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ROLAND BARTHES

Nel documento Semiotica (pagine 177-179)

Roland Barthes (1915-1980) è stato uno dei maggiori strutturalisti e semiologi france- si. I suoi interessi si sono rivolti ai campi più disparati, dalla letteratura e narratologia al- la teologia, dalla medicina alla fotografia, dalla moda alla cucina. Riportiamo parte del- l’introduzione agli Elementi di semiologia, in cui Barthes, con un atteggiamento quasi pro- vocatorio, definisce il ruolo della semiologia e ne prospetta un rapporto con la linguistica che è diametralmente opposto a quello proposto da de Saussure. Barthes, inoltre, non solo riconosce l’importanza della semiologia, ma ne sottolinea la sua imprescindibile necessità ed estensione ai campi più disparati della realtà socio-culturale.

1. Semiologia e linguistica

Nel suo Cours del Linguistique Générale, pubblicato per la prima volta nel 1916, Saus- sure postulava l’esistenza di una scienza generale dei segni, o Semiologia, di cui la lingui- stica sarebbe solo una parte. In prospettiva, la semiologia ha quindi per oggetto tutti i siste- mi di segni, quali che possano essere le sostanze e i limiti di questi sistemi: le immagini, i gesti, i suoni melodici, gli oggetti e i complessi di queste sostanze – rintracciabili in riti, pro- tocolli o spettacoli – costituiscono, se non dei “linguaggi”, per lo meno dei sistemi di signi- ficazione. È indubbio che lo sviluppo assunto dalle comunicazioni di massa conferisce oggi una grande attualità a questo immenso campo della significazione, nel momento stesso in cui le acquisizioni di discipline come la linguistica, la teoria dell’informazione, la logica forma- le e l’antropologia strutturale aprono nuove vie alla analisi semantica. La semiologia rispon- de oggi a una sollecitazione concreta, imputabile non già all’immaginazione di pochi ricer- catori, ma alla storia stessa del mondo moderno.

Tuttavia, quantunque l’idea di Saussure abbia avuto ampi sviluppi, la semiologia è an- cora alla ricerca di se stessa, e forse per una ragione molto semplice. Saussure, seguito in ciò dai principali semiologi, pensava che la linguistica non fosse altro che una parte della scien- za generale dei segni. Orbene, non è affatto certo che nella vita sociale del nostro tempo esi- stano, al di fuori del linguaggio umano, sistemi di segni di una certa ampiezza. Finora la se-

miologia si è occupata solo di codici di interesse assai ristretto, come per esempio il codice stradale; non appena si passa a sistemi dotati di una autentica profondità sociologica, si in- contra di nuovo il linguaggio. Oggetti, immagini, comportamenti possono, in effetti, signifi- care, e significano ampiamente, ma mai in modo autonomo: ogni sistema semiologico ha a che fare con il linguaggio. La sostanza visiva, per esempio, conferma le sue significazioni fa- cendosi accompagnare da un messaggio linguistico (come avviene per il cinema, la pubbli- cità, i fumetti, la fotografia giornalistica, ecc.), cosicché almeno una parte del messaggio ico- nico si trova in un rapporto strutturale di ridondanza o di ricambio con il sistema della lin- gua. Dal canto loro, gli insiemi d’oggetti (vestito, cibo) non accedono allo statuto di sistema se non passando attraverso la mediazione della lingua, che ne isola i significanti (sotto for- ma di nomenclature) e ne nomina i significati (sotto forma di usi o di ragioni): nonostante l’invasione delle immagini, la nostra è più che mai una civiltà della scrittura. In genere, poi, sembra sempre più difficile concepire un sistema di immagini o di oggetti i cui significati possano esistere fuori del linguaggio: per percepire ciò che una sostanza significa, si deve necessariamente ricorrere al lavoro di articolazione svolto dalla lingua: non c’è senso che non sia nominato, e il mondo dei significati non è altro che quello del linguaggio.

Così il semiologo, anche se in partenza lavora su sostanze non linguistiche, incontrerà pri- ma o poi sulla propria strada il linguaggio (quello “vero”), non solo a titolo di modello, ma an- che a titolo di componente, di elemento mediatore o di significato. Tuttavia, tale linguaggio non è lo stesso dei linguisti: è un linguaggio secondo, le cui unità non sono più i monemi o i fonemi, ma frammenti più estesi del discorso che rinviano a oggetti o episodi, i quali signifi- cano sotto il linguaggio, ma mai senza di esso. Pertanto, la semiologia è forse destinata a far- si assorbire da una trans-linguistica, la cui materia sarà costituita ora dal mito, dal racconto, dall’articolo giornalistico, ora dagli oggetti della nostra civiltà, nella misura in cui essi sono

parlati (attraverso la stampa, il volantino, l’intervista, la conversazione e forse anche il lin-

guaggio interiore, di ordine fantasmatico). Si deve insomma ammettere sin d’ora la possibili- tà di rovesciare, un giorno, l’affermazione di Saussure: la linguistica non è una parte, sia pur privilegiata, della scienza generale dei segni, ma viceversa la semiologia è una parte della lin- guistica: e precisamente quella parte che ha per oggetto le grandi unità significanti del discor- so. Emergerebbe così l’unità delle ricerche che vengono attualmente condotte nell’antropolo- gia, nella sociologia, nella psicoanalisi e nella stilistica intorno al concetto di significazione.

Benché sia destinata senza dubbio a trasformarsi, la semiologia deve anzitutto, se non costituirsi, per lo meno saggiarsi, esplorare le possibilità – e le impossibilità – che le sono aperte. E questo può farsi soltanto sulla base di una informazione preliminare. Orbene, dob- biamo sin d’ora accettare che questa informazione sia timida e al tempo stesso temeraria: ti- mida perché attualmente il sapere semiologico non può essere altro che una copia del sape- re linguistico; temeraria perché questo sapere deve già applicarsi, almeno compe progetto, a oggetti non linguistici.

(Tratto da R. Barthes, Elementi di semiologia (1964), tr. it. di A. Bonomi, Einaudi, Torino, 1966, pp. 13-15)

Nel documento Semiotica (pagine 177-179)