Partecipazione e cittadinanza attiva a Bologna e nel Quartiere San Donato Politiche e contesti istituzionali.
2. La partecipazione si struttura Legge Regionale 3/2010, genesi e applicazione nel Comune di Bologna
Passaggio decisivo sia dal punto di vista della promozione che della strutturazione della partecipazione si ha certamente con la la Legge Regionale 3/2010 «Norme per la de finizione, riordino e promozione delle procedure di consultazione e partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali». La Regione Emilia-Romagna è la seconda dopo la Toscana ad avere elaborato ed adottato una Legge che tenta di disciplinare una materia così complessa. Prima della promulgazione della Legge la Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna aveva, nel 2008, dato vita all’Osservatorio della Partecipazione. Come si può rilevare nel sito di riferimento, l'obiettivo è stato fin dall'inizio quello di dare vita ad «uno strumento in grado di assicurare una ricognizione costante delle esperienze diffuse sul territorio a fini conoscitivi, di analisi e di interazione/confronto dei diversi attori regionali.» L’Osservatorio della Partecipazione si è poi dotato di uno spazio web nel quale sono rinvenibili tutti i dati sulle esperienze partecipative, rispondendo in tal modo anche alle esigenze informative e di comunicazione che la Legge prevede.
Nel 2011 ulteriore tappa in vista di una messa in visibilità delle esperienze ha messo in rete una mappa georeferenziata delle esperienze che potenzia il sistema di ricognizione e di rappresentazione dei casi. In seguito all’evoluzione complessiva della politica regionale sulla partecipazione, di cui si dà ampio conto nella Delibera dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 77 del 5 giugno 2012, l'Osservatorio si con figura sempre più come strumento a supporto delle decisioni della Regione (Giunta ed Assemblea Legislativa), sia uno strumento di conoscenza per gli Enti Locali, che intendono attivare processi partecipativi, o per i cittadini e le loro aggregazioni, che possono così trovare informazioni ed interagire sulle politiche partecipative (complessivamente intese). Sul versante della Pubblica Amministrazione, il nuovo Osservatorio è orientato alla valorizzazione dei casi di co- decisione, in ossequio alla norma della L.R. 3/2010, è inoltre «strutturato per essere velocemente adeguato alle diverse linee di sostegno regionale ed in generale dei Programmi Regionali Annuali sulla Partecipazione, delineati nelle Sessioni Annuali sulla Partecipazione dell’Assemblea Legislativa regionale» ed in fine « è concepito come strumento che consente alla Regione (Giunta ed Assemblea) di veri ficare agevolmente i processi attivati prima e dopo la L.R. 3/2010, sostenuti o meno con i contributi regionali, ecc. per poter rispondere adeguatamente alle norme che prevedono forme di valutazione e monitoraggio dell’attuazione della politica regionale, anche dal punto di vista dell’impatto territoriale dei processi partecipati». 82.
82 Si rimanda al sito per avere una visione aggiornata dei diversi progetti realizzati ed in corso. Quello che a noi interessa qui è vedere la sua applicazione a Bologna, e più nello specifico nel quartiere contesto di riferimento della nostra ricerca e rilevare quello che è un indirizzo politico, e il framing della partecipazione.
Prima di vedere come nel contesto bolognese la Legge ha trovato traduzione- in quali progetti e prospettive- vogliamo richiamare prima alcuni importanti aspetti legati alla sua nascita e ad una lettura dei principi di fondo che danno forma all'idea di processo partecipativo.
Lo faremo grazie alla ricostruzione operata tramite sia, chiaramente, il testo della Legge, sia l'intervista a chi all'epoca aveva ricoperto un importante ruolo, in qualità di Tecnico di garanzia in materia di partecipazione designato, ai sensi dell’art.8 della l.r. 3/2010, dal Presidente dell’Assemblea legislativa il 17 novembre 2010, in quanto Direttore generale dell’Assemblea Legislativa. Chi abbiamo intervistato ci ha anche concesso delle note di lavoro, quali ri flessione del lavoro svolto. Come tali vanno considerate a completamento dell'intervista, non come documento uf ficiale- ad esempio delibere, atti, linee di programma o simili.
