La partecipazione: teorie, idee e pratiche nel tempo e nello spazio.
2. La concezione partecipativa della democrazia in teoria e in pratica.
2.1 Un nucleo teorico
25 Non vi è qui la possibilità di approfondire altri aspetti dal punto di vista del contesto sociale, culturale, e politico in cui tale esperienze partecipative prendono le mosse. Ci preme tuttavia fare un rimando al fatto che il contesto latino americano è quello che ha visto lo sviluppo di altre pratiche che hanno messo al centro il tema dell'oppressione, della partecipazione e del cambiamento sociale e politico: tra tutte il Teatro degli oppressi, sviluppatosi in Brasile, ad opera di Augusto Boal, e cha ha un riferimento teorico e pratico essenziale nel lavoro di Pauolo Freire sulla pedagogia degli oppressi e della coscientizzazione.
La concezione partecipativa, assumendo e riconoscendo l'esistenza di conflitti sociali, sottolinea la necessità di coinvolgere i cittadini oltre il momento elettorale: « Se le teorie rappresentative hanno sottolineato l'accountability elettorale, le teorie partecipative hanno affermato l'importanza di creare occasioni di partecipazione» (Della Porta 2011, p.14).
Diversi contributi (Della Porta 2011, Bobbio 2006, Allegretti 2010) evidenziano come la concezione della democrazia partecipativa sottolinei l'importanza di una dimensione sostanziale della democrazia stessa, che si traduce in un'attenzione alle asimmetrie di potere ai fini di una reale eguaglianza e libertà: una «controdemocrazia» che non vole essere «l'opposto della democrazia, ma piuttosto una forma di democrazia che rafforza la tradizionale democrazia elettorale, una democrazia di poteri disseminati nella società» (Rosavallon 2006, p. 4) e che quindi pone al centro il raggiungimento di un cambiamento sociale in vista di una maggiore giustizia sociale.
È tra alla fine degli anni '60 e '70 che si situano alcune elaborazioni significative, spesso richiamate in letteratura e che ci permettono di individuare un nucleo teorico, che poi ritroviamo in altri lavori più recenti degli anni '90 e 2000.
Punto di partenza centrale della teoria partecipativa della democrazia (della Porta, 2011 p. 53) è di fatto «l'importanza del coinvolgimento dei cittadini al di là del momento elettorale» (Arnstein 1969, Pateman 1970, Berber 2004), ossia «la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle istituzioni chiave della società, incluse la sfera del lavoro e della comunità locale».
Partecipazione-decisione e partecipazione- potere, sono in sintesi, i due binomi e dimensioni in cui risiede il senso profondo della concezione partecipativa della democrazia. Per Pateman (1970, p. 70) la «partecipazione si riferisce al coinvolgimento nel produrre decisioni, e l'eguaglianza politica all'eguaglianza di potere nel determinare l'esito delle decisioni» ( Della Porta, op cit. p. 53), così come per Arnstein (1969, p. 216) «la partecipazione dei cittadini è una categoria del potere dei cittadini». L'autrice, ha elaborato una de finizione della partecipazione per scale diverse di potere, ampiamente citata in numerosi lavori sul tema. Si va dalle prime due scale, rispettivamente definite di «Manipolazione» e «Terapia», che coincidono con una «non-partecipazione», che vede i cittadini in ruolo del tutto passivo, e che è finalizzata a fare accettare ed ottenere il consenso su scelte e progetti già in realtà decisi dall'amministrazione. Nella manipolazione si hanno azioni di informazione parziali ed unidirezionali, volte unicamente a pubblicizzare i programmi dell’amministrazione e a persuadere gli abitanti della bonta e dell’utilita dei progetti e degli interventi programmati. Nella terapia, rientrano interventi di accompagnamento sociale rivolti in particolare ad individui e gruppi sociali svantaggiati, percorsi formativi e professionalizzanti.
