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Charles William Morris

Nel documento Semiotica (pagine 79-84)

TEORIE DEL SEGNO

3. Charles William Morris

Charles William Morris (1901-1979) definisce la semiotica come “scienza dei segni”14. Il

suo campo di indagine è vasto, in quanto va dal linguaggio umano alla comunicazione animale. Per intendere il concetto morrisiano di segno, bisogna partire dal suo concetto di semiosi. La semiosi – termine già introdotto da Peirce – è per Morris un processo segnico, cioè un pro- cesso in cui qualcosa è un segno per un organismo, e comprende i seguenti fattori principali:

«ciò che agisce come segno, ciò cui il segno si riferisce, e l’effetto su di un interprete, in virtù del quale effetto la cosa in questione è un segno per l’interprete stesso. Queste tre componenti della semiosi possono venir chiamate, rispettivamente, veicolo segnico [sign vehicle], designatum, interpretante [interpretant]; e l’interprete può essere ag- giunto come quarto fattore [...]

La semiosi, di conseguenza, è un rendersi-conto-mediatamente-di-(qualcosa). Mediato-

12M.A. Bonfantini, G. Proni, To guess or not to guess?, in P. Lendinara, M.C. Ruta (eds.), Per una storia del-

la semiotica: teorie e metodi, Palermo, “Quaderni del Circolo Semiologico Siciliano”, n. 15-16, 1981, p. 421.

13Ivi, p. 420.

re è il veicolo segnico; il rendersi-conto-di è l’interpretante; chi nel processo agisce è l’interprete; ciò di cui si rende conto è il designatum»15.

Rossi-Landi16opportunamente precisa che, in Morris, “segno” e “veicolo segnico” non

vanno confusi:

«Mentre segno è approssimativamente “qualcosa che dirige il comportamento nei con- fronti di qualcosa che per il momento non è uno stimolo”, veicolo segnico è un partico- lare evento fisico (suono, grafia, movimento, ecc.) “che funziona come segno”. La di- stinzione fra segno e veicolo segnico è importante: l’osservabilità del secondo non com- porta quella del primo, e ciò sembrerebbe una buona ragione per non cercare osservati- vamente il segno. Invece la distinzione, poi, non ricorre; ed è sempre al segno che Mor- ris si riferisce quando parla di comportamento segnico».

Dai suddetti componenti della semiosi, Morris derivò tre relazioni: (1) la sintattica, che studia le relazioni fra i segni (i veicoli segnici);

(2) la semantica, che studia le relazioni fra i segni (i veicoli segnici) e i loro designata; (3) la pragmatica, che studia la relazione fra i segni (i veicoli segnici) e i loro interpreti. Così precisa Morris:

«Se consideriamo la semiosi come relazione triadica di veicolo segnico, designatum e interprete, possiamo isolarvi a scopo di studio numerose relazioni diadiche. Si possono studiare le relazioni dei segni con gli oggetti cui sono applicabili. Chiameremo questa relazione dimensione semantica della semiosi [...]; lo studio di questa dimensione sarà chiamato semantica. Oppure il soggetto di studio può essere la relazione dei segni con gli interpreti. Chiameremo questa relazione dimensione pragmatica della semiosi [...]; lo studio di questa dimensione avrà il nome di pragmatica.

[...] Siccome è chiaro che ogni segno è per lo più in rapporto con altri, siccome l’anali- si mostra che molti segni apparentemente isolati in realtà non lo sono, e siccome tutti i segni, potenzialmente se non di fatto, sono in rapporto con altri, è bene coordinare una terza dimensione della semiosi alle due già menzionate. Essa sarà chiamata dimensione

sintattica della semiosi [...]; e il suo studio avrà il nome di sintattica»17.

IV. Teorie del segno

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15Ch. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni (1938), tr. it. di F. Rossi-Landi, Piero Manni, Lecce,

1999, p. 83; cfr. Id., Segni, linguaggio e comportamento (1946), tr. it. di S. Ceccato, Longanesi, Milano, 1949, 19773, p. 26.

