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Azioni civiche collettive e amministrazione condivisa Un quadro interpretativo verso la ricerca empirica.

3. Cittadinanza attiva come capacità e pratica collettiva ed organizzata

L'espressione «cittadinanza attiva» nel corso dell'ultimo decennio ha assunto una rilevanza sempre maggiore nel discorso pubblico in Italia, in Europa e oltre, diventando rapidamente un codice comunicativo di scienziati sociali, osservatori, governi e degli stessi cittadini attivi […] questo inatteso successo sul piano del linguaggio, tuttavia, nasconde una insidia, rappresentata da un uso generico del termine, che indica spesso un'aspirazione o un auspicio che non si riferiscono a niente di determinato ma a una vaga idea di «buon cittadino» che può restare vaga proprio perché l'espressione è suf ficientemente ampia ma insieme rassicurante per la sua connotazione positiva: c'è di meglio al mondo di un cittadino attivo?» (Moro, 2013, p. 97)

Con queste parole Moro descrive lo stato dell'arte rispetto al tema della cittadinanza attiva dal punto di vista della comprensione e de finizione del fenomeno, verso il quale, evidenzia, occorre quindi uno «sforzo di determinazione». Esistono numerose espressioni che variamente si rifanno al concetto di cittadinanza attiva, e la letteratura circa l'impegno civico dei cittadini è vasta. Come lo stesso autore evidenzia (ibidem, p. 24) dalla letteratura scienti fica, per descrivere i soggetti della cittadinanza attiva, possono essere individuati almeno 17 gruppi di nomi e de finizioni che si riferiscono alle organizzazioni civiche, alcune delle quali sono scon finanti o eccessive, come ad esempio «organizzazioni comunitarie» o «associazioni», altre riduttive, come «gruppi di interesse» o « imprese sociali», altre ancora monodimensionali o settoriali, come nel caso di «organizzazioni di consumatori», «cooperative sociali», oppure negative e residuali, per esempio «non pro fit», «non governativo», ma anche a volte vaghe ed ambigue , quali «gruppi di volontariato», «associazioni», ed in fine valutative ed ideologiche, come nel caso di « organizzazioni della società civile».

Moro (1998, 2005, 2010, 2013) evidenzia che la nuova cittadinanza ha a che fare con «un nuovo modo di percepire le proprie prerogative e il proprio ruolo nella gestione dei problemi pubblici da parte degli individui» (2013, p 100). È esattamente ciò che abbiamo descritto nei paragra fi precedenti, dando conto di quelle forme di azione che divengono quotidiane, basate su scelte consapevoli, quindi non de finibili come «atti isolati di eroismo o come adesione a schemi ideologi», ma come «esercizio di poteri e responsabilità del cittadino nel fronteggiare i pubblici problemi che lo investono direttamente». In questi termini si può, secondo Moro, parlare di nuova cittadinanza, quale «sostrato sociale e antropologico del fenomeno della cittadinanza attiva, il quale non può essere sovrapposto a quella perché è molto più ristretto ed è un fenomeno essenzialmente di tipo organizzativo» , ossia quando

questa attitudine dei cittadini ad esercitare poteri e responsabilità quotidiani nell'area pubblica si struttura, diventa permanente e implica il mettersi insieme per proseguire un obiettivo condiviso, si ha

la più importante concretizzazione della nuova cittadinanza, ossia la cittadinanza attiva» (ibid.).

