Partecipazione e cittadinanza attiva a Bologna e nel Quartiere San Donato Politiche e contesti istituzionali.
1. Una stagione di partecipazione a Bologna tra urbanistica e confronto pubblico
Nel corso della nostra indagine siamo arrivati ad individuare un «stagione» signi ficativa di esperienze che, riteniamo, aiutano a comprendere gli sviluppi successivi, e dalle quali non si può prescindere, sia per l'in fluenza che esse hanno avuto, sia per individuare «interruzioni» , continuità e cambiamenti, quindi per rilevare come la partecipazione è stata progressivamente tematizzata.
Nella pubblicazione «Percorsi di partecipazione. Urbanistica e confronto pubblico a Bologna 2004-2009», (Ginnocchini, a cura di, 2009) si dà conto di alcuni signi ficative sperimentazioni di percorsi partecipati che hanno, come vedremo creato un terreno comune ad altri percorsi successivi tra i quali alcuni costituiscono una fase antecedente delle esperienze da noi analizzate e con esse sono quindi in stretta connessione. Come si evidenzia in questo racconto, è nel farsi di un'esperienza lunga cinque anni, e non nei singoli percorsi, e quindi «nell'insieme e nella varietà degli stessi, nonché nella stretta relazione stabilita con il processo di piani ficazione in corso», che si può cogliere «l'interesse e la novità» di tale esperienza (p. 18).
Prima di presentare i caratteri salienti di questo insieme di percorsi, vogliamo cercare di mettere in evidenza alcuni passaggi signi ficativi che ci restituiscono una fotogra fia del contesto. Si è già dato conto in generale nel secondo capitolo dei diversi input provenienti dall'Europa in questo ambito e della progressiva focalizzazione dei quartieri come luogo della partecipazione. Vediamo ora a Bologna come leggere da questa prospettiva la nascita di un terreno fertile per quell'»esperienza lunga cinque anni» cui facevamo cenno poc'anzi.
Quanto avevamo già sottolineato nel terzo capitolo circa le sfide che i primi percorsi in Italia avevano dovuto affrontare per essere compresi e farsi strada, trovano corrispondenza nelle parole di una delle persone da noi intervistata, che all' epoca, come ancora oggi, anche se con diverse posizioni e ruolo, lavorava come esperto nell'ambito dell'urbanistica partecipata:
Parto dagli studi, è importante dire che mi sono laureato a Firenze in architettura in indirizzo urbanistico, ma frequentando a Firenze quella parte di urbanisti che all'epoca si de finivano territorialisti e che sui temi della partecipazione e dell'auto-sviluppo locale hanno fatto scuola in Italia e al contempo ho fatto una tesi a Modena con il Comune che allora aveva un laboratorio di tesi aperto insieme a varie facoltà universitarie. La tesi era sull'architettura del paesaggio con Fiziolo che il tema del paesaggio lo ha sempre legato al tema della percezioni della popolazione e del rapporto con gli usi. Quindi già dagli studi ho cominciato a sviluppare questo filone. Poi appena laureato ho avuto la fortuna di essere coinvolto nelle prime esperienze che INU e WWF promossero come concorsi di progettazione partecipata e quindi mi sono subito confrontato con questo tema. Siamo nel 2000-1 e sempre con INU ho avuto la possibilità di fare dei viaggi studi nel mondo anglosassone, sia negli Stati