16F. Rossi-Landi, Charles Morris e la semiotica novecentesca, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 60. 17Morris, Lineamenti di una teoria dei segni, cit., pp. 88-89; cfr. Id., Segni, linguaggio e comportamen-

Inoltre, i segni vengono a costituirsi nelle situazioni di uso segnico che comprendono i componenti della semiosi. Questi processi sono interpretati da Morris in termini di media-

zione semiotica e in termini di comportamentismo.

La “mediazione semiotica” si basa sul veicolo segnico (S), sul designatum (D) e sull’ in-

terpretante (I): «S è per I un segno di D nella misura in cui I si rende conto di [takes account of] D in virtù della presenza di S»18.

I presupposti comportamentistici (“behavioristici”) della concezione scientifica di Mor- ris lo portano a concepire il segno anzitutto come qualcosa che dirige il comportamento nei confronti di qualcosa che al momento non è uno stimolo:

«Se qualcosa, A, guida il comportamento verso un fine in un modo simile (ma non ne- cessariamente identico) a quello in cui qualche altra cosa, B, guiderebbe il comporta- mento verso quel fine nel caso che B fosse osservata, allora A è un segno»19.

Tuttavia, Morris rifiuta di identificare il segno in generale con uno stimolo sostitutivo. Nella semiosi, lo stimolo è piuttosto uno stimolo preparatorio, che «influenza le reazioni ad altri stimoli in altre situazioni, e la risposta non è un evento singolo, ma una classe empiri- camente osservabile di eventi simili chiamati famiglia di comportamenti [behavior-fami-

ly]»20. Il segno può dunque essere così definito:

«Se qualcosa, A, è uno stimolo preparatorio che, in assenza degli oggetti stimolatori che inizino le sequenze di risposte in una certa famiglia di comportamenti, concorrendo cer- te condizioni, dà origine in qualche organismo a una disposizione a rispondere con se- quenze di risposte di questa famiglia di comportamenti, allora A è un segno»21.

Anche Morris elaborò una complessa tipologia dei segni22. Precisato che veicolo segnico

designa un particolare evento fisico che è un segno, e che una serie di veicoli segnici simili è chiamata famiglia di segni, allora è possibile procedere alla seguente (parziale) classificazione: 1. segno unisituazionale: veicolo segnico non appartenente a una famiglia di segni, per- ché ha significazione in un’unica situazione; altrimenti si ha un segno plurisituazionale;

2. segno interpersonale: segno avente la stessa significazione per un certo numero di in- terpreti; altrimenti si ha un segno personale;

18Morris, Lineamenti di una teoria dei segni, cit., p. 83.

19Morris, Segni, linguaggio e comportamento, cit., p. 18 (nel testo tutta la citazione è in corsivo). Su que-

sta definizione cfr. Rossi-Landi, Charles Morris e la semiotica novecentesca, cit., p. 58.

20W. Nöth, Handbook of Semiotics, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis, 1990, p. 53. 21Morris, Segni, linguaggio e comportamento, cit., p. 19 (nel testo tutta la citazione è in corsivo). 22Questa tipologia si trova ivi, pp. 29 segg.

3. segno vago: segno che non consente di determinare se qualcosa è o meno un denota- tum; altrimenti si ha un segno preciso;

4. segno ambiguo: segno che ha più di un significatum; altrimenti si ha un segno non am-

biguo;

5. segno singolare: segno il cui significatum ammette un unico denotatum; altrimenti si ha un segno generale;

6. segni sinonimi: segni con lo stesso significatum;

7. segno attendibile: un segno è attendibile se i componenti della famiglia cui appartie- ne denotano; altrimenti è non attendibile.

Non c’è dubbio, però, che la distinzione più importante – che ricorda Peirce – sia quel- la fra indici, icone e simboli:

«Semplice è la regola semantica di un segno indice, come l’indicare col dito: il segno designa in ogni istante ciò che sta indicando. In genere, un segno indice designa ciò cui dirige l’attenzione. Un segno indice non caratterizza ciò che denota [...] e non occorre che assomigli a ciò che denota. Un segno caratterizzante [characterizing sign] caratte- rizza ciò che può denotare. Quando ciò avviene per il fatto che il segno caratterizzante mostra in se stesso le proprietà che un oggetto deve avere per esserne denotato, chiame- remo il segno icon[a] [...] altrimenti lo chiameremo simbolo. Una fotografia, una carta stellare, un modello, un diagramma chimico sono icon[e], mentre la parola “fotografia”, i nomi delle stelle e degli elementi chimici sono simboli»23.

