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MARIA CORT

Nel documento Semiotica (pagine 198-200)

Maria Corti (1915-2002) è stata una delle figure più eminenti della cultura italiana e internazionale del Novecento. Filologa, semiologa, teorica della letteratura e scrittrice, ha dato un contributo fondamentale al rinnovamento degli studi letterari e semiotici. Nel bra- no qui antologizzato, dopo aver inquadrato storicamente e culturalmente il genere della di-

sputatio, la Corti analizza dettagliatamente la Disputatio rosae cum viola di Bonvesin, in una

prospettiva interdisciplinare che chiama in causa filologia, semiotica e stilistica.

1. La Disputatio rosae cum viola di Bonvesin de la Riva

[Nella prima parte del saggio, qui omessa, la Corti inquadra storicamente il genere del- la disputatio, esaminando i vari ambiti culturali – dialettica, retorica, giurisprudenza – in cui questo genere si è affermato e sviluppato].

La Disputatio rosae com viola di Bonvesin de la Riva [1250-1315?], testo in volgare pre- zioso per la pluralità dei livelli di lettura, consente di approfondire da un punto di vista se- miotico i problemi inerenti al genere letterario della disputatio. [...]

Perché tanta predilezione da parte di Bonvesin per il genere disputatio? Le ragioni ap- paiono molteplici: il genere è utilizzabile in chiave didattica, consente sfoggio di maestria re- torica; offre, essendo ben codificato, la possibilità di innovazioni e creazioni entro, per così dire, il sistema; Bonvesin non è un creatore per cui tutto ricomincia ad ogni istante, è un rie- laboratore ingegnoso: si pensi a come egli trasforma il diffuso contrasto dell’anima col cor- po, sviluppandolo in ben sette tornate, o come costruisce sul modello del débat delle stagio- ni quello del tutto nuovo dei mesi. E si aggiunga la componente sociologica: esisteva un pub- blico che gustava questo genere letterario, cioè lo decodificava bene, lo consumava grade- volmente [...]. Si vuol dire: vi è una componente, oltre che culturale, sociale e socio-politica lombarda, comune al destinatore e al destinatario del messaggio, della quale non si può non tener conto in un esame dei livelli dei singoli testi, in quanto essa produce scossoni, fendi-

ture e iati nell’armonia e simmetria dei convenzionali rapporti fra livello tematico referen- ziale e livello figurato. [...]

La Disputatio rosae com viola eredita dal genere letterario del contrasto la tematica di due fiori a conflitto; poiché Bonvesin poteva conoscere almeno tre testi latini in cui la rosa si contrappone, o è contrapposta, a un altro fiore, è utile individuare quali unità tematiche egli assume da questi testi e a quale gioco combinatorio esse sono sottoposte. [...] [La Corti passa quindi in rassegna i modelli precedenti noti a Bonvesin].

Eccoci alla Disputatio rosae com viola, contenuta in 62 quartine di alessandrini mono- rimi; nelle prime 3 e nelle 2 ultime l’autore è all’interno del testo, donde la presenza di «in- dicatori verbali», di quelle che Benveniste chiama forme «autobiografiche» dello stile, pre- supponesti un destinatore e un destinatario: Quilò (= qui) al v. 1; per mi fra Bonvesin al v. 248, il pronome ki indirizzato al destinatario (vv. 243, 247).

La vera e propria Disputatio consta di 57 strofe; avendo essa struttura ternaria, 51 strofe sono dedicate al dialogo contraddittorio, 6 alla sententia del giudice, il giglio. Può già inte- ressare un elemento esterno di partenza, la distribuzione alternativa delle 51 strofe fra rosa e viola (il primo numero di ogni coppia si riferisce alla rosa, il secondo alla viola): 1-3; 2-6; 2- 4; 2-4; 2-18; 1-5; 1/2-1/2. Due dati subito colpiscono: la preferenza che già pertiene alla vio- la nell’impianto strofico, in quanto il numero delle sue strofe è superiore di 2, 3, 9 volte a quel- lo della rosa sino al v. 188, cioè fino alla conclusione dell’argumentatio; indi si ha il rappor- to di 5 a uno per quella che sarà la petitio affectuum e la minutio; finale a parità. Il secondo dato è l’eccezionale rapporto rosa 2-viola 18, che deve avere una ragione specifica.

[Viene quindi dimostrato come la Disputatio sia costruita su un modello giuridico e si dimostra a quale modello si richiama].