Uniti che Inghilterra e quindi la possibilità di studiare alcune esperienze che là erano già molto più sviluppate. In quell'ambito ho conosciuto Rey Lorenzo che aveva cominciato insieme ad INU a sviluppare questo filone dentro al WWF e abbiamo scritto un libro sul viaggio negli Stati uniti e lo abbiamo pubblicato insieme a Camina (Città amica dell'infanzia e dell'adolescenza) perché quelli erano gli anni in cui venivano finanziati i percorsi di coinvolgimento dei giovani dalla legge 285 del '98 e un periodo ho lavorato anche a Camina e lì ho sviluppato abbastanza il percorso di lavoro con i piccoli. Il passaggio successivo è stato il coinvolgimento, un'esperienza abbastanza lunga, di consulenza al comune di Jesi, con il Politecnico di Milano, in cui lavorano da una parte gli urbanisti, tra cui anche la Gabellini, e dall'altra i soggetti che si occupano di politiche urbane, in particolare c'erano Balducci e Calvaresi, con cui abbiamo fatto il piano strategico. Siamo nel 2003-4. Poi nel 2004 ho cominciato a lavorare a Bologna e sono stato coinvolto direttamente dal Comune per il progetto del mercato ortofrutticolo, come consulente del Comune. A Jesi è andata avanti per parecchio tempo perché dopo la piani ficazione strategica, del piano urbanistico, ci sono stati due esperienze di finanziamento da parte del ministero per progetti che avevano a che fare di più con la scala territoriale. Però anche lì si lavorava comunque in un'ottica di «piano strategico» e quindi coinvolgimento dei Comuni, dei principali stakeholders, abbiamo fatto un piano strategico più orientato allo sviluppo economico, e quindi è durata abbastanza l'esperienza di Jesi, fino al 2007/8. (G. Urban Center, Bologna)
Come si può cogliere da questa parte di racconto, era un'epoca quella che parte sul finire degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000 di fermento di esperienze, ed era un'epoca in cui non vi erano binari già strutturati- sia di strumenti che di studio- era un «campo in formazione», che tramite le sperimentazioni andava costituendosi. Se città come Torino e Roma, come ancora evidenzia chi abbiamo intervistato, avevano già avviato in precedenza durante gli anni '90 diverse esperienze- cui abbiamo fatto cenno nel terzo capitolo- a Bologna è appunto più verso l'inizio degli anni 200074 che cominciano a nascere e diffondersi.
per me il dipinto è questo: di fatto c'è stato un periodo di innovazione a livello europeo che risale agli anni '90 legato principalmente alle esperienze degli Urban, che poi si sono tradotti a livello nazionale nei contratti di quartiere, questo ha aperto un forte percorso di innovazione rispetto agli strumenti, al rapporto fra rigenerazione, no allora non si parlava di rigenerazione ma di riquali ficazione, progetto urbano, che alcune città hanno indubbiamente colto. All'epoca si studiava Roma, che aveva fatto un progetto dell'uf ficio di Uspel e lavorava sugli Urban75 e i contratti di quartiere e poi c'era Torino che
aveva fatto il progetto periferie, Milano che forse è venuta un poco dopo che ha lavorato molto sui contratti di quartiere e dopo con la fondazione Cariplo che faceva dei bandi che tenevano assieme
74 È sempre di quegli anni, tra il 2003 e 2004, una delle prime significative esperienze di democrazia deliberativa, che vede l'esperta di ascolto attivo e confronto creativo Marianella Sclavi, condurre, su richiesta ed invito dell'Associazione Orlando, entro il progetto europeo Genere e Governance; un percorso di ascolto e deliberazione che ha portato alla stesura dell’Agenda Politica di Donne Una città desiderabile.
riquali ficazione e lavoro di comunità. C'è stata anche Padova che era interessante, ma soprattutto perché c'è era un architetto che lavorava sul tema della rigenerazione energetica e può essere quindi ricordata in quella stagione lì. Non mi risulta che in Emilia Romagna la cosa avesse in qualche modo preso piede. Mi ricordo bene che nel '98 volevo fare la tesi ma non c'era nessuno che era interessato da quel punto di vista. ... l'idea di processi com erano nati a Torino, Milano, o Roma da noi non.. forse non c'era bisogno! Può anche darsi che nonostante fosse usurato lo strumento partecipativo tradizionale a livello di quartiere, probabilmente lo si riteneva comunque suf ficiente.
