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Capitolo V Il disegno di ricerca

2. Interpretare le pratiche

Quanto fin in sintesi tracciato ci permette di fare un ulteriore passaggio verso il piano della teoria sociale cui la ricerca empirica si ancora: «situata a mezza strada fra le scienze sociali e la filoso fia, la teoria sociale è al servizio della ricerca empirica e da questa può essere in fluenzata», essa infatti è «l'insieme dei presupposti che, debitamente esplicitati, rendono la ricerca empirica consapevole dei propri limiti e delle proprie condizioni, costituendone l'intelaiatura concettuale» ( ibidem, p. 288).

Nel suo ormai celebre lavoro «The constitution of society» A. Giddens (1984, trad. it. 1990, p. 4), afferma la necessità di superare la dicotomia e la contrapposizione esistente tra funzionalismo e strutturalismo da un parte ed ermeneutica e sociologia interpretativa dall'altra:

se le sociologie interpretative sono fondate, per così dire, sull'imperialismo del soggetto, il funzionalismo e lo strutturalismo propongono un imperialismo dell'oggetto sociale. Una delle mie principali ambizioni, nel formulare la teoria della strutturazione, è quella di mettere fine a questi tentativi di espansione imperiale. Secondo tale teoria il principale campo di studi delle scienze sociali non è né l'esperienza dell'attore singolo né l'esistenza di una qualsiasi forma di totalità sociale, ma un insieme di pratiche sociali ordinate nello spazio e nel tempo.

La ricerca qui presentata è in sintesi tesa proprio all'interpretazione delle pratiche. Vicina quindi ad un paradigma interpretativista che riconosce l'importazione dell'attribuzione di signi ficato nel dare forma alla realtà stessa, nel quadro di un processo di costruzione sociale, e del comprendere i mondi sociali vissuti dai soggetti che sono parte dell'indagine, allo stesso tempo assume come unità di analisi non gli individui e le azioni individuali o la struttura sociale, ma le pratiche.

Negli ultimi venti anni la teoria della pratica (Bordieu, 1972) si è sviluppata quale campo interdisciplinare e soprattuto, come lo stesso titolo dell'opera di T. Schatzki ( 2001) evidenzia – The practice turn in Contemporary Theory – pare segnare una s fida al modo di pensare la vita umana e il vivere sociale:

practice approach thereby oppose numerous current and recent path of thinking, including intellectualism, representationalism, individualism (e.g.Rational choice theory, methodological individualism, network analysis), structuralism, structure-functionalism, systems theory, semiotics, and many strains of humanism and poststructuralism (pp.1-2)

Pur non esistendo un unitario approccio alle pratiche i diversi contributi disciplinari convergono nell'assumere che «such phenomena as knowledge, meaning, human activity, science, power, language, social institutions, and historical transformation occur within and are aspects or components of the field of practices.» (ibidem, p.2).

L'approccio delle pratiche racchiude- ed è de finito da- quelle analisi che considerano «the field of practice as the place to study the nature and transformation of their subject matter» (ibid.)

Cone nota Jedloswki (2012, p. 297) il termine pratiche «è meno ancorato all'idea di un comportamento irri flesso, e permette di riconoscere che, agendo, i soggetti mettono in gioco anche conoscenze e ri flessività, imparando dall'esperienza ed essendo capaci di innovazioni».

Più che, quindi, da intendere nella formulazione di «senso comune», le pratiche «sono manifestazione di quello che Bordieu chiama un «senso pratico»». Sono pertanto «modi di fare a cui è legata una certa comprensione della realtà, che includono conoscenze esplicite e implicite a un certo habitus e relative al campo entro cui il soggetto si muove» (ibidem, pp. 297-298)

Il campo (Bourdieu) è «quell'area della vita sociale caratterizzata dalla condizione fra un certo numero di attori di determinati interessi, dalla presenza di certe posizioni reciproche, certe pratiche, certe regole e certi rapporti di forza» (ibidem, p. 295), soprattuto « è la ricerca empirica che lo porta alla luce» (ibid.).

