Partecipazione, governance e sperimentazione democratica Un quadro teorico.
3. Il «locale», la governance e la partecipazione
In questo capitolo stiamo cercando di analizzare ciò che nel dibattito emerge circa il complesso e a tratti ambiguo nesso tra partecipazione e governance. Come mostra la nostra stessa ricerca (capitoli VI, VII, VIII), il tema del «locale», della «comunità» e dei quartieri, risulta centrale per comprendere ed analizzare le pratiche partecipative emergenti. Diversi contributi, in modo rilevante a partire dall'inizio degli anni 2000 ( Jessop 2001; Elwood 2002, 2004; Marinetto 2003; Chaskin 2003; Newamn et al 2004; Brenner and Theodore 2002, 2005; Lowndes e Sullivan 2007; Rosol 2010; Robinson 2005 et al.; Moini, 2012; d'Albergo 2014; Pellizzoni, Parente, Peck, Theodore, Brenner, 2009; Durose 2012; Durose and Lowendes 2010, J.Bekker et al 2012, Rosol 2013; ) danno conto di questo processo di localizzazione, spesso letto e contestualizzato guardando al più ampio processo di neoliberalizzazione e dell'evoluzione della governance stessa, ma anche, nei termini di discorso e di policy, inquadrandola nell'ambito della governance urbana e della neighborhood governance.
Anche in Italia il ruolo assunto dai quartieri nell'ambito delle politiche urbane, di rigenerazione urbana, è emerso nel corso del tempo in maniera centrale, e le pratiche da noi analizzate pongono in evidenza come un rinnovato interesse stia emergendo verso il tema della prossimità, dei quartieri, della comunità, tanto dal lato istituzionale, quanto della società
civile. È quindi necessario cercare di leggere il quadro generale che dal dibattito emerge rispetto a questo processo di localizzazione.
3.1 Neoliberalizzazione delle città e governance (locale) urbana
In continuità con l'analisi critica già in precedenza proposta rispetto al ruolo della partecipazione nei processi di governance, i contributi poc'anzi citati permettono di individuare un insieme di tendenze cruciali che danno forma a questo processo.
Un prima tendenza riguarda l'emergere di strategie competitive che rendono le città sempre più allo stesso tempo «entrepeneurs and enterprises» (Rosol 2013; Harvey 1989). Per comprendere questo passaggio è necessario guardare a quel processo di glocalizzazione, che «implica una scomposizione e ricomposizione geografica delle scale della vita economica e sociale», per cui «glocali sono, oltre a fenomeni e processi transnazionali, le città le cui dinamiche socio–economiche e anche politiche non sarebbero spiegabili se non considerando le dirette interrelazioni e interdipendenze con quelle globali» (d'Albergo 2014, p.242).
Da una parte l'emergere quindi dell'imperativo dell'attrattività di investimenti del mercato globale e quindi l'adozione di strategie di crescita competitiva, dall'altro la necessità di collocamento su scenari transazionali di governance, in coerenza con quel processo di governance multilivello che, come abbiamo visto, si è sviluppato sia sul piano globale che locale tra mondializzazione e regionalizzazione.
È in questo contesto che, come nota d'Albergo (ibidem, p. 244), le politiche urbane, nelle fasi roll– out del neoliberismo, coincidente con quello sviluppo della governance secondo il modello del New Public Management, cui abbiamo già fatto riferimento, si orientano non solo alla ricerca di vantaggi competitivi– tramite sia policy hard come ad esempio la creazione di infrastrutture per la mobilità, sia tramite policy soft come ad esempio l'attrazione di una «classe creativa»– ma anche alla pianificazione strategica, al city marketing e al city branding, alla rigenerazione e trasformazione di aree urbane degradate e infine alla sicurezza urbana come «qualità della vita».
Una seconda tendenza si colloca e va letta in connessione al quel processo di pluralizzazione degli attori e dei luoghi di presa delle decisioni cui abbiamo già dato conto nel passaggio dal governament alla governance, sia market che network oriented.
Si tratta di quel decentramento dei poteri statali che si sostanzia non solo nel ridisegnare i confini territoriali, o nell'istituire nuove forme di governo locale, ma anche in una «modificazione spaziale dei rapporti fra politica, mercato e società» (ibidem p. 248)9.