Un primo aspetto per comprendere la genesi della Legge riguarda proprio il ruolo del Tecnico di garanzia, perché e come è stato previsto:
bisogna spiegare una peculiarità della Legge Regionale, che prevede che il tecnico di garanzia è un dirigente dell'Assemblea legislativa, un dirigente in servizio, e quindi è con figurato come un incarico, aggiuntivo e non esclusivo, anche se questa è una mia interpretazione, non è scritto nella legge. Sicuramente però, nella legge c'è una scelta che è quella di non costruire un'autorità indipendente come è stato per la Regione Toscana..» 83Avendo scelto di non costituire un'autorità alla fine la scelta è
stata quella di avere un tecnico di garanzia incardinato dentro la struttura ordinaria della Regione, dell'Assemblea Legislativa. Perché allora si è scelto di af fidare questo incarico, al Direttore generale? Non solo per motivi economici, perché era un incarico gratuito, ma perché si è scelto sulla base di un ragionamento informale, basato su come si sarebbe comportata la giunta nell'ambito della costituzione del Nucleo Tecnico di Integrazione, perché c'era questo nucleo tecnico composto da me, dal dirigente della giunta che avrebbe dovuto occuparsi di questo tema, in particolare del bando per l'erogazione dei contributi, poi da due rappresentanti degli enti locali , uno per i comuni e uno per le province. Avendo scelto la giunta di non confondere, secondo proprio una impostazione che credo anche corretta, l'attività di partecipazione con attività precedenti che aveva svolto, che erano più nel campo della comunicazione, della rendicontazione sociale, insomma era quell'approccio un poco didattico e consuntivo che si voleva superare, allora si è dato un segno chiaro, cioè ci si è messo nel Nucleo Tecnico di Integrazione il Dirigente degli Affari Legislativi, che è un ente che ha come attività principale quella di legiferare con competenze esclusive su una serie di materie, ma quindi era un segnale forte, cioè il segnale era che la partecipazione non stava nell'ambito delle politiche comunicative della regione, ma stava nell'ambito delle politiche, della produzione legislativa, si voleva
Nel sito si possono rilevare report di attività che danno un quadro di sintesi. Va specificato che tuttavia una corretta lettura interessata a capire gli ambiti prevalenti dei progetti, deve tenere conto del bando cui ogni progetto si riferisce, poiché ogni anno il bando indica diversi settori prioritari cui applicare. Www.osservatoriopartecipazioner.ervet.it
83 Sull'analisi della Legge e dell'esperienza toscana si veda: e per un approfondimento compartiva tra la legge emiliano romagnola e quella toscana a: Mengozzi 2011; Floridia 2013.
collegarlo a quello, valorialmente. Colpo di fortuna è stato che il Direttore generale avesse causalmente sviluppato, una esperienza di studio e di lavoro precedente tale da non de finirlo con competenze sui temi della partecipazione, però da avere le basi culturali per capire e costruire. (L. Precedente Tecnico di garanzia e Direttore Generale Assemblea legislativa ER)
Una scelta quindi politica, di indirizzo, che voleva il tema della partecipazione ben de finito come attività speci fica, non confusa con altro tipo di attività e dotata di «peso politico», ma allo stesso tempo non «politicizzata»: «la scelta di un dirigente interno, voleva anche evitare la eccessiva politicizzazione del ruolo»
Per completare il quadro di lettura della genesi della Legge va preso in considerazione in fine un altro elemento di contesto:
La legge è nata nell'ambito di un processo di concertazione politica immediatamente precedente le elezioni.. È entrata nel processo di contrattazione politica che serviva a costruire una nuova coalizione. Nulla di male, non chiedevano mica soldi per sé, quando si contratta sui temi va bene. Si era chiesto quindi che la partecipazione fosse un elemento del mandato successivo, e quindi questa legge suggellava in qualche modo questo accordo, quindi venne approvata in quel modo...e in un processo di contrattazione, è venuto fuori un testo che da un punto di vista giuridico apprezzabile, ma non coordinatissimo, per cui non usciva fuori con grande chiarezza il modello organizzativo, ma questa è stata la genesi della Legge. Quindi frutto di un processo di contrattazione politica, nata alla scadenza di una legislatura, quindi con un onere caricato sui soggetti che venivano dopo questa piccola anomalia, cioè i soggetti che sono venuti dopo non erano quelli che avevano fatto la legge, un lascito da realizzare quindi e con alcune sconnessioni dal punto di vista giuridico e organizzativo, con elementi di non enorme chiarezza. Questa legge poi ha giaciuto per un annetto, dopo di nuovo si è rimessa in moto la politica, qui c'è una legge, ha nominato il tecnico etc. (L. Precedente Tecnico di garanzia e Direttore Generale Assemblea legislativa ER)
Vediamo i tratti salienti della Legge dal punto di vista di come vengono de finiti i processi partecipativi, i soggetti, nonché i tempi e i criteri considerati di qualità.