Nella metà degli anni 2000, ci viene sottolineato, c'è stato però «un passaggio dovuto in parte a motivi politici», legata all'opposizione a Guazzaloca76, un'opposizione «costruita molto dentro ai Quartieri, con i comitati, con le associazioni di cittadini contro alcuni grandi progetti di riquali ficazione urbana». Uno di di questi progetti era quello del mercato. Alle spalle cioè c'era una necessità di «rimettere in gioco, in circolo», una modalità di coinvolgimento dei cittadini che era mancata invece all'epoca del progetto relativo alla via Emilia, che prevedeva il restringimento della via con la costruzione di un Tram e «delle banchine in mezzo senza nessun tipo di coinvolgimento né della comunità né dei commercianti e successe un putiferio». Lo stesso avvenne con il referendum consultivo sul progetto della stazione. La crisi della sinistra, e la perdita all'epoca delle elezioni in cui appunto vinse Gauzzaloca, fu legata in parte anche quindi «dal punto di vista della trasformazione urbana alla crisi del modello consultivo classico del comune». (G. Esperto Urbanistica partecipata, Urban Center Bologna). A metà degli anni 2000 infatti, come ricorda chi abbiamo intervistato, e precisamente nel giugno 2004 viene eletta una nuova amministrazione comunale che avvia un processo di panificazione approvando, il 15 febbraio del 2005, il programma per la formazione del Piano Strutturale Comunale condiviso e partecipato che, come si legge nel sito di riferimento,77 «ha voluto dare peso alla concertazione inter- istituzionale e alla partecipazione dei cittadini».
Sul piano normativo, è del 2000 Legge Regionale n.20, che attribuisce ai Comuni la responsabilità di de finire una piani ficazione territoriale ed urbanistica78 che li metta in grado di promuovere: lo sviluppo economico, sociale e culturale della popolazione; il miglioramento della qualità della vita; l’uso consapevole e appropriato delle risorse non rinnovabili.79
In questo contesto lo strumento di cui il Comune di Bologna si è dotato per raggiungere questi obiettivi è il Piano strategico Comunale (PSC) che stabilisce gli orientamenti generali che hanno poi guidato lo sviluppo urbanistico della città di Bologna per un arco temporale di vent'anni, dal 2008, anno di approvazione del PSC. Quest'ultimo, come si legge dal sito di riferimento del Comune, è uno strumento di pianificazione urbanistica generale che delinea le
76 Nelle elezioni del 1999 vinse per la prima volta un sindaco di centro destra, Guazzaloca, che rimarrà in carica fino al 2004.
77 http://informa.comune.bologna.it/iperbole/psc/articoli/1797
78 Si veda il secondo capitolo che fa da sfondo teorico a quanto qui stiamo contestualizzando. 79 http://informa.comune.bologna.it/iperbole/psc/articoli/1797
scelte strategiche di assetto e sviluppo del territorio, tutelandone l'integrità fisica ed ambientale, e assieme al Piano Operativo Comunale (POC) e il Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) costituisce la nuova strumentazione per il governo delle trasformazioni del territorio comunale, come previsto appunto dalla Legge Regionale. Nel caso del Comune di Bologna i tre strumenti sono stati progressivamente costruiti in modo integrato, infatti attorno al PSC si è avviata una discussione più generale sulle linee di tutela e sviluppo del territorio, che poi sono state articolate e precisate negli altri due strumenti.
Nel mandato amministrativo 2004-2009 vengono quindi sperimentate «nuove modalità di azione, finalizzate a una maggiore inclusione dei cittadini nei processi decisionali che li riguardano più direttamente», il cui «obiettivo perseguito tramite i processi inclusivi in questo ambito è quello di accrescere l'efficacia dell'azione pubblica sul territorio, favorendo una governance allargata» (op.cit. p.24). È appunto nel quadro di quel percorso di programmazione del PSC che hanno avvio a Bologna diverse esperienze:
[…] si possiamo dire che (il PSC) è stato un terreno [di sperimentazione]. Per come lo abbiamo impostata è stata comunque un'impostazione che non tendeva a sostituire i Quartiere ma che in qualche modo era un rapporto di collaborazione e in alcuni casi anche di supporto. Dopo i primi momenti, in cui effettivamente, non in tutti, ma in alcuni quartieri io avevo registrato un poco di paura rispetto a questi strumenti nuovi come di perdita di rappresentanza e di potere, ma poi in realtà dopo è stato chiaro invece come potevano essere un motore per fare ripartire dei meccanicismi che si erano un poco arrugginiti... (G. Urban Center Bologna)
Sono principalmente tre le tipologie di azioni che hanno aperto alla partecipazione dei cittadini nel quadro del programmazione del PSC.