Un secondo livello de finito come consultazione/concertazione in cui rientrano processi finalizzati al miglioramento dei progetti e delle scelte da effettuare, ma che non conferiscono
reali poteri alla cittadinanza permanendo la fase decisionale di esclusiva competenza degli amministratori. Rientrano qui le tre scale rispettivamente relative a: «informazione» sulle motivazioni delle scelte, sui contenuti progettuali e sulle possibili opzioni alternative, «consultazione», quale indagine sulle esigenze degli abitanti (questionari, interviste, ...) ed ascolto attivo delle opinioni e delle proposte espresse (pubbliche audizioni, assemblee, incontri di lavoro, seminari a tema, …) ed in fine ciò che l'autrice chiama «placation» che prevede l’inserimento, in numero limitato, di alcuni rappresentanti della comunita locale in organismi consultivi istituiti dalla pubblica amministrazione, la negoziazione in presenza di situazioni con flittuali ed interessi divergenti. L'ultimo livello è quello invece della «Partecipazione attiva e dell'empowerment», visti non solo come un mezzo per raggiungere uno scopo, ma come parte dei fini e che prevedono il diretto coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali. Rientrano qui le ultime tre scale: le partnership attraverso un coinvolgimento attivo, la formazione di comitati tecnici paritetici, la collaborazione tra enti pubblici, associazioni e organizzazioni dei cittadini per l’elaborazione e gestione di speci fici programmi d’intervento; la delega vera propria di potere, che prevede quindi il conferimento di poteri reali ai rappresentanti delle comunità locali; il controllo dei cittadini, tramite forme di sostegno e finanziamento a progetti auto-prodotti e a forme di di autogestione vera e propria da parte delle comunità locali.
Sono numerosi i contributi che nel tempo hanno cercato di tratteggiare le dimensioni che sono implicate nella partecipazione, affinché si possa davvero parlare di partecipazione.
2.2. Pratiche e idee: origini e sviluppi nel tempo e nello spazio
Allegretti (2010) evidenzia che la spinta alla diffusione, in epoca recente, di questa concezione di democrazia è avvenuta grazie «alla felice esperienza del bilancio partecipativo di Porte Alegre, della letteratura formatasi su di essa e della fama datale agli inizi di questo decennio dai Forum Sociali Mondiali, essi stessi originatisi nella città brasiliane».
Della Porta (2005, pp. 1-2) ricostruisce e descrive in questi termini l'esperienza del bilancio partecipativo:
Nel 1988, il governo cittadino di Porto Alegre, metropoli brasiliana di 1.360.000 abitanti, avvia un progetto di decisioni pubbliche partecipate sul bilancio comunale con l’obiettivo di accrescere la partecipazione attraverso la creazione di una sfera pubblica per l’espressione delle domande dei cittadini (Gret e Sintomer 2002: 26). Il bilancio partecipativo e un lungo percorso annuale, dove assemblee di cittadini a livello di quartiere discutono e decidono sull’uso delle risorse pubbliche (Souza 2000; Baiocchi 2002). Ogni anno, tra marzo e giugno, assemblee decentrate dibattono le priorita di spesa, eleggendo i loro delegati al Consiglio del Bilancio Partecipativo e in assemblee
tematiche, anch’esse rappresentate nel consiglio. Tra luglio e agosto, esperti e delegati trasformano quelle proprieta in progetti concreti, che tra settembre e dicembre organizzati in un Proposta Generale di Bilancio, e un Piano d’investimenti, discussi e approvati in consiglio comunale (Allegretti 2003: 116-17). Nel corso di una lunga sperimentazione, il bilancio partecipativo ha acquisito una struttura articolata e complessa, orientata a raggiungere due obiettivi principali: eguaglianza sociale e «empowerment» dei cittadini. Un criterio fondamentale nella distribuzione della spesa pubblica e, infatti, il livello di privazione di servizi e benessere nei diversi quartieri. [...]Sebbene ben lontano dal coinvolgere l’intera popolazione, il bilancio partecipativo ha visto comunque una crescita esponenziale nel coinvolgimento dei cittadini: da meno di mille persone nel 1990 a piu di trentamila nel 2002 (Allegretti 1994: 204). Se livelli d’istruzione e partecipazioni associative restano rilevanti per essere eletti delegati, i gruppi piu poveri sono sovra-rappresentati nelle assemblee di base, facendo ascoltare la loro voce nelle decisioni sulle priorita d’investimento (Souza 2000; Baiocchi 2001; Allegretti 2003: 206). Regole quali rigidi limiti di tempo per gli interventi e ruoli di mediatori-facilitatori del dibattito si sono sviluppate per ridurre l’ineguale «diritto di parola» determinato dalle diverse capacita espressive (Baiocchi 2001). Per quanto riguarda gli effetti dell’esperimento, Porto Alegre sembra avere guadagnato in termini di giustizia sociale, collocandosi al sesto posto (su 5.507 citta brasiliane) in una scala d’inclusione sociale e al settimo in termini di qualita della vita (Allegretti 2003: 74-75). Le Nazioni Unite hanno riconosciuto il bilancio partecipativo come una delle quaranta «migliori pratiche» a livello mondiale (Allegretti 2003: 173).