9 A questo proposito è bene evidenziare che, pur essendo evidente che il tema della govenrnace di quartiere di seguito trattata rientra in questioni più ampie, qui non stiamo prendendo in considerazione, poiché esula dalle finalità del nostro lavoro, quelle trasformazioni urbane che hanno visto il nascere di «città globali» (Sassen, 2006). Rimandiamo tra altri a: Tidore, (2008); Haddock Moulert ( 2009); Mela (2014).
Non vogliamo qui trattare il tema specifico del rescaling e della politics of scale (Branner, 2001), ma ci preme evidenziare come il concetto di scala, nell'ambito delle governance e della partecipazione può assumere una utile connotazione critica rispetto al più neutrale concetto di «livello» locale come semplice livello di azione sociale o politica. Il concetto di scala implica infatti la presa in considerazione della relazione tra territorio, interesse e rappresentazioni degli interessi stessi (Moini, 2012) e consente quindi di analizzare la partecipazione in questa prospettiva (Allegrini, 2014).
Quanto fin qui evidenziato ci permette di inquadrare una terza tendenza che, come evidenzia Rosol (2013), coincide proprio con la «governance beyond the state» (p.549), e che ha portato «to an increasing importance of non- state actors and to a transformation of roles, responsibilities and institutional configurations of the (local) state and citizens in urban spatial politics». Complementare a questa tendenza è quella che l'autrice definisce come «the rising importance of civic engagement and a new focus on territorially defined local communities as a relevant actor in urban governance» (ibid.).
Queste due ultime tendenze sono quelle più direttamente connesse con il tema del nostro lavoro e ci riportano infatti sul piano della relazione tra partecipazione e governance, mettendo in evidenza come a livello locale non sia incoraggiata solo la competitività e le «città come imprese», ma anche nuove forme di coesione sociale e di community participation. Il tema di fondo quindi è come prende forma, a livello di governance urbana, e ancora di più di quartiere, la partecipazione dei cittadini. In accordo con quanto sostiene Rosol (ibidem, p. 550), se è vero che la neoliberalizzazione delle città ha cambiato le condizioni della partecipazione e la partecipazione in sé, è anche vero che questa riconfigurazione può aprire da una parte a rischi e derive, ma anche a delle opportunità, e nuove forme di partecipazione che, come già più volte detto, non possono che essere colte nello studio delle pratiche e di come queste pratiche sfidano, ridefinendolo, il rapporto tra cittadini e amministrazione, ri- significando la partecipazione stessa.
Nel quadro di questo insieme di tendenze che il dibattito sulla governance urbana permette di identificare, si colloca il tema della rigenerazione urbana e della neighborhood governance, che richiedono ora di essere affrontate con sguardo sia sull'Italian che sull'Europa.
3.2 Quartieri, governance e partecipazione
Come evidenziano Lowendes e Sullivan (2007), i «neighborhoods are the focus of considerable policy attention across Europe, identified as appropriate sites for innovation in both governance and service design» (p. 53).
Per comprendere e mettere a fuoco questa tendenza di policy e le implicazioni che ha sul piano della partecipazione, dobbiamo prima inquadrare un insieme di mutamenti che riguardano più in generale le politiche territoriali e urbane.
Come evidenzia Tidore ( 2008, p. 15)
A partire dall'ultimo decennio del XX secolo si è assistito in Italia all'affermazione di pratiche di governance territoriale che hanno innescato forme innovative di cooperazione pubblico–privato ed esperienze di coinvolgimento diretto dei cittadini nella pianificazione e nella realizzazione di politiche urbane e territoriali. Queste pratiche hanno ricevuto un impulso decisivo dagli indirizzi dell'Unione Europea, che hanno promosso in molti campi di intervento modelli ispirati a logiche partecipative di tipo ascendente, per molti veri alternative tanto allo Stato, quanto a quella del mercato.
Vedremo a breve proprio gli input che sono derivati dall'Europa e la loro traduzione in Italia, ma prima è bene chiarire in termini più generali i cambiamenti a livello di governance e di pianificazione del territorio, dal punti di viste delle logiche di azione. A questo proposito Tidore (ibidem, pp. 41–44), richiamando il contributo in merito di Mela (2000) individua tre stagioni della pianificazione in Italia, sulla base di diverse culture di governo che si sono succedete nella seconda metà del '900.
