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Segni e tipi di segno

Nel documento Semiotica (pagine 32-36)

Il segno qui considerato è, fondamentalmente, il lessema (che coincide in sostanza con la “parola”) preso individualmente, isolatamente. Tuttavia, oltre al fatto che potrebbero indi- viduarsi unità significative più piccole della parola (come i monemi), è raro che la comuni- cazione avvenga per mezzo di parole isolate o addirittura di singoli grafemi o lettere (come nel caso delle insegne: BAR, RISTORANTE, T = sali e tabacchi, H = ospedale o hotel). Co- me afferma lo stesso de Saussure, «noi non parliamo per segni isolati, ma per gruppi di se- gni, mediante masse organizzate che sono esse stesse segni»20. Coseriu21individua tutta una

serie di relazioni:

(1) relazioni fra il segno stesso e altri segni linguistici:

(a) relazioni con singoli segni sotto il profilo del significante o del significato; (b) relazioni con gruppi o categorie di segni;

(c) relazioni con l’intero sistema di segni;

18Ivi, p. 62. 19Ivi, p. 63.

20F. de Saussure, Corso di linguistica generale (1916), a cura di T. De Mauro, Laterza, Bari, 1967, 19875,

p. 155.

(2) relazioni con segni in altri testi: (a) discorso ripetuto;

(b) detti proverbiali;

(3) relazioni tra segni e “cose”:

(a) imitazioni attraverso la sostanza del segno:

(i) imitazione diretta attraverso l’immagine fonica (onomatopee); (ii) imitazione indiretta mediante l’articolazione;

(iii) sinestesia;

(b) imitazioni attraverso la forma del segno;

(4) relazioni tra segni e “cognizione delle cose”;

(5) intorni: (a) situazione; (b) regione; (c) contesto;

(d) universo del discorso.

Si potrebbe dunque affermare che un segno – o più esattamente un “complesso segnico” – è sempre un’entità relazionale dinamica co-testualizzata o con-testualizzata: è relazionale, perché è costituita sia dalla relazione “significante-significato” sia dal suo rapportarsi alla re- altà; è dinamica, perché – sia sul piano del sistema sia su quello funzionale – è di natura sto- rico-culturale; ed è cotestualizzata o contestualizzata, perché un segno fa sempre parte o di un testo (àmbito testuale) o di un contesto (àmbito extratestuale, situazione). Inoltre, sebbe- ne un complesso segnico possa essere (teoricamente) uni- o monomediale (ossia costituito da un solo medium, per es. il suono), di fatto è (quasi) sempre multimediale (ossia costitui- to da diversi media, per es. suono e immagine).

Abbiamo dunque visto che

(a) il segno presuppone la significazione, ovvero la significazione è la base per il costi- tuirsi del segno;

(b) la significazione non è necessariamente il segno. Perché ci sia segno occorre che ci sia intenzionalità comunicativa da parte del produttore e/o del ricevente;

(c) la comunicazione avviene quasi sempre mediante complessi segnici multimediali che possiamo chiamare messaggi.

Se dunque il messaggio (come “complesso segnico”) presuppone la significazione e la intenzionalità, si possono avere perlomeno due casi principali:

II. La significazione

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(i) l’emittente produce e trasmette intenzionalmente un messaggio, e il ricevente recepi- sce e comprende quel messaggio. È, questa, la situazione comunicativa “normale” o “(pro- to)tipica”;

(ii) l’emittente produce e trasmette intenzionalmente un messaggio, ma non c’è nessuno che recepisca o comprenda quel messaggio. È questo, ad esempio, il caso di un messaggio scritto in una lingua sconosciuta.

Una terza possibilità può essere così esemplificata. Qualcuno, per provare il funziona- mento di una penna, scrive su un foglio una sequenza di grafemi (“lettere”). Qualcun altro vede il foglio e crede che contenga un messaggio (magari cifrato) che cerca, perciò, di in- terpretare. Possiamo dire che quella sequenza di grafemi costituisca un messaggio? Certa- mente no, se ragioniamo dal punto di vista dello scrivente; magari sì, se ragioniamo dal pun- to di vista di chi legge quella determinata sequenza di grafemi (“lettere”); questo lettore, pe- rò, deve essere in grado di fornire un’interpretazione coerente della sequenza di grafemi in questione, e ciò non sarà sicuramente facile.