Moro de finisce la cittadinanza attiva, che considera sinonimo di attivismo civico, come

una pratica di cittadinanza che consiste in una molteplicità di forme organizzative e di azioni collettive volte a implementare diritti, curare beni comuni e/o sostenere soggetti in condizioni di debolezza attraverso l'esercizio di poteri e responsabilità nel policy making ( ibidem, p.28)

ed ancora, come

pluralità di forme con cui i cittadini si uniscono, mobilitano risorse e agiscono nelle politiche pubbliche esercitando poteri e responsabilità al fine di tutelare diritti, curare beni comuni e sostenere soggetti in dif ficoltà. (ibidem, p.101)

Da queste de finizioni possiamo evidenziare alcune signi ficative speci ficità della cittadinanza attiva. In primo luogo non riguarda le organizzazioni della società civile nel loro insieme generico, che si con figurano, evidenzia l'autore, «nel quadro del principio della libertà di associazione», ma riguarda invece quelle che nello speci fico svolgono un ruolo di attori nel policy making, ossia appunto quelle di cittadinanza attiva che «esercitano poteri di iniziativa di rilevanza pubblica» (ibid.) Lo schema seguente riassume visivamente quanto appena sottolineato:

quanto attivismo civico organizzato nelle politiche pubbliche, in base al tipo di azioni svolte e ai ruoli assunti, non in base alle motivazioni o allo status giuridico, o all'ambito di azione. Queste de finizioni, a nostro avviso, enucleano tre importanti elementi: il signi ficato politico della cittadinanza attiva, la cittadinanza attiva come pratica e come capacità.

Rispetto al primo punto Moro nello speci fico evidenzia che la «cittadinanza attiva esprime il signi ficato politico-costituzionale dell'attivismo civico superando sia l'idea di una esistenza residuale rispetto allo Stato o all'impresa, sia il tradizionale principio della libertà di associazione a fini privati». In questa prospettiva

le organizzazioni dell'attivismo civico, insomma, sono in quanto tali un attore politico: la loro presenza ha un carattere permanente e ha a che fare con il governo della società e l'interesse generale, non solo con la soluzione di singoli problemi o con la mera pressione e difesa di pur legittimi interessi privati (ibidem, p. 102).

Questo aspetto può esser ancor meglio compreso se si considerano altri due elementi che vengono citati dall'autore: l'esercizio di potere e di responsabilità.

Moro (ibidem) individua sei tipi di «poteri civici» (pp.110-11): potere di informare, inteso come potere di rendere visibili aspetti della realtà altrimenti nascosti e fondamentali per incidere sul corso delle politiche pubbliche; potere simbolico come «capacità di cambiare le coscienze, sovvertendo o invertendo l'ordine dei valori ovvero facendo emergere e affermando valori nuovi»; potere istituzionale che coincide con il potere di incidere su un cambiamento dell'agire delle istituzioni a tutela di un interesse generale; potere materiale, quindi come capacità di incidere nell'immediato per risolvere situazioni che richiedono di essere cambiate (da servizi per soggetti deboli, all'aiuto umanitario, fino ad interventi manutentivi in città); potere di legittimare che si esplica nel riconoscere una titolarità all'azione al proprio interlocutore, anche di tipo istituzionale; potere di partnership che si sostanzia nelle attività di concertazione, negoziazione con interlocutori sulla soluzione di problemi. È nell'esercizio di questi poteri che si palesa l'assunzione di responsabilità che i cittadini che si attivano assumono su di sé, ma riteniamo ancor di più può essere compresa se collegata alla tipologie di azione che Moro individua come caratterizzanti la cittadinanza attiva: la tutela di diritti, la cura di beni comuni, l'empowerment.

Per quanto concerne la cittadinanza attiva come pratica va evidenziato che è proprio nell'aggettivo attiva che risiede la peculiarita della cittadinanza come pratica:

L'azione, la concretezza e il rapporto diretto con la realtà sono ciò che distingue gli individui impegnati in organizzazioni civiche. La cittadinanza, qui, connota una pratica, non uno status; e un modo di partecipare alla vita pubblica che è estraneo sia allo schema domanda dei cittadini-risposta della politica, sia allo schema autoritario che riduce tutta la vita politica al decisionismo

Per quanto concerne il tema della capacità l'autore evidenzia alcuni elementi che sono frequenti nel dibattito sul tema dell'impegno civico, così come della partecipazione in generale. In particolare: le condizioni materiali; il capitale sociale; la cultura civica, l'ambiente.