L'autrice evidenzia inoltre il nesso tra questa esperienza e i movimenti «per una globalizzazione dal basso»:
Il bilancio partecipativo e stato anche adottato come modello di processo decisionale democratico dal movimento per una diversa globalizzazione—signi ficativamente autode finitosi «movimento per la globalizzazione dal basso». Non a caso, Porto Alegre ha giocato un ruolo fondamentale del movimento per la giustizia globale ospitandone le prime assemblee transnazionali. I Forum Sociali Mondiali che vi si sono svolti hanno infatti rappresentato un esperimento di «altra democrazia»- questa volta interna ad un movimento che si presenta comunque come particolarmente eterogeneo e plurale (Schoenleitner 2003; Andretta, della Porta, Mosca e Reiter 2002 e 2003). Anche qui la partecipazione e cresciuta, da 16,400 persone al primo incontro nel gennaio 2001 a 52.000 nel 2002 a circa 100.000 nel 2003. In migliaia d’incontri e seminari, sono state elaborate proposte (piu o meno realistiche e originali) per «un altro mondo possibile.»
La disseminazione delle pratiche riconducibili a quelle esperienze, in Italia e nel resto dell'Europa, va vista nella prospettiva storica e temporale in connessione con le idee di partecipazione degli anni Sessanta e Settanta (ibidem, p.8): «l'ondata partecipazionista sia nel campo dei pensieri e dei propositi che in quello delle pratiche, è una delle caratteristiche di quegli anni, sia negli Stati Uniti dove essa si affermò, può dirsi, per prima, sia in Europa».
eredità anche sotterranea del movimento del '68 e, come questa d'altronde, può richiamarsi a una «memoria» assai più lunga, rifacentisi alle dottrine o esperienze che avevano segnato il secolo XIX e l'inizio del XX ispirando le dottrine associative e consiliari».
Della Porta (2011, p.59) per comprendere le forme della democrazia partecipativa per come si è diffusa dagli anni novanta in avanti, fa risalire lo sviluppo storico della concezione partecipativa della democrazia andando ancora più indietro nel tempo, evidenziando come essa si sia storicamente sviluppata assieme alla mobilitazione di movimenti sociali, quello operaio in primis, portando a trasformazioni rilevanti anche nella stessa configurazione dello stato democratico.
Nelle fasi iniziali dello stato democratico un «grande attivismo nella sfera pubblica» si poneva come autonomo rispetto ai partiti politici: «Nella società, movimenti di opinione si organizzavano su vari temi, e facevano poi pressione, spesso anche attraverso manifestazioni pubbliche, sul parlamento, concepito come luogo dove i rappresentanti si formavano le loro opinioni attraverso una discussione aperta. È in questo periodo- quello che nella storia dell'Inghilterra e della Francia va dalla fine del XVIII secolo e l'inizio del successivo- che si affermò la sfera pubblica come luogo della partecipazione e formazione di identità collettive» (p. 59).