A una prima lettura della Disputatio si individuano [...] due livelli tradizionali della let- teratura allegorica di impianto didattico, quello tematico che riproduce realtà e proprietà dei referenti (i due fiori) e il simbolico che si organizza su un sistema etico di vizi e di virtù; il rapporto fra i due livelli è esplicitato e risponde a un contenuto segnico comune alla cultura duecentesca. Si tratta ora di vedere se non siamo per caso di fronte a quello che Lotman chia- ma una «semantica a molti gradini»; in tale struttura più complessa, scrive ancora lo studio- so russo, «ogni particolare e tutto il resto nel suo insieme sono inclusi in diversi sistemi di rapporti», e come risultato assumono contemporaneamente una plurivalenza semantica [...]. In effetti nella Disputatio qualcosa mette il lettore attento in sospetto su una determina- zione unicamente bisemantica dei significati: difatti il rapporto tra il livello tematico primo e il figurato richiede, per sua costituzione e funzionalità, che i segni verbali del testo signi- fichino in entrambi i livelli: se, per esempio, la viola dice della rosa che essa sta olta in le ra-

me | e bolda, la descrizione pertiene al fiore e alla superbia; se la viola nasce aprovo la ter- ra e si lascia mettere dolcemente sot pei, il contenuto segnico funziona per la viola e per

l’umiltà. Orbene, accade in alcune zone caratteristiche della Disputatio che il rapporto si in- crini, cioè non si attui il rapporto di isomorfismo fra i due sistemi di differenze, il botanico

e l’etico, bensì si verifichi una fenditura; queste zone di divaricazione degli attributi sono le spie, gli indici, la chiave offertaci dall’autore per intendere l’inserirsi di un terzo sistema di significazione. Diamo subito l’esempio più caratteristico, in cui la viola afferma della rosa:

Tu [h] e a casa toa officio de rapina, orgoio et avaritia te fa star sor la spina;

ma eo sto mansüeta, comuna et agnellina (v. 57).

Assumomo rilevanza due tratti: il primo è la fenditura, che si è denunciata, nel rapporto tra i livelli; sul piano referenziale, infatti, è priva di qualsiasi senso l’affermazione che la ro- sa ha a casa sua officio de rapina. Il secondo tratto è la presenza della metafora agnellina, unico tropo costruito sul mondo animale; inoltre l’agnellina (in rima con rapina) è mansüe-

ta e comuna. La chiave ci è consegnata da due usuali e famosissime espressioni con cui nel-

la legislazione antimagnatizia dei comuni dell’epoca sono definiti i magnates e il popolo cit- tadino o borghesia commerciante, unione delle società di arti e di armi: i primi sono detti lu-

pi rapaces e i secondi agni mansueti (dove va a finire il mite Fedro!) [...].

Il processo che ha condotto Bonvesin alla creazione del terzo livello di lettura è con ogni probabilità così descrivibile: le qualità, i predicati dei vizi e delle virtù si sono trasformati nei soggetti concreti, storici, portatori di tali predicati. Chi impersonava lussuria, avarizia, su- perbia, le tre fiere dantesche, e soprattutto la superbia, vizio privilegiato nella Disputatio, se non la classe dei magnati, i potentes che nel De magnalibus risultano la causa unica per cui Milano minaccia «de mirabilli miserabille fieri» (VIII, 15)? E chi poteva impersonare le vir- tù contrarie se non la classe avversa ai potentes nella vita cittadina, la classe stessa a cui ap- parteneva lui, Bonvesin, uomo della riva come la viola (v. 33, ma tu nasci in le rive; v. 36,

per rive e per fossai)? [...]

Nuova conferma dell’esistenza di un terzo livello di lettura ci dà la battuta finale della viola:

Responde la vïoleta: «Eo ho la lengua fina

a dir, quando ha mestera, incontra la ruina» (v. 215).

In primo luogo, anche in questo caso l’espressione incontra la ruina è priva di senso a li- vello referenziale; in secondo luogo la viola termina l’argumentatio con lo stesso richiamo al- la rovina con cui si chiude il De magnalibus: guai a coloro che impios magnates ad civitatis

ruinam stimulant (VIII, 15). Dunque la bella, operosa Milano che affiora da tutta la prima par-

te del De magnalibus è costruita dalle virtù della viola; la drammatica Milano dell’ultimo ca- pitolo dell’operetta è frutto dei vizi della rosa: l’antitesi tra le due Milano del De magnalibus, che non ha mancato di sorprendere gli storici, è simboleggiata dal contrasto fra i due fiori.

[...]

Nel documento Semiotica (pagine 198-200)