Un primo periodo arriva fino gli anni '70 e vede il primato del piano come «attività di ampio respiro, di scala territoriale vasta, tendenzialmente olistico nella considerazione dei diversi aspetti del territorio. Prevale qui un approccio multidisciplinare che considera necessaria una conoscenza vasta e complessiva per attuare appropriate progettualità.
Un secondo periodo si situa tra gli anni '80 e '90 e vede l'affermazione di una «progettazione che si avvicina più a un concetto di design che non a quello di planning» . Si ispira quindi ad una razionalità limitata coincidente con una «planning by projects», che come nel design su concentra quindi sul «singolo manufatto».
Un terzo periodo avviato negli anni '90 coincide invece con i «i piani di impostazione «reticolare e visionaria» (Mela, 2000)10 e che si configura come «una pratica o un insieme di pratiche di mobilitazione e d'indirizzo strategico dello sviluppo, nelle quali sono coinvolti non soltanto decisori e progettisti, ma una pluralità di soggetti che portano risorse, saperi, punti di vista differenziati». (ibid.). È in questa ultima tipologia di pianificazione che la partecipazione assume maggiore rilevanza e spazio. Sono diversi gli ambiti di applicazione possibile della partecipazione nel governo della città e del territorio e che si sono nel tempo aperti.
Come ricorda l'autore si va dalle politiche ambientali, i piani per lo sviluppo sostenibile e per lo sviluppo rurale 11, alle politiche di rigenerazione urbana a scala di quartiere o di vicinato, le politiche di azione strategica di livello urbano e metropolitano, infine alle politiche
10 Come chiarisce anche l'autore l'accezione di visionaria è da intendere nei termini di una costruzione di immagini e linee progettuali in riferimento a visioni sullo stato delle cose e del futuro, ma concretamente realizzabili. A questo proposito per capire come in pratica questo approccio si traduce può essere fatto riferimento a varie metodologie ormai ampiamente usate, tra cui l'European Awarness Senario Workshop, ma anche la Future search conference che richiamo il tema dei «Futuri desiderabili». Rimandiamo awww.loci.it
per prendere visione del loro funzionamento.
settoriali di microambito all'interno delle quali trovano spazio diverse possibilità di partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche nel quadro di arene deliberative ( capitolo III).
In tutte queste applicazioni il ruolo giocato dall'Unione Europea, attraverso diversi programmi, è centrale. Ci soffermiamo quindi su alcuni passaggi centrali che ci permettono di cogliere e situare proprio quell'attenzione ai Quartieri cui abbiamo accennato all'inizio di questo paragrafo12. Il territorio infatti negli anni Novanta «viene ad assumere un posto importante nelle riflessioni politiche comunitarie, parallelamente alla definizione del principio della coesione economica e sociale quale condizione per la realizzazione di un processo di unificazione europea reale» (Sclavi et al. , 2002, p.238).
Siamo alla fine degli anni '80, precisamente nel 1988, quando nascono i Progetti Pilota Urbani (PPU), in seguito alla riforma dei Fondi strutturali, nell'ambito della quale la Commissione europea ha destinato finanziamenti ad azioni sperimentali per fronteggiare la disoccupazione, il degrado urbano e sociale, il deterioramento ambientale, la disgregazioni sociale (Sclavi et al. 2002, pp. 238–239).
Delle due generazioni di PPU– una che coincide con il periodo 1989–1993, e una con il periodo 1997–1999– la seconda è quella che in modo specifico mira a sperimentare strategie innovative per promuovere processi di sviluppo e di rigenerazione in ambito urbano. Aspetto centrale die PPU è il partenariato pubblico–privato.
È in questa cornice che nascono poi i programmi URBAN13, che tanto influenza hanno avuto in Italia nella diffusione dei processi di progettazione partecipata. Come si spiega nella Comunicazione della Commissione Europea sull'iniziativa URBAN14, approccio integrato e multidimensionale sono il nucleo centrale di questi programmi: «la problematica urbana va affrontata in forma integrata, associando la promozione dell'attività economica al miglioramento dell'infrastruttura e dell'ambiente, la formazione personalizzata alle azioni a favore delle pari opportunità e all'adeguamento die servizi sociali».
È l'adozione di uno sguardo che riconosce la complessità dei problemi, della loro interdipendenza, che mette al centro le condizioni di vita nelle città, soprattutto dei quartiere più colpiti da povertà. Non solo quindi recupero del patrimonio edilizio e infrastrutturale, ma anche azioni nell'ambito del mercato del lavoro, dell'esclusione sociale e della riqualificazione ambientale.