La prima riguardò l'avvio e la realizzazione di numerosi Laboratori di Quartiere80: «i diversi laboratori sono anche stati un modo per affrontare, discutendone con i cittadini, alcuni temi al centro della trasformazione urbana contemporanea, per poi farne tesoro nei piani» (p.19), ossia, il riuso, la campagna urbana, la compensazione di infrastrutture per la mobilità tramite nuovi parchi, i nuovi quartieri residenziali orientati alla mixitè e alla sostenibilità.
La seconda riguardò invece un coinvolgimento su scala cittadina e su macro-temi tramite l'attivazione del Forum Bologna città che cambia con l'obiettivo di coinvolgere «rappresentanti del mondo del lavoro e dell'impresa, della società civile organizzata, portatori di interesse diffusi sul territorio e protagonisti della vita sociale e culturale della città» (p.71). La discussione è stata organizzata sia attraverso incontri plenari di presentazione dello stato di avanzamento dei lavori e incontri invece a tema di analisi degli obiettivi strategici definiti nel Documento preliminare del PSC, in particolare: innovazione e sviluppo; qualità urbana e
80 Per il dettaglio dei Laboratori così come dei diversi strumenti che qui citiamo rimandiamo sia Ginocchini G. ( a cura di) ( 2009) op. cit., sia al sito www.urbanceterbologna.it
coesione sociale; ambiente e sostenibilità; mobilità e infrastrutture. Accanto a questi momenti di discussione è stato poi attivato un forum web, sono stati di volta in volta messi a disposizione materiali informativi, sono state realizzate «passeggiate» per vedere le aree di interesse e valutare da vicino gli esiti dei diversi strumenti di pianificazione.
Un terzo strumento fu invece utilizzato nella fase di raccolta di osservazioni formali da parte di cittadini e di singoli portatori di interesse, prima dalle fase di approvazione definitiva dell'entrata in vigore del Piano. In particolare fu realizzato un ciclo di confronto pubblico denominato Bologna di fa in sette, quale strumento di comunicazione e contemporanea raccolta di indicazioni. La comunicazione si era posta come obiettivi quella di rendere comprensibili e chiari i contenuti del paino e le possibili ricadute concrete sul territorio, porre in evidenza la struttura strategica e non semplicemente operativa del piano e la prospettiva temporale di lungo periodo. Le Sette città si riferivano alle sette macro- strategie di trasformazione urbanistica contenute nel PSC. Il primo PSC della città di Bologna è stato approvato nella sua versione definitiva nel luglio del 2008, e all'art. n.40 dedicato specificatamente alla Partecipazione.
Accanto e sulla scorta di queste esperienze che furono orientate nello specifico alla progettazione urbanistica, furono poi avviati altri percorsi-laboratorio, non direttamente sul tema della progettazione urbanistica, ma che non essa dialogavano e che hanno anche messo a valore quelle stesse esperienze di partecipazione. Sono percorsi sul tema della costruzione di nuove centralità a partire dallo spazio pubblico, della cittadinanza e dell'ambiente. Tra queste si colloca il progetto «Sposta il tuo centro. San Donato città di città», e la seconda edizione del progetto «Bella Fuori» che, vedremo, costituiscono, il primo lo sfondo e la premessa generale dal punto di vista della strutturazione a livello di Quartiere della promozione della partecipazione del complesso di esperienze che abbiamo indagato, ed entrambi, il secondo più nello specifico la fase precedente del Laboratorio avviato all'interno del progetto la Città come beni comuni, di cui daremo conto nella presentazione del secondo caso (capitolo VIII).