La sfera pubblica nasce con «la possibilità- che emerge con l'età moderna- di distinguere tra pubblico, cioè legato allo stato, e privato, cioè escluso dall'ambito di intervento dello stato [...] peculiare a questa sfera pubblica ero lo strumento utilizzato per il confronto politico: l'argomentazione pubblica e razionale. I caffè, i salotti, le società di lettura, le logge massoniche erano i luoghi sociali dovei si elaborava questa sfera pubblica e si esercitava il gusto per l'argomentazione. (ibidem, p.60)
Se quindi era essenzialmente una sfera pubblica borghese (Habermas 1988) , è tuttavia da qui e in questi luoghi che «si svilupparono poi le istituzioni che portarono ad allargare fisicamente lo spazio del pubblico- in primo luogo la stampa, ma anche incontri pubblici e associazioni varie». (Della Porta 2011, pp. 60-61).
Organizzazioni di movimento sociale progressivamente occuparono uno spazio significativo nella sfera pubblica, fino a quella che Bendix definisce come «ingresso delle masse nella storia» :
Il XVIII secolo rappresenta una rottura di grandi dimensioni nella storia dell'Europa occidentale. Prima di quel momento, le masse erano escluse dall'esercizio dei diritti pubblici. Da quel momento sono diventate cittadini e in questo senso membri della comunità politica ( Bendix 1964, p.72)
Partecipazione popolare attraverso forme non convenzionali e politicizzazione della partecipazione sono caratteristiche peculiari di quelle pratiche di partecipazione che alla fine del XVIII e inizio del XIX secolo erano prevalentemente legate agli scioperi, alla nascita delle
associazioni dei lavoratori per la difesa dei salari e delle condizioni di lavoro. La dimensione centrale attorno cui si sviluppava la concezione di democrazia era quindi «la dimensione collettiva dei diritti, a fronte di una concezione liberale di libertà (di proprietà, di contratto ecc.) puramente individuali» (ibidem, p. 62).
È quindi la stessa concezione di democrazia e delle sue condizioni che viene messa al centro delle rivendicazioni. La Francia e l'Inghilterra furono i luoghi in cui queste rivendicazioni presero forma inizialmente mescolando vecchi e nuove forme:
nel nascente movimento dei lavoratori, le associazioni erano pensate come corporazioni di lavoratori, cooperative, ma anche confraternite dei proletari, con una funzione inizialmente di mutuo soccorso, ma poi anche di mobilitazione contro la libertà come isolamento: l'associazione era legame reciproco e intelligenza comune.
In quelle proteste venivano praticate e prendevano forma concezioni di democrazia che progressivamente sfidavano quella liberale individualistica: una democrazia diretta, orizzontale, autogestita. Nuove pratiche e visioni emergevano e soprattutto al di fuori dei meccanismi di responsabilità elettorale.
Ulteriore passaggio, all'inizio del secolo successivo, si ha con una trasformazione delle forme di azione collettiva che vedono «il passaggio da un repertorio localistico e parrocchiale a uno nazionale e autonomo, basato su assemblee pubbliche e libere associazioni ad hoc tra portatori di interesse» e soprattutto, in un secondo momento, con «forme di azione autonome rispetto alle autorità, con azioni visibili in luoghi pubblici e partecipazione come membri di associazioni, con dispiegamento di programmi e simboli di appartenenza» (ibidem p. 67).
Si apre la strada per quel supporto di massa, proveniente dai movimenti sociali, alle elezioni e ai partiti, i quali erano tuttavia inizialmente indifferenti, nel loro essere ancora partiti di patronato e basati su una rappresentanza individuale, ad un tale legame.