L'art.10 de finisce il processo partecipativo in tre passaggi fondamentali: organizzazione del confronto, accordo come esito di una negoziazione, e la chiara connessione della partecipazione alla elaborazione di progetti e norme: «un percorso di discussione organizzata che viene avviato in riferimento ad un progetto futuro o ad una futura norma di competenza delle Assemblee elettive o delle Giunte, regionali o locali, in vista della sua elaborazione, mettendo in comunicazione attori e istituzioni, al fine di ottenere la completa rappresentazione delle posizioni, degli interessi o dei bisogni sulla questione, nonché di giungere ad una mediazione o negoziazione, ricercando un accordo delle parti coinvolte sulla questione oggetto degli atti in discussione.»
associazioni e le imprese che siano destinatari, singolarmente o collettivamente, delle scelte contenute in un atto regionale o locale di piani ficazione strategica, generale o settoriale, o di atti progettuali e di attuazione in ogni campo di competenza regionale, sia diretta che concorrente. Lo stesso diritto di partecipazione è riconosciuto anche nel caso in cui la Regione e gli enti locali debbano esprimere pareri non meramente tecnici nei confronti di opere pubbliche nazionali.
L'art.11 de finisce invece l' oggetto del processo partecipativo in questi termini, ossia sono i progetti, atti normativi o procedure amministrative nella loro interezza, o una loro parte. Possono andare anche oltre le loro disposizioni se riguardanti progetti, iniziative o scelte pubbliche sui quali la Regione o gli enti locali non hanno ancora avviato alcun procedimento amministrativo o assunto un atto de finitivo. Per quanto riguarda invece i soggetti che possono proporre l’avvio di processi partecipativi sostenuti economicamente dalla Regione (art.5) è previsto che, oltre alla Giunta o Assemblea legislativa, agli Enti locali, anche in forma associata, e loro circoscrizioni, sono previsti anche altri soggetti pubblici e privati, purché abbiano ottenuto l'adesione formale di almeno uno dei soggetti prima citati, in quanto titolare della decisione amministrativa pubblica collegata al processo. Aspetto centrale che legge de finisce in tal senso è che i soggetti proponenti e aderenti si impegnano a sospendere ogni atto tecnico o amministrativo che possa pregiudicare l'esito del processo proposto (art.12). Vengono inoltre de finiti dei criteri di qualità tecnica (art.13), in particolare:
• la sollecitazione delle realtà sociali, organizzate o meno, del territorio in questione, a qualunque titolo potenzialmente interessate dal procedimento in discussione, con particolare attenzione alle differenze di genere, di abilità, di età, di lingua e di cultura
• l'inclusione, immediatamente dopo le prime fasi del processo, di eventuali nuovi soggetti sociali, organizzati in associazioni o comitati, sorti conseguentemente all'attivazione del processo;
• un tavolo di negoziazione, sin dalle prime fasi, con i principali soggetti organizzati che si sono dichiarati interessati al processo;
• metodi per la mediazione delle eventuali divergenze e di veri fica di eventuali accordi tra i soggetti partecipanti, anche attraverso l'implementazione di strumenti di democrazia diretta, nel rispetto degli statuti degli enti interessati, o partecipativa e deliberativa;
• la documentazione dei progetti e dei relativi processi deve essere accessibile via web dal sito del tecnico di garanzia e, per progetti superiori ai 20.000 euro di contributo regionale, anche attraverso pagine web dedicate appositamente alla comunicazione del processo.
I tempi del processo partecipativo (art.11) non possono avere una durata superiore a sei mesi. Il prodotto del processo partecipativo è de finito, tramite un accordo, come documento di proposta partecipata (art.10) approvato dal tavolo di negoziazione di cui le autorità decisionali
si impegnano a tener conto nelle loro deliberazioni.