Sulle condizione che attivano una mobilitazione dei cittadini un lavoro spesso preso a riferimento in merito, richiamato dallo stesso Moro è quello di Verba et al. (1995), in particolare rispetto al loro Civic Volunterism Model che si basa su una semplice domanda: perché alcuni cittadini partecipano e altri no?

Il modello individua tre principali fattori. Il primo è relativo alle risorse (CAN DO), ossia tempo, disponibilità di denaro, e una dotazione di abilità civiche (civic skills) intese come capacità organizzative e comunicative. Il secondo riguarda le motivazioni (LIKE TO), il terzo riguarda la mobilitazione in senso stretto (ASK TO) che si collega a questioni di tipo organizzativo e di strutture dell'organizzazione.

Moro a questo proposito evidenzia che se queste condizioni materiali in fluenzano la possibilità di un attivismo civico diffuso, è anche vero che «lo sviluppo della cittadinanza attiva è un fattore esso stesso in grado di aumentare tale possibilità» (2013 p. 130). In ciò risiede il nesso tra le condizioni materiali del diventare cittadini attivi e il secondo fattore da lui citato, il capitale sociale.

Rispetto all'ampio dibattito sul tema del capitale sociale, che qui certamente non possiamo riprendere45, vogliamo recuperare alcuni elementi di fondo. Il primo concerne quella linea di demarcazione tra approcci che lo vedono come una risorsa strumentale individuale, e quelli invece che lo considerano come una risorsa collettiva, di comunita. La ricerca guarda a questa seconda prospettiva. A questo proposito, riprendendo la Jacobs (1969) va evidenziato che i legami che si possono creare dentro a gruppi che condividono interessi comuni e le interazione che attorno ad essi avvengono possono contribuire a creare «un sentimento di identita collettiva delle persone, una rete di rispetto pubblico e fiducia e una risorsa nel tempo per le proprie necessita e per quelle del quartiere» (Jacobs, 1969, p. 58). A questo proposito Piselli (2010) evidenza come sia possibile individuare tre forme di capitale sociale nel testo della Jacobs (Castriganò, 2012,): le reti di vicinato (in termini di rapporti informali), l’associazioni di quartiere e l’autogoverno locale.

Anche Putnam (2004) pone l'accento sia sui «reticoli sociali» e le «norme di reciprocità» che regolano la convivenza, sia sulle reti di associazionismo. Centrale per Putnam sono poi le virtù civiche, dove però queste ultime non vanno sovrapposte al concetto di capitale sociale come lo stesso Putnam afferma: « Una società di individui molto virtuosi ma isolati non

45 Diverse sono le possibili prospettive di analisi – Jacobs (1969); Bourdieu (1985); Coleman (1988); Portes (1998); Fukuyama (1995); Putnam (2000 trad. it. 2004); Cartocci (2002); Donati (2007); Piselli (2010) che qui non possiamo approfondire, rimandando in tal senso a Castrignanò (2012)

necessariamente è una società ricca di capitale sociale» (p. 14). A tal proposito Prandini evidenzia che però una societa costituita da reti dense e ricca di capitale sociale, puo non essere civica. (Prandini, 1995, p. 161)46.

La civicness, ci riporta sul terzo fattore, richiamato da Moro, correlato all'attivismo civico, quello della cultura civica. Come nota Moro (2013, p. 131) la cultura civica riguarda non solo il civismo organizzato, ma

è strumento per favorire il processo di socializzazione alla cittadinanza in generale. Tuttavia, è ragionevole assumere che quanto più sarà ricca la cultura civica, tanto più sarà ricca la cittadinanza attiva, e quanto più sarà esteso ed ef ficace l'attivismo dei cittadini nelle politiche pubbliche, tanto più gli standard della cultura civica saranno di alto livello .