Morris affronta inoltre la distinzione fra segnali e simboli, anch’essa fondamentale nel- la semiotica. Scrive Morris:

«[...] quando un organismo si provvede di un segno che ne sostituisce un altro nel guida- re il suo comportamento, significando ciò che significa il segno che esso sostituisce, que- sto segno è un simbolo, e il processo segnico è un processo di simboli; in caso diverso è un segnale e il processo segnico è un processo di segnali. Più brevemente, un simbolo è un segno, prodotto dal suo interprete, che agisce come sostituto di qualche altro segno del quale esso è sinonimo: tutti i segni non simboli sono segnali»24.

A proposito di questa distinzione, Rossi-Landi nota:

«Questa terminologia può apparire sia troppo complessa sia troppo semplice: difficile

IV. Teorie del segno

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23Ivi, p. 120. Va comunque precisato che il problema dell’iconismo è uno dei più complessi della semiotica. 24Morris, Segni, linguaggio e comportamento, cit., p. 33.

giudicarne in quanto terminologia. La letteratura sull’argomento mostra però le esi- genze cui Morris ha cercato di rispondere, e fa anche capire che le sue risposte sono in genere caute e sensate. E non è trastullandosi in sottili questioni di terminologia (come alcuni critici han fatto) che si può recare un contributo alla scienza dei segni oppure ri- fiutarla. [...] Quella introdotta, comunque, presenta il vantaggio di non essere necessa- riamente limitata ai segni linguistici; anzi permette di affrontare con metodo unitario ogni specie di segni (uditivi, visivi, tattili, propriocettivi) e le questioni connesse (il lin- guaggio delle arti, l’influsso dei segni sul comportamento dell’individuo che li produ- ce, ecc.)»25.

Sulla base della sua teoria del segno e delle maniere di significare, Morris ha sviluppa- to anche una tipologia del discorso, precorrendo così quella che poi sarà la semiotica del te- sto. Morris individua quattro fondamentali tipi di segno: designatori, apprezzatori, prescrit-

tori e formatori. Come specifica Rossi-Landi26, i designatori (che rispondono alla domanda

“Che cosa?”) dispongono l’interprete «a sequenze di risposte verso un oggetto che ha certe caratteristiche»; gli apprezzatori (che rispondono alla domanda “Perché?”) dispongono l’in- terprete «a rispondere di preferenza a certi oggetti»; i prescrittori (che rispondono alla do- manda “Come?”) dispongono l’interprete «a compiere certe sequenze di risposte piuttosto che altre»; i formatori, infine, guidano il comportamento dell’interprete «nei riguardi di al- tri segni che hanno già per conto loro una significazione». Da questi tipi di segni scaturisco- no quattro maniere di significare: designativa [designative], apprezzativa [appraisive], pre-

scrittiva [prescriptive], e formativa [formative].

Parimenti, Morris individua quattro principali usi del segno27: informativo [informative], valutativo [valutative], stimolante [incitive] e sistemativo [systemic]. Si ha uso informativo

quando i segni sono impiegati per dare informazioni; si ha uso valutativo quando i segni so- no impiegati «per dare a sé o ad altri uno status preferenziale a proposito di qualcosa»; si ha uso stimolante quando i segni sono impiegati per stimolare delle risposte; si ha uso sistema-

tivo quando i segni sono impiegati per influenzare il comportamento già provocato da segni.

In questo modo, se incrociamo le quattro maniere principali con i quattro usi principali, otteniamo sedici tipi principali di discorso: scientifico, fantastico, legale, cosmologico, miti- co, poetico, morale, critico, tecnologico, politico, religioso, propagandistico, logico-mate- matico, retorico, grammaticale e metafisico. Ad esempio, il discorso mitico è di maniera ap- prezzativa e di uso informativo, mentre il discorso poetico è di maniera apprezzativa e di uso valutativo; e così, se il discorso retorico è di maniera formativa e di uso valutativo, quello grammaticale è di maniera formativa e di uso stimolante.

25Rossi-Landi, Charles Morris e la semiotica novecentesca, cit., p. 61. 26Ivi, p. 82.

Nel documento Semiotica (pagine 79-84)