Con atto deliberativo le istituzioni danno conto del procedimento e dell'accoglimento di tutte o di parte delle proposte contenute nel documento di proposta partecipata. Qualora le delibere si discostino dal documento di proposta partecipata le autorità decisionali devono darne esplicita motivazione nel provvedimento stesso (art.16). L'ente responsabile della decisione istituzionale da assumere, valutata la proposta partecipata, non ha obbligo alcuno e può decidere di recepire, in tutto o in parte, le conclusioni del procedimento partecipativo o di non recepirle. È comunque tenuto a una comunicazione pubblica con ampia rilevanza e precisione, anche per via telematica, che esponga le motivazioni delle proprie decisioni, soprattutto nel caso in cui esse siano diverse dalle conclusioni del procedimento partecipativo. L'impianto generale della Legge è quindi da leggere nella prospettiva della democrazia deliberativa (capitolo III) e pone al centro alcuni elementi fondamentali.
In primo luogo la messa in connessione della partecipazione e deliberazione come metodo per di confronto e per produrre decisioni che tengano conto di più punti di vista, bisogni e interessi. Questa aspetto va messo in connessione con la decisione di dare un termine temporale al processo, nell'arco cioè di sei mesi rinnovabile al massimo per dodici mesi. In questa prospettiva si può evidenziare che si rende dif ficile, dato il limite temporale, immaginare di ricomprendere qui quel complesso lavoro, che richiede tempi più lunghi, di sviluppo di comunità, di cura delle relazioni. A questo proposito chi abbiamo intervistato chiarisce che:
Uno degli elementi che rendeva ostica l'approvazione della legge era che la partecipazione in alcuni contesti potesse essere una tattica dilatoria. Noi abbiamo già un pubblica amministrazione che non brilla per velocità, se ci metti anche una partecipazione a tempo indeterminato...processi di due tre quatto anni, non sono processi partecipativi, sono processi di tipo assembleare, consultivo, e dato che non si voleva, forse una scelta un poco radicale, ma non si voleva confondere, devo dire che abbiamo un poco spinto su questo pedale, si è stressato il legame della partecipazione con la decisione dicendo però alla fine è un legame, al di là delle forme che abbiamo trovato, fondamentale perché si parli di partecipazione. Questa è una convinzione che ho mantenuto, se non c'è accesso alla decisione, non c'è partecipazione. Un cittadino vuole poter in fluenzare in modo evidente, non solo culturalmente le decisioni finali, ma anche nelle decisioni operative. Abbiamo quindi stressato questo aspetto tanto che abbiamo previsto che i risultati del processo partecipativo con fluissero anche in atti dell'amministrazione, perché altrimenti si creano due mondi paralleli, l'amministrazione fa i suoi atti, poi c'è un gruppo di anime belle che si occupa dei cittadini, del capitale sociale e intanto l'amministrazione fa i suoi atti. Tu o rompi questa barriera o altrimenti rischi, anche in buona fede di fare un operazione solo culturale o manipolatoria. Insomma c'era la preoccupazione che non si trattasse solo di un'operazione culturale, ma che si incardinasse poi anche nell'amministrazione. Non è una sottovalutazione del tema del capitale sociale, ma serviva anche a fare diventare la partecipazione una procedura in cui chi ha un atteggiamento puramente oppositivo viene s fidato. (L. Precedente
Tecnico di garanzia e Direttore Generale Assemblea legislativa ER)
Proprio il tema dell'opposizione richiama un secondo tema centrale della Legge: la partecipazione come luogo possibile di gestione dei con flitti, in cui vige la regola della «porta aperta» o come spesso viene messo in evidenza rispetto a molte metodologie impiegate nella facilitazione di processi partecipativi (capitolo III) «l'avere il mondo in una stanza». Su questo aspetto chi abbiamo intervistato evidenzia infatti:
questo tema [della partecipazione del con flitto] era s fidante, finché non ha un metodo, una struttura, ognuno racconta la sua verità. La partecipazione fatta in modo metodologicamente corretto, s fida chi fa il gioco dell'opposizione a tutto e a tutti costi, cioè se decidi di avviare un processo che sia inclusivo, metti in crisi chi non si vuole mai sedere con te perché ha già una verità precostituita.