Diverso è il caso seguente. Durante una rapina a una banca, uno dei delinquenti aspetta i complici in macchina fumando; appena li vede uscire, getta il mozzicone della sigaretta, aspetta che gli altri salgano e parte come un lampo. Grazie alla testimonianza di alcuni pas- santi, la polizia recupera il mozzicone e, attraverso l’analisi del DNA presente nella saliva, riesce a risalire all’identità del fumatore (perché già precedentemente schedato). I resti del- la saliva sul mozzicone di sigaretta, dunque, hanno rivelato alla polizia l’identità di uno dei rapinatori. È lecito dire che la saliva è un segno? Certamente no, in quanto non c’è stata, da parte del rapinatore, nessuna intenzione di lasciare resti di saliva sulla sigaretta.

In casi di questo genere, dunque, non si può parlare di segni (né di messaggi), bensì di

indizi o tracce, ed eventualmente è anche possibile distinguere gli indizi dalle tracce. Tutto

ciò ci porta, dunque, ad affrontare il problema di come classificare i segni.

Una delle più interessanti classificazioni dei segni – che non è ancora una vera tassono- mia – è quella proposta da Agostino in De doctrina christiana (396-427 d.C.), che si può considerare come il primo vero testo di semiotica. Qui i segni vengono suddivisi secondo (1) il modo di trasmissione (vista ~ udito), (2) l’origine e l’uso (segni naturali ~ segni intenzio- nali), (3) lo statuto sociale (segni naturali ~ segni istituzionali), (4) la natura del rapporto simbolico (segni propri ~ segni trasposti), e (5) la natura del designato (segno ~ cosa).

A più di 1500 anni di distanza, Eco ha proposto un’analoga classificazione dei segni – anche se, ovviamente, più articolata – in base a vari criteri. Prima di tutto, Eco fa una di- stinzione, in relazione alle fonti di emissione, fra (i) segni artificiali e (ii) segni naturali:

(i) i segni artificiali si suddividono in:

(a) segni prodotti intenzionalmente per significare (si tratta dei veri e propri segni, pro- dotti consciamente da qualcuno, in base a delle convenzioni, con lo scopo di comunicare qualcosa a qualcun altro);

(b) segni prodotti intenzionalmente come funzioni (rientrano in questo gruppo le opere architettoniche, l’arredamento, i vestiti, ecc.);

(ii) i segni naturali si suddividono in:

(a) fenomeni della natura (per es., tuoni, lampi, volo degli uccelli, ecc.);

(b) segni emessi inconsciamente dall’uomo (per es., sintomi, macchie sulla pelle, ca- ratteristiche razziali, ecc.)22.

A questa prima classificazione se ne può sostituire o sovrapporre un’altra, basata sul ca-

nale utilizzato. Si avranno allora canali costituiti da materia liquida o solida, oppure da ener-

gia chimica o fisica. I canali costituiti da energia fisica possono essere, a loro volta, di natu- ra ottica, tattile, acustica, elettrica, termica, ecc.

Un’ulteriore classificazione è fatta in relazione al referente. Si possono così distinguere i segni in

(1) indici (segni che hanno una connessione fisica con l’oggetto indicato, come, per esempio, il fumo quale indice del fuoco);

(2) icone (segni che rinviano ai loro oggetti in virtù di una qualche somiglianza, come, per esempio, le fotografie, i diagrammi, i disegni, ecc.);

(3) simboli (segni arbitrari il cui rapporto con l’oggetto è fissato da una legge, come, per esempio, il segno linguistico).

Una classificazione o, meglio ancora, una tassonomia dei segni è senz’altro importante. Ma altrettanto – se non più – importante è il fatto che solo pochissimi messaggi (per non di- re nessuno) sono costituiti da un unico tipo di segno, sia perché i messaggi, e soprattutto i testi, sono complessi segnici (in cui, accanto alle parole da intendersi in senso letterale, pos- siamo trovare anche metafore, allegorie, espressioni ironiche, ecc.), sia perché la comunica- zione è sempre multimediale (basti pensare ai testi costituiti tanto da elementi verbali quan- to da immagini e diagrammi, o ai testi audiovisivi, ecc.).

22U. Eco, Segno, Isedi, Milano, 1973, pp. 32 segg.; cfr. Id., Trattato di semiotica generale, Bompiani, Mi-

lano, 1975, pp. 29-30. Sembra dunque che per Eco il segno non presupponga necessariamente l’intenzio- nalità (perlomeno dell’emittente), come invece è da noi sostenuto.

CAPITOLO TERZO

Nel documento Semiotica (pagine 32-36)