Questi concetti fanno da sfondo al discorso di Giddens, il quale sottolinea ulteriormente, nella comprensione delle pratiche, quale punto di giunzione tra struttura e azione, ed entro cui

vengono ricorsivamente riprodotti gli assetti istituzionali, «conservando la possibilità di mutarli- intenzionalmente o meno- attraverso nuove interpretazioni dei loro signi ficati o nuovi modi di agire» (ibidem, p.288). In ciò è essenziale l'elemento della conoscenza della ri flessività, così come quello della scelta e della responsabilità. Elementi che, come abbiamo visto nel primo capitolo, emergono con forza e si impongono nel nostro quotidiano all'interno di una modernità radicale (Giddens, 1990).

Portandoci in direzione del nostro oggetto di indagine, un contributo che ci viene incontro, per meglio comprendere l'impostazione che abbiamo seguito e come si può intendere in questa ricerca l'analisi delle pratiche, è quello di Crosta (2007), il quale ancora le pratiche come approccio di ricerca alla costruzione di «pubblico» come «prove» di democrazia. Punto di partenza è che la democrazia è solo «provandola», facendone uso, quindi, che la si può imparare (capitolo II). È quindi non data a propri, ma frutto di un processo, quest'ultimo in particolare in quanto processo di «costruzione di pubblico», che possono essere intesi anche come processi di «costruzione della democrazia». Rimandiamo al capitolo l'analisi di cosa si intende per processo di costituzione di pubblico, qui il passaggio ulteriore è quello di considerare le pratiche come «pratiche di pubblico», ossia le pratiche come interazione a causa delle quali si ha pubblico, quindi come «modi di fare collettivi».

La pratica è collettiva non in quanto somma di singole azioni tra loro coordinate, ma «perché si costruisce attraverso una serie di interazioni nelle quali e causa delle quali un insieme di agenti.. si combinano tra loro, aggiustandosi l'un l'altro, formando una rete di relazioni, e acquisendo identità e signi ficato in quanto partecipi della pratica- e non indipendentemente da essa. (p. 68).

Ulteriore passaggio che dobbiamo chiarire qui è l'importanza che diamo nella nostra ricerca a ciò che Cefai (2007) ben chiarisce come dimensione di «prossimità» (corsivo nostro):

Cefai contesta che la con figurazione della cosa pubblica si faccia in uno spazio decontestualizzato, per via di argomentazioni razionali o ragionevoli. Critica anche il fatto che l'analisi dei dispositivi dell'azione pubblica tende a slittare troppo rapidamente su principi e procedure posti in essere dalle agenzie pubbliche o, al massimo da fori di partecipazione e deliberazione. E sostenente che si deve invece tener conto di come la de finizione e la realizzazione del bene pubblico sono «ancorate» ai contesti dell'esperienza e dell'attività dei comuni cittadini, così come risultano caratterizzati dai tipi di di situazioni problematiche con le quali si confrontano nella loro vita quotidiana (Crosta 2007, p.65)

Andando verso il piano operativo della ricerca dobbiamo in fine chiarire, in vista del prossimo paragrafo, che ciò che quindi abbiamo analizzato, sono come già detto dei campi di pratiche, e aggiungiamo ora, in coerenza con l'intento esplorativo, sono considerate più che come casi di

studio nei termini di «esempi, o come dimostrazioni dell'ipotesi di ricerca, sono piuttosto intese come «storie da interrogare» (Crosta 2007, p. 47). Le storie infatti in quanto narrazioni «esibiscono una spiegazione anziché una dimostrazione» (Polkinghorne, cit. da Czarniawska 2000, p. 27, in Crosta ibidem, p.48)

In tal senso quindi accanto al termine «casi di studio», usiamo spesso come termini, «campo di partitiche», «storie» e «circostanze», poiché più vicini al nostro approccio di indagine.