più specificamente:

«Un Qualisegno è una qualità che è un Segno. Essa non può effettivamente avere la fun- zione di un segno finché non è messa in atto [embodied]; ma la sua messa in atto o rea- lizzazione [embodiment] non ha niente a che fare con il suo carattere di segno» (CP, 2.244, tr. it. p. 139).

«Un Sinsegno (dove la sillaba sin è intesa significare “esistente una sola volta”, come in

singolo, semplice, nel latino semel, ecc.) è una cosa o un evento effettivamente esisten-

te che è un segno. Può essere così soltanto attraverso le sue qualità; cosicché implica un qualisegno, o piuttosto diversi qualisegni. Ma questi qualisegni sono di una specie par- ticolare e formano un segno soltanto per il fatto di essere effettivamente messi in atto» (CP, 2.245, tr. it. p. 139).

«Un Legisegno è una legge che è un Segno. Questa legge è usualmente stabilita dagli uo- mini. Ogni segno convenzionale è un legisegno. Non è un oggetto singolo, ma un tipo generale che è significante in base a quanto convenuto. Ogni legisegno significa quando è applicato in una occorrenza, che può essere detta una sua Replica. Così, la parola “il” ricorrerà una decina di volte in una pagina. Ebbene, in tutte queste ricorrenze si tratta dell’unica e stessa parola, dello stesso legisegno. Ogni singolo esempio di essa è una Re- plica» (CP, 2.246, tr. it. p. 139).

In base alla seconda tricotomia, che considera il segno in relazione all’oggetto, si avrà la seguente suddivisione:

«Un’Icona è un segno che si riferisce all’Oggetto che essa denota semplicemente in vir- tù di caratteri suoi propri, e che essa possiede nello stesso identico modo sia che un ta- le Oggetto esista effettivamente, sia che non esista. [...] Una cosa qualsiasi [...] è un’Ico- na di qualcosa, nella misura in cui è simile a quella cosa ed è usata come segno di essa» (CP 2.247, tr. it. p. 140).

«Un Indice è un segno che si riferisce all’Oggetto che esso denota in virtù del fatto che è realmente determinato da quell’Oggetto. [...] l’Indice ha necessariamente qualche Qualità in comune con l’Oggetto» (CP 2.248, tr. it. p. 140).

«Un Simbolo è un segno che si riferisce all’Oggetto che esso denota in virtù di una leg-

IV. Teorie del segno

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segno in sé segno in relazione all’oggetto

segno in relazione all’interpretante

possibilità qualisegno icona rema

attualità sinsegno indice dicisegno

ge, di solito un’associazione di idee generali, che opera in modo che il Simbolo sia in- terpretato come riferentesi a quell’Oggetto» (CP 2.249, tr. it. p. 140).

Esemplificando, un esempio di icona è un quadro o una fotografia; un esempio di indi- ce è il fumo che sta per il fuoco; infine, un esempio di simbolo è un nome comune.

In base alla terza tricotomia, che considera il segno in relazione all’interpretante, si avrà la seguente suddivisione:

«Un Rema è un Segno che, per il suo Interpretante, è un Segno di Possibilità qualitati- va, cioè è inteso rappresentare un determinato genere di Oggetto possibile» (CP 2.250, tr. it. p. 141).

«Un Segno Dicente [o Dicisegno] è un Segno che, per il suo Interpretante, è un Segno di esistenza effettiva» (CP 2.251, tr. it. p. 141).

«Un Argomento è un Segno che, per il suo Interpretante, è un Segno di legge. Ovvero, possiamo dire che [...] un Argomento è un Segno che è inteso rappresentare il suo Og- getto nel suo carattere di Segno» (CP 2.252, tr. it. p. 141).

Esemplificando, possiamo dire che il rema è un predicato (per es. “...è rosso”); il dici-

segno è una proposizione (per es. “questo è rosso”); l’argomento è una inferenza.

Dalla combinazione di queste tre tricotomie e da una regola di riduzione scaturiscono le dieci principali classi di segni, che sono:

1. Qualisegno Iconico Rematico (Rhematic Iconic Qualisegn); 2. Sinsegno Iconico Rematico (Rhematic Iconic Sinsign); 3. Sinsegno Indicale Rematico (Rhematic Indexical Sinsign); 4. Sinsegno Indicale Dicente (Dicent Indexical Sinsign); 5. Legisegno Iconico Rematico (Rhematic Iconic Legisign); 6. Legisegno Indicale Rematico (Rhematic Indexical Legisign); 7. Legisegno Indicale Dicente (Dicent Indexical Legisign);

8. Legisegno Simbol(ic)o Rematico (Rhematic Symbol(ic) Legisign); 9. Legisegno Simbol(ic)o Dicente (Dicent Symbol(ic) Legisign); 10. Legisegno Simbolico Argomento (Argument Symbolic Legisign).