Ulteriore elemento centrale previsto dai programmi URBAN è quello del partenariato locale quale strumento per poter al contempo analizzare e definire le problematiche , le priorità ma anche le risorse, e monitorare. Prevedono la partecipazione di soggetti del mondo
12 La ricostruzione degli sviluppi della pianificazione urbana si basa principalmente sul libro Avventure urbane, cui rimandiamo per un approfondimento e per la lettura di un un insieme di casi interessanti che si collocano proprio nel periodo iniziale di diffusione in Italia di un approccio teso al coinvolgimento degli abitanti. 13 Una prima edizione del programma risale al 1994
economico, sociale, ONG, associazioni locali, tra le quali anche quelle ambientali. Può essere anche previsto un partenariato tra istituzioni.
In Italia il tema della riqualificazione urbana vede sempre in quegli anni una sperimentazione che si inquadra in un insieme di strumenti nuovi che prendono il nome di Programmi Complessi: i Programmi integrati di intervento, i Programmi di Recupero Urbano, i Programmi di Riqualificazione Urbana, I contratti di Quartiere e i Programmi di Riqualificazione Urbana per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio. Il riferimento comune, dal punto di vista normativo, per questo insieme di strumenti è la legge Botta–Ferrarini, che prevede che «al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio e ambientale, i Comuni promuovono la formazione di programmi integrati. Il programma integrato è caratterizzato dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziare pubbliche e private».15
Come evidenzia Sclavi (ibidem) sono quindi programmi che prevedono una ampia scala di intervento a livello urbano, l'integrazione di diverse tipologie di intervento, il ruolo centrale giocato dai Comuni come promotori e un concorso di risorse sia pubbliche che private.
Senza entrare nel merito di questi strumenti dal punto di vista «tecnico» quello che possiamo sottolineare, da un punto di vista di approccio, è che quindi tanto a livello Europeo quanto nazionale si assiste sempre più ad un'attenzione al coniugare riqualificazione fisica e sociale in ottica multidimensionale.
Un passaggio chiave in questo prospettiva si ha con i Piani di Accompagnamento Sociale (PAS) nel quadro dei Programmi di Recupero Urbano. È stato proprio il Comune di Torino a dare vita ai PAS. Il Consiglio Regionale del Piemonte aveva infatti previsto che per la formulazione dei PRU fosse preso come riferimento il programma URBAN nelle sue direttive, di conseguenza prevedendo l'impegno, da parte di tutti i soggetti che partecipano al PRU – oltre ai Comuni– «l'impegno a contrastare il disagio sociale rilevato nei quartieri popolari e a individuare le azioni e le opere necessarie a ottenere il recupero sociale, oltre che edilizio, urbanistico ed ambientale». (ibidem, p.235) Per dare sostanza a tali direttive il Comune di Torino istituì quindi i PAS, allo scopo di «identificare idonee strategie sociali di accompagnamento e ascolto sia nella fase di predisposizione che in quella di esecuzione dei Programmi di recupero urbano»16
Come ancora evidenza Sclavi (ibid.) «accompagnare», «accogliere», il dare spazio al «vissuto» dei soggetti locali e al loro «senso di insicurezza» sono gli elementi centrali di questo approccio che rende gli abitanti attori del processo stimolando e utilizzando «non solo la loro competenza di abitanti, ma anche la loro capacità concreta di fare e agire» (Delibera
15 Art. 16, L. 179/92: Norme per l'edilizia residenziale pubblica.
comunale, 24 ottobre 1996, p. 7, cit. in Sclavi).
Informazione, coinvolgimento dei soggetti locali e mediazione del conflitto sono i tre pilastri dei PAS, le cui finalità vengo ulteriormente ampliate attraverso l'avvio del Progetto Speciale Periferie (PSP)17 che si configurano come strumenti per la promozione dello sviluppo locale e per l'attivazione di forme di cooperazione con gli attori locali. Con il PSP si andava oltre le campagne di informazione o la raccolte di proposte, e «si affermava in questo modo l'esigenza di un approccio che, prendendo le mosse da uno strumento di riqualificazione di livello top, fosse in grado di riconoscere, valorizzare, rafforzare le risorse ordinarie già esistenti sul territorio, per costruire il processo a partire da esse» (p.236).