Allo stesso tempo però il sistema di rappresentanza che si sviluppò diede l'avvio a «istituzioni e prassi di riconoscimento di identità collettive» e lo stato democratico in costruzione sembrava avere sempre più tratti di democrazia associativa:
Non solo esso riconosceva nei fatti la presenza di corpi intermedi tra individuo e stato, ma vedeva anche la presenza di diverse concezioni e pratiche di democrazia all'interno di questi corpi intermedi. Venne nei fatti integrata una concezione di democrazia associativa la quale sottolineava una certa partecipazione diretta, che in alcune versioni diventava autogestione. (ibidem p.68)
È in questa prospettiva che Della Porta evidenzia come il movimento operaio sia stato dunque «un attore importante nella trasformazione di una concezione individualista liberale della democrazia in democrazia organizzata».
Non è nostro interesse qui ricostruire la storia del movimento operaio- e le diverse interpretazioni in merito- ma tracciare le coordinate storiche di sviluppo delle idee partecipative per meglio comprendere quello che oggi è emergente.
A tal fine quello che è importante evidenziare in questa sede è non solo come sempre più richieste di diritti sociali, civili e politici si intrecciavano progressivamente, ma anche e soprattutto come l'emergere di una concezione e una pratica partecipativa di democrazia andava sempre più a coniugarsi con una definizione di democrazia stessa che «si estendeva ad includere tematiche di eguaglianza sociale» (ibidem, p.75).
Il nesso tra l'evoluzione delle pratiche di partecipazione, delle concezioni di democrazia e quelle di cittadinanza emerge in questa prospettiva centrale. Toccheremo questo aspetto nel capitolo successivo, rispetto alal evoluzione della cittadinanza democratica e l'emergere di nuove cittadinanze. Qui però anticipiamo in sintesi ciò di frequente viene richimato nel dibattito sul tema della cittadinanza, della sua evoluzione, ossia, dello sviluppo storico-sociale « dell'essere cittadino». Il riferiemnto è senza dubbio il lavoro di Marshall (1947, 1976). Sono tre le fasi storiche di tale evoluzione che di fatto vanno di pari passo con l'evoluzione storico-politica, appena tracciata, della concezione partecipativa della democrazia.
La prima è quella che vede l'affermarsi dei diritti civili tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX. Una cittadinanza civile che si compone dei diritti di espressione, di parola, di religione, di proprietà. La seconda è quella che coincide con l'affermarsi di una cittadinanza politica, attraverso il riconoscimento dei diritti di partecipazione politica nel corso del XIX secolo e i primi anni del XX, con la graduale estensione di tali diritti a sempre più ampie e diverse fasce della popolazione, fino all’ottenimento del suffragio universale. In fine, la cittadinanza sociale, il cui sviluppo inizia nel corso del XIX secolo, ma trova il suo pieno dispiegamento nel corso del XX.
Quest'ultima è quella che rende sostantiva la cittadinanza, oltre quindi la sua declinazione formale- prescrittiva:
I diritti civili offrivano poteri legali il cui uso era drasticamente limitato dai pregiudizi di classe e dalla mancanza di opportunità economiche. I diritti politici davano potenzialmente un potere il cui esercizio richiedeva esperienza, organizzazione e mutamento nella concezione delle funzioni di governo. Tutto questo ebbe bisogno di tempo per svilupparsi. I diritti sociali erano al minimo storico e non collegati alla costruzione della cittadinanza ( Marshall, 1976, cit. in Della Porta 2011, p. 75)
È quindi con il benessere economico, la diffusione dell'istruzione e la sempre maggiore diffusione dei diritti civili e politici che «l'integrazione sociale si diffonde dalla sfera dei sentimenti e del patriottismo a quella della soddisfazione materiale»(ibid.)
Il benessere sociale e l'abolizione delle ineguaglianze divengono oggetto di rivendicazioni e al contempo pre condizione per il godimento degli stessi diritti politici e civili. Per cui è solo
con l'incorporazione dei diritti sociali nello status di cittadinanza che essa diviene pienamente «diritto universale».