Per fare solo qualche esempio: un “Qualisegno Iconico Rematico” può essere una sen- sazione di rosso; un “Legisegno Indicale Rematico” può essere un pronome dimostrativo (come questo); un “Legisegno Simbol(ic)o Dicente” può essere una proposizione ordinaria del tipo Il leone è feroce, ecc.10.

Infine, resta da considerare, in relazione all’Argomento, la distinzione fra deduzione, in-

duzione e abduzione:

«Un Argomento Obsistente, o Deduzione, è un argomento che rappresenta dei fatti nel- la Premessa, in modo tale che quando ci troviamo a rappresentarli in un Diagramma sia- mo costretti a rappresentare il fatto asserito nella Conclusione; cosicché la Conclusione è tratta a riconoscere che [...] i fatti asseriti nelle premesse sono tali quali non potrebbe- ro essere se il fatto asserito nella conclusione non vi fosse: cioè, la Conclusione viene tratta riconoscendo che i fatti asseriti nella Premessa costituiscono un Indice del fatto che essa è così costretta a riconoscere» (CP 2.96, tr. it. p. 105).

«Un Argomento Transuasivo, o Induzione, è un Argomento che scaturisce da un’ipotesi risultante da una precedente Abduzione, e da previsioni virtuali, formulate per Deduzio- ne, dei risultati di possibili esperimenti, e che, una volta eseguiti gli esperimenti, con- clude che l’ipotesi è vera nella misura in cui quelle previsioni sono verificate; tale con- clusione restando comunque soggetta a probabile modificazione per adattarsi a esperi- menti futuri» (CP 2.96, tr. it. p. 106).

«Un Argomento originario, o Abduzione, è un argomento che presenta nella sua Pre- messa fatti i quali presentano una similarità con il fatto asserito nella Conclusione, ma che potrebbero benissimo essere veri senza che la Conclusione sia vera, anzi senza che essa sia neppure riconosciuta; cosicché non siamo condotti ad affermare con sicurezza la Conclusione, ma siamo soltanto disposti ad ammetterla come rappresentante un fat- to di cui i fatti della Premessa costituiscono un’Icona» (CP 2.96, tr. it. p. 105).

Una trattazione più chiara ce la dà Eco11:

«Nel caso delle DEDUZIONI logiche c’è una regola da cui, dato un caso, si inferisce un risultato:

“Tutti i fagioli in questo sacchetto sono bianchi – Questi fagioli provengono da questo

sacchetto – Questi fagioli sono bianchi (sicuramente)”.

Nel caso dell’INDUZIONE, dato un caso e un risultato, se ne inferisce la regola: “Questi fagioli provengono da questo sacchetto – Questi fagioli sono bianchi – Tutti i

fagioli di questo sacchetto sono bianchi (probabilmente)”.

Nel caso dell’ipotesi o ABDUZIONE si ha inferenza di un caso da una regola e da un risultato:

“Tutti i fagioli di quel sacchetto sono bianchi – Questi fagioli sono bianchi – Questi fa-

gioli vengono da quel sacchetto (probabilmente)”».

IV. Teorie del segno

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Precisano Bonfantini e Proni12:

«Tuttavia, la conclusione abduttiva, pur procedendo in modo altrettanto automatico del- la deduzione dalle premesse, è formalmente tale da non dare luogo a una esplicitazione mera del contenuto semantico delle premesse, ma a una ricomposizione di tale contenu- to semantico. Perciò l’abduzione è “sintetica” e innovativa, e con ciò anche rischiosa: giacché il valore di verità della conclusione abduttiva non è normalmente determinato dalla validità delle premesse (cioè le premesse possono essere vere e la conclusione fal- sa). L’abduzione consiste nell’attribuzione al soggetto dell’indagine, individuato nella premessa che esprime il “risultato”, delle caratteristiche espresse nella protasi o antece- dente della premessa maggiore o regola».

Concludono pertanto Bonfantini e Proni13:

«Se il grado di novità della conclusione abduttiva dipende dal tenore della premessa maggiore, è chiaro che il carattere propriamente inventivo o di scoperta o creativo del- l’argomentazione abduttiva non sta nell’inferenza, bensì nell’interpretazione del dato o “risultato”, che viene considerato quale occorrenza particolare della conseguenza tipica di una legge o principio generale».

Nel documento Semiotica (pagine 72-79)