Nel 199718 si ha l'avvio dei primi Contratti di Quartiere, che segnano un ulteriore passo avanti nella direzione dell'integrazione tra interventi di tipo urbanistico-edilizio e quelli di tipo sociale. L'ambito di intervento dei Contratti di Quartiere è principalmente quello dell'edilizia residenziale pubblica per «promuovere interventi sperimentali di bioarchitettura, ecologia urbana, risparmio di risorse energetiche» (ibid.) e il loro elemento principale è il coinvolgimento di associazioni, soggetti no–profit, operatori locali, accanto ad un ruolo chiave affidato sia alla comunicazione che alla partecipazione, il cui significato viene specificato nelle Istruzioni per la predisposizione delle proposte, in cui si distingue tra:
una consultazione su progetti elaborati in forma definitiva, che limitandosi alla sola informazione non può beneficiare dei suggerimenti e delle proposte formulate dagli abitanti, e la partecipazione alla definizione dei progetti, la quale deve necessariamente avvenire nella fasi iniziali delle ipotesi progettuali, ossia quando la partecipazione esprime il massimo dei contributi per l'individuazione di soluzioni efficaci e per la costruzione positiva del consenso (ibid.)
Come nota Sclavi è proprio nella formula del «Contratto» che risiede il senso profondo, innovativo, di questo strumento: un accordo tra ente locale la popolazione del quartiere con i vari interlocutori pubblici e privati che sono disponibili ad aggiungere risorse al finanziamento statale.
Diviene chiaro come quindi le politiche urbane, di riqualificazione, che in quegli anni stavano prendendo forma in Italia attraverso questi strumenti, siano state il terreno principale di sperimentazione di processi e modalità di coinvolgimento dei cittadini e degli abitanti.
Non solo, si assiste al contempo ad un sempre più intenso intreccio dei programmi di riqualificazione urbana con quelli di sviluppo locale da una parte e di pianificazione sociale nell'ottica dello sviluppo di comunità dall'altra. Nell'insieme l'approccio che stava quindi emergendo si caratterizzava per un accento non solo sull'aspetto di ascolto e decisione, ma
17 Come specifica Scalvi (2002) nel dicembre 1997 il Consiglio Comunale di Torino delibera l'istituzione del progetto speciale Periferie– Azioni di sviluppo locale partecipato».
anche di riconoscimento di competenze e attivazione di capacità.
Infine, si passa ad una scala di intervento locale, in cui i Quartieri, non semplicemente come livello amministrativo, ma spaziale e territoriale, diventano il luogo della partecipazione dei cittadini.19
Su questo ultimo aspetto ora concentriamo la nostra attenzione, cercando di mettere in evidenza la valenza che le azioni su scala di quartiere possono assumere, i diversi significati, i ruoli affidati alla partecipazione, alle comunità. Avremo inoltre modo di approfondire tutti questi aspetti nella seconda parte relativa alla ricerca empirica, dove forniremo alcuni dati circa le esperienze realizzate a Bologna nel quadro anche di questi strumenti qui citati, e nell'ambito della rigenerazione urbana. Specifichiamo che i contributi cui facciamo rifermento, cui abbiamo già fatto cenno in precedenza, provengono per lo più dal Regno Unito, Germania e Olanda, che sono i paesi– oltre alla Francia– che come evidenzia lo stesso Tidore (2008), hanno influenzato anche molte esperienze realizzate in Italia.
Gli interventi a livello di quartiere, evidenziano Durose and Lowndes (2010, p. 342–343) si basano sull'idea che i quartieri siano una «viable, recognizable units of identity and action, and are therefore the appropriate locus for the planning and delivering of a range of services and activities» (cfr. Chaskin, 1998, p. 11), così come le agende politiche che mettono al centro il quartiere come contesto di intervento si basano sulle premessa «that people are most likely to engage with services and policy making at a very local level».
Da qui si può comprendere come le idee, le concezioni tanto di quartiere quanto di governance di quartiere, abbiano un ruolo nell'elaborazione delle politiche stesse.
Il tema della neighborhood governance può essere affrontato da diverse angolazioni e con diversi finalità, quella che a noi interessa è quella che mira a mettere luce su come essa rientri nei discorsi e nelle agende politiche, andando a definire spazi e significati della stessa partecipazione dei cittadini e definendo diversi modelli di governance urbana e disegni istituzionali. Obiettivo della nostra ricerca era analizzare la partecipazione e la collaborazione