Tornando sul nostro intento di tratteggiare un disegno generale del come hanno preso forma e si sono progressivamente strutturati i processi partecipativi, un altro passaggio significativo, in questo insieme di esperienze, è quello dell'attivazione dell'Urban Center di Bologna, che possiamo ripercorre nelle parole di hi abbiamo intervistato:
Dopodiché è cominciato il coinvolgimento attraverso l'Urban Center che nel frattempo era nato, prima si chiamava con un altro nome. È Bo. Esposizione Bologna. Ed era di fatto un luogo di comunicazione ed esposizione dei progetti. È nato così, nel 2003 ed è diventato Urban Center nel 2006. E quindi questo tipo di attività che era nata in via sperimentale su alcuni progetti, si è strutturata anche proprio grazie alla scelta di aver pensato all'Urban Center come un soggetto che potesse avere questo ruolo di accompagnamento dei progetti [...]e anche alla luce del piano strutturale. Perché tutto il
forum sul piano strutturale dal 2005 in poi e la comunicazione successiva viene seguita da Urban Center. Di fatto ad un certo punto c'è stato un momento in cui si è deciso che mentre altre città stavano facendo i propri «uffici di partecipazione», le città che si erano impegnate su questi temi soprattutto da un punto di vista urbanistico ... Quelli sono anni in cui molti comuni facevano l'ufficio partecipazione, addirittura assessorato alla partecipazione con l'ufficio partecipazione e tendenzialmente in quel periodo l'avevano quelli di Rifondazione quindi c'era proprio un filone da un punto di vista politico che aveva dei riscontri da un punto di vista amministrativo e qui invece l'dea è stata non facciamo un ufficio dentro al comune, ma abbiamo già questo soggetto, che è l'Urban Center, che ha delle caratteristiche particolari e proviamo ad investire su Urban Center piuttosto che internalizzare questo tipo.. almeno nel settore urbanistica e trasformazione della città. Poi invece rispetto all'amministrazione in generale ci sono sempre stati uffici che si occupavano di questi temi (G. Urban Center Bologna)
È quindi da un intreccio di fattori che può esser compresa e letta quella «stagione» della partecipazione. Da quanto fin qui messo in evidenza possiamo rilevarne alcuni.
In primo luogo la circolazione e sedimentazione di un sapere e il contestuale ruolo giocato da chi aveva cominciato ad avere esperienze di formazione e lavoro su questi temi, esperienze acquisite in diversi luoghi e anche all'estero, come in Inghilterra, paese che già avevamo evidenziato nel terzo terzo capitolo è stato palestra di apprendimento per chi poi fondò Avventura Urbana coinvolgendosi nelle prime esperienze pionieristiche di Torino81. Un sapere che si è via via confrontato con l'amministrazione sul terreno dei percorsi, cui è corrisposta una progressiva strutturazione ed organizzazione della partecipazione. Questo porta ad evidenziare un secondo elemento, ossia la scelta di dar vita, non ad un ufficio ad hoc interno al Comune, ma di un soggetto esterno, al tempo stesso legato all'amministrazione, cioè l'Urban Center, nato come abbiamo visto in altre vesti nel 2003, con una una funzione connessa alla comunicazione, divenuto poi un soggetto con funzioni varie, ma riconducibili al supporto, alla progettazione e all'accompagnamento di percorsi partecipativi, che ha assunto questo ruolo proprio nel corso e grazie alla sperimentazioni realizzate attorno alla costruzione del PSC. Infine fattori politici connessi alle elezioni elettorali e la necessità di ricucire un rapporto con il territorio ridando spazio ad una partecipazione più ampia e non limitata alla consultazione e al classico momento assembleare.
81 È sempre di quegli anni, tra il 2003 e 2004, una delle prime significative esperienze di democrazia
deliberativa, che vede l'esperta di ascolto attivo e confronto creativo Marianella Sclavi, condurre, su richiesta ed invito dell'Associazione Orlando, entro il progetto europeo Genere e Governance, un percorso di ascolto e deliberazione che ha portato alla stesura dell’Agenda Politica di Donne Una città desiderabile. La Sclavi, fu parte del gruppo di Avventura Urbana all'epoca del progetto periferia a Torino. La sua formazione sociologia, ha trovato terreno di sperimentazione nei gli Stati Uniti già nel corso degli '80 e '90.
2. La partecipazione si struttura. Legge Regionale 3/2010, genesi e applicazione nel