A questo proposito possiamo richiamare le parole di Dahlgren:

Le persone per andare oltre la sfera privata e partecipare agli spazi pubblici debbono anche disporre di un'insieme di risorse culturali, che faciliti il loro impegno come cittadini. Esaminare quello che io de finisco «culture civiche» puo aiutarci nell'individuare i fattori che potrebbero incoraggiare o ostacolare un coinvolgimento di tipo democratico in una situazione speci fica. La prospettiva delle culture civiche si focalizza sui processi attraverso i quali gli individui diventano cittadini, su come essi si considerano membri e partecipanti potenziali nello sviluppo sociale e su come venga mantenuto tale senso accresciuto del se. In altre parole le culture civiche includono quelle risorse culturali cui i cittadini possono attingere per poter partecipare (in Bartoletti, Faccioli 2013, p.30).

La dimensione civica diviene allora un «enbaling enviroment», il quarto fattore che Moro individua: L'ambiente favorevole della cittadinanza attiva nel quale si manifesta anche al struttura delle opportunità di partecipazione» (ibidem, p. 132)

Riprendendo il modello di Verba et al (1995), prima citato, Lowendes et al (2006) rielaborano ulteriore modello- de finito con l'acronimo «CLEAR»- il quale aggiunge alle precedenti dimensioni- CAN DO, LIKE TO, ASK TO,- anche quella relativa proprio ai fattori abilitanti- ENABLED TO, ossia i networks sociali e il capitale sociale, e in ultimo il fattore «RESPONDED», con il quale fanno riferimento la percezione dei cittadini della probabilità e possibilità che l'azione collettiva possa avere un impatto. 47

Alla luce di quanto abbiamo fin qui sottolineato ci sembra di poter evidenziare alcuni elementi, che per ora accenniamo per poi riprendere alla fine di questo capitolo. In primo luogo, anche se in questo approccio di lettura del fenomeno l'accento è posto più

46 Va qui anche ricordata la distinzione tra capitale sociale bridging, che apre e quindi inclusivo, e bonding, che chiude, e cioè rafforza legami forti.

47 Un interessante applicazione di questo modello è in Bakker et al.( 2012), i quali individuano a loro volta i possibili ruoli giocati da facilitatori in questo modello.

marcatamente sul peculiare aspetto organizzativo della cittadinanza attiva, che la rende quindi un'azione continuativa nel quotidiano, possiamo però anche rilevare come, nuovamente, le dimensioni centrali che il fenomeno incorpora riguardano quel rapporto privato-pubblico e individuale-collettivo che abbiamo trattato nel precedente paragrafo e come il richiamo al tema dell'interesse generale, della rilevanza pubblica, così come dei beni comuni, chiaramente suggeriscono.

Inoltre, ciò che tale lettura sembra de finire è una forma di partecipazione che, accentuando il lato dell'azione e della pratica, si collega essenzialmente alla sfera del fare, ma che al contempo riguarda anche la partecipazione all'elaborazione delle politiche ed i cui orizzonti di azione, riguardando soggetti in dif ficoltà, la tutela dei diritti e i beni comuni, si gioca su un peculiare binomio di solidarietà ed empowerment. Possiamo scorgere questo insieme di elementi nelle stesse parole di Moro (2013), il quale, evidenzia come la cittadinanza attiva sia un superamento della partecipazione intesa come libertà di associazione per il perseguimento dei propri interessi, che è uno dei pilastri del pensiero democratico moderno e che la Costituzione sancisce:

L'emergere della nuova cittadinanza mette in discussione proprio questo assunto, ovviamente senza porre in questione la libertà di associazione. Quello che accade, infatti, è che le persone si organizzano non per perseguire legittimi interessi privati, ma per occuparsi della cosa pubblica restando cittadini e non utilizzando il canale dei partiti. I cittadini attivi, cioè, esercitano un ruolo pubblico costituendosi in soggetto non statale né istituzionale (p.121)