A questo processo di progressiva acquisizione di diritti di cittadinanza ha contribuito nel XIX e XX secolo l'affermarsi di partiti di massa quali luogo di socializzazione alla politica (ibidem, p.76). Tuttavia l'evoluzione storica della concezione partecipativa della democrazia e conseguentemente del suo nesso con l'evoluzione della cittadinanza, pone in evidenza come non sia solo il momento elettorale quello in cui si pratica la democrazia, «si pratica anche nelle strutture associative, connesse ma anche in parte autonome rispetto ai circuiti di rappresentanza. Come il movimento operaio in passato, anche più di recente i movimenti sociali sono stati arena di discussione e sperimentazione di diverse concezioni di democrazia.» (ibidem, p.77)
Nelle visioni e nelle pratiche dei movimenti sociali centrale è sempre stata la questione della «qualità democratica della partecipazione» (ibidem, 78). I movimenti del '68 hanno rivendicato al contempo un ampliamento dei diritti civili e delle forme di partecipazione politica ed «osare più democrazia era la parola d'ordine che rifletteva la centralità di una sfida «metapolitica». Il discorso anti-autoritario, centrale per i movimenti sociali degli anni settanta e ottanta, si articolava infatti in rivendicazione di «democrazia dal basso», autogestita ecc.». Veniva così affermata la legittimità di una democrazia «alternativa rispetto a quella parlamentare, criticando sia la democrazia liberale che la democrazia «organizzata» dei partiti». (ibid.).
Possiamo quindi ora proseguire il nostro excursus, teso a dare il senso di una profondità storica alla concezione partecipativa della democrazia, ponendo l'attenzione quindi su quelle pratiche e forme di partecipazione «oltre» i partiti e la democrazia rappresentativa che dagli anni Novanta ad oggi segnano alcune tappe significative che progressivamente ci aiutano a mettere a fuoco quelle forme che la nostra ricerca ha indagato.
2.3 Dalla partecipazione «dal basso» al diffondersi dell'offerta istituzionale di partecipazione
Gli Novanta, come dicevamo, vedono la nascita e il diffondersi delle pratiche partecipative legate all'esperienza dei BP ed in seguito, tra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni 2000, dei Forum Sociali.
Come evidenzia Allegri (2009, in Blecher, et al 2009, p.226) questi movimenti globali
che dagli anni '90 hanno attraversato e contestato la globalizzazione, possono in parte leggersi come l'ultima generazione di quei «nuovi momenti sociali» (NSMs) protagonisti, dopo il '68 e la crisi del movimento operaio e socialistica (Offe 1985, Luhmann, 1991; Wallerstein 2002; Castells 2004) [...]
figli delle innovazioni socio-culturali e di pratica politica degli anni 60/70 del Novecento, si sono formati in continuo dialogo con l'attivismo politico della Nuova Sinistra, mettendo in crisi le forme codificate dei sistemi politici, sociali ed istituzionali tradizionali.
Prima i movimenti studenteschi e quello femminista, poi i movimenti di mobilitazione per la pace (Melucci 1985), quindi quelli ambientalisti, quelli riconducibili al consumo critico, responsabile, etico, e infine quelli per il sud del mondo e post coloniali hanno contemporaneamente messo in discussione la modernità, accanto ad una contestazione radicale dell'esistente ordine sociale, istituzionale e culturale (Allegri, ibidem, p.226). Allo stesso tempo hanno anticipato forme di vita ed organizzazione:
con la loro portata innovativa quei NMSs successivamente incrociano le trasformazioni economiche ed istituzionali della tarda modernità nel vecchio continente; e lo fanno agendo sul piano dell'immaginario e del simbolico, come su quello delle azioni collettive svolte pubblicamente, avendo la capacità di trasformare lo spazio pubblico- Offentlichkeit- delle società postindustriali.
Non è nostra intenzione qui approfondire l'analisi dei NMSs, ci preme tuttavia evidenziare quello che in estrema sintesi segnano questi movimenti in relazione alle pratiche partecipative.
In primo luogo, come già evidenziato rispetto alle concezioni della democrazia, essi, in