Deve essere quindi s fidante anche in questo senso. Devi togliere a queste persone l'alibi che gli consente di dire non mi siedo perché tanto quella è in azione manipolativa, dove il decidi comunque tu. Le regole invece si determinano con chi si siede. Devi però avere anche una rappresentatività, in senso lato, quindi apertura, le regole si costruiscono assieme. Ti costruisci un campo strutturato di regole con la tua partecipazione. Non è che ti chiami fuori perché il campo strutturato di regole lo ha costruito qualcun altro e il campo è truccato. Ecco il tema della rappresentatività, si ci può andare un singolo cittadino, ma in qualche modo poi ci si deve pesare nella presa di decisioni. Quindi il punto era avere quel tasso di apertura e collegamento con i processi decisionali che consentisse agli oppositori sempre e comunque di non chiamarsi fuori. (L. Precedente Tecnico di garanzia e Direttore Generale Assemblea legislativa ER)
Un terzo elemento è relativo all'impostazione ampia in termini di indicazioni metodologiche, che in qualche modo contrasta l'idea di una partecipazione «tecnicizzata», dove cioè la struttura, e la cura del processo è fondamentale e la salvaguardia di alcuni principi di fondo, non tanto l'utilizzo di singole speci fiche tecniche:
Ho sempre sostenuto che uno degli elementi positivi della legge è che non diceva che tecnica andava usata...La mia neutralità tecnica e la struttura della Legge ha favorito questo approccio ...che tu facessi il Town meeting, o altro, per una scelta tua lo strumento, però qualsiasi fosse lo strumento dovevi salvaguardare alcuni elementi e principi.
Dall'esperienza di due anni dalla Legge, chi abbiamo intervistato ha ricavato alcuni ri flessioni, che dicevamo sono state condivise tramite delle note di lavoro. A questo proposito riportiamo alcuni passaggi signi ficativi:
L’esperienza dal basso suggerisce alcuni semplici cautele. Innanzitutto - ed è la scelta della Regione Emilia-Romagna, alla base dell’applicazione della sua legge in materia, la l.r. n. 3/2010 - la ricchezza di strumenti e tecniche, più o meno formalizzate e disponibili, deve costituire uno stimolo
alla libertà intellettuale di chi avvia processi partecipativi e non la scelta di abbracciare una fede alla quale votarsi ciecamente. In altri termini, un processo partecipativo è vero non perché si rispettano i dettami di uno speci fico metodo, ma in quanto possiede alcuni necessari requisiti tecnici, elencati all’art. 13 della legge citata, e che in sintesi sono: apertura a tutti i soggetti individuali o collettivi potenzialmente interessati e alle «sub-culture» presenti in una comunità; capacità di inclusione di ulteriori soggetti anche a processo avviato; istituzione formale di un luogo deputato alla negoziazione durante il processo; utilizzo di metodi di mediazione; informazione e documentazione ampia e accessibile via web. Se questi requisiti minimi sono rispettati con l’una o l’altra tecnica, è – a mio avviso – inin fluente. Quanto rileva, invece, è che facciamo nostro ciò che i criteri appena elencati vogliono signi ficare, ovvero la concreta ed effettiva attitudine a un processo partecipativo aperto nei suoi esiti, e non affetto da vizi manipolatori.La posizione esposta non può naturalmente essere banalizzata fino a postulare l’insigni ficanza delle metodologie. Le metodologie sono importanti e siamo in possesso di un corpus di teorie, tecniche ed esperienze di straordinaria qualità e in continua crescita. Dobbiamo disporre di un doppia capacità visuale: la visione quali ficata e tecnicamente complessa degli strumenti deve coniugarsi a una visione alta e d’insieme delle questioni sociali sulle quali vogliamo intervenire. Se manca una delle due, scadiamo nel tecnicismo o nel velleitarismo sociale. (L. Precedente Tecnico di garanzia e Direttore Generale Assemblea Legislativa ER)
2.1 Il progetto Sussidiarietà e partecipazione: comunità, relazioni, e beni comuni
Sul tema della promozione della partecipazione il Comune di Bologna- all'interno del settore Affari Istituzionali- ha avviato il Progetto sussidiarietà e partecipazione, che ha realizzato nel quadro della Legge regionale, per il triennio 2012-201484, ( finanziati tramite del bando regionale e certi ficati) due progetti di partecipazione pubblica. Il primo è Boxtutti,