Azioni civiche collettive e amministrazione condivisa Un quadro interpretativo verso la ricerca empirica.
2. Cittadinanza attiva e responsabile tra impegno quotidiano e azione collettiva individualizzata
Accanto alla lettura appena proposta che inquadra l'emergere di nuove cittadinanze da un punto di vista «evolutivo» e storico, pur intrecciato con i mutamenti imposti dalla globalizzazione, riteniamo di poter elaborare un ulteriore sguardo che, ancorandosi a quanto trattato nel primo capitolo, ci consente di cogliere alcune dimensioni in gioco signi ficative per leggere le pratiche partecipative e di attivazione dei cittadini.
Alla fine del primo capitolo avevamo evidenziato come da una parte il processo di individualizzazione descritto da Beck, legandosi ad una «self- responsibility» secondo il motto «your own life, your own failure», de finisse una responsabilizzazione individuale che va di pari passo con «l'obbligo all'agire», al gestire attivamente la propria vita, all'auto- determinazione, ma dall'altra parte abbiamo visto come, in un contesto in cui sempre più questioni irrompono nelle nostre vite e sfere private, ci troviamo a dovere e potere costantemente ri flettere e decidere rispetto ad un sempre più crescente numero di temi. Da qui l'emergere di quei processi di politicizzazione della vita e di una sub-politica attiva che si innesta su una possibilità di autonomia e presa di decisione che trascende la sfera politica ortodossa.
Questo insieme di ri flessioni, ora sintetizzate, pongono in luce, avevamo già evidenziato, alcuni temi: quello della responsabilità, del rapporto tra sfera privata e pubblica, così come il mutamento dei con fini tra politico- non politico.
Possiamo analizzare queste cruciali dimensioni attraverso alcuni contributi di analisi a cavallo tra la sociologia e la scienza politica. Nello speci fico alcune ri flessioni che hanno contribuito a concettualizzare ed analizzare le esperienze e le forme di consumerismo politico, paiono, ai fini del nostro lavoro, particolarmente utili.
Paltrinieri (2012), rifacendosi a Micheletti (2010), evidenzia come le numerose esperienze di political consumerism, vadano lette proprio attraverso l'insieme delle ri flessioni prodotte circa la società del rischio, i processi di individualizzazione e la sub politica, quali forme emergenti di partecipazione politica, e sulle quali la scienza politologica non ha ri flettuto adeguatamente. Da qui la necessità «di formulare un fondamento teorico a partire dalle scienze sociali. In tal senso va ripensato l'idealtipo dell'azione collettiva individualizzata che è il frutto delle ri flessioni che le scienze sociali hanno prodotto in merito alla società del rischio, al processo di individualizzazione e di responsabilizzazione, alla centralità del consumo [...] La partecipazione politica nella società della tarda modernità, riferendosi a Beck, è azione collettiva individualizzata » (Paltrineiri 2012, p. 128). Concetto, quest'ultimo, che Micheletti (2010, p. 49) de finisce come « un'azione stimolata e creata dai cittadini» e che si differenzia dall'azione collettiva collettivistica, in quanto quest'ultima si basa su strutture e procedure consolidate e si sviluppa attraverso «la sedimentazione e l'organizzazione di interessi in sedi localizzate sul territorio» (Paltrineiri 2012, p. 129) e tramite una delega della responsabilità politica ai leader delle organizzazioni. Al contrario l'azione collettiva individualizzata presuppone assunzione di responsabilità, auto-ri flessività e attivismo quotidiano.
Questo tipo di azioni lasciano «impronte ecologiche, etiche e pubbliche» e la consapevolezza di questa in fluenza «implica il riconoscimento del fatto che le azioni quotidiane dei cittadini hanno il potere di ristrutturare la società. Il signi ficato di auto- ri flessività è questo» (Micheletti 2010, p.45, in Paltrinieri 2012, p. 129).
Pellizzoni (2007, p.103) evidenzia che il consumerismo politico, costituisce un fenomeno peculiare quando si manifesta come azione collettiva individualizzata, ossia «Nella misura in cui, cioe, esso consiste di decisioni di consumo assunte e agite individualmente, il cui effetto politico si determina per aggregazione. Il consumatore critico e un soggetto che si auto-regola. La peculiarita del Cp [Consumerismo politico] sta precisamente nel fatto che l’azione individuale acquista valenza politica senza uscire dalla sfera economica e mantenendosi su un piano rigorosamente privato. Che azioni individuali producano effetti aggregati non e una novita. Il nocciolo della questione non sta quindi nel passaggio dall’individuale al collettivo, ma nel passaggio dal privato al pubblico: il fatto che «l’interesse dei cittadini per la propria vita privata possa essere usato in modo bene fico per la societa nel suo complesso; [che] virtu orientate privatamente abbiano un ruolo pubblico da svolgere (Micheletti 2003, p.160)».
Se per un verso concordiamo nel considerare come cruciale il passaggio ad una dimensione pubblica, in linea con quella ride finizione dei con fini della politica già richiamata e con quello
scardinamento del politico- non politico, e con la politicizzazione della vita, riteniamo allo stesso tempo però che le forme di partecipazione emergenti nella seconda modernità, in cui lo stesso consumerismo politico rientra, si giochino sul complesso terreno di ricomposizione individuale e collettivo, nell'ottica di quel «pensare per sé e vivere per gli altri» e di quell'«individualismo altruista e cooperativo», il quale implica una dimensione centrale rispetto ai processi di scelta e quindi alle forme di attivazione e partecipazione: quella dell'interdipendenza (Elias 1999).
Quest'ultima implica, come nota Paltrinieri (2012) richiamando Jonas (1990), il superamento di «un'etica della convinzione, che per Kant non comprendeva la preoccupazione per le conseguenze del proprio agire, ma la coerenza con i propri principi, nella direzione di «un'etica della responsabilità», che ha invece a che fare con la capacità di operare delle scelte» (p. 131)
Troviamo qui un'intima connessione con ciò che abbiamo in precedenza richiamato rispetto al tema della fiducia attiva proposta da Giddens. Dicevamo infatti che nel contesto della società globale del rischio e di modernizzazione riflessiva, la fiducia va costantemente sostenuta e conquistata in un processo di «narratività reciproca e di apertura emotiva», dove « «l'aprirsi» all'altro è condizione necessaria per lo sviluppo di un legame stabile». (ibidem, p. 254).
Alla base di queste riflessioni riteniamo di poter scorgere l'immagine e la concettualizzazione proposta da Cassano (2004) in relazione all'homo civicus. Vale la pena riportare in proposito alcuni passaggi assai significativi:
L'insidia per la libertà degli uomini viene quindi da tutti coloro che, disponendo di un forte potere politico o economico, possono esercitarlo senza essere contrastati dalla forza associata dei cittadini più deboli. L'homo civicus è la riposta a questi poteri sociali, è l'aristocrazia delle virtù pubbliche in lotta contro le élites della politica e dell'economia. L'homo civicus non è la società civile in quanto tale, che spesso è corrosa al suo interno dal tarlo dell'individualismo, ma la società civile in quanto si associa e si occupa della cosa pubblica [...] L'esercizio della cittadinanza diventa una cerniera essenziale della società contemporanea: esso è l'unica forma attraverso la quale gli interessi comuni ritornano, senza imposizioni dall'alto, al centro dell'attenzione degli individui, la forma libera e democratica con cui si combatte l'idiotismo di massa e i suoi interessati tutori e cantori, quell'uscita dalla solitudine che è assolutamente necessaria per coloro che sono più deboli. L'homo civicus è ad uguale distanza dal suddito, che è la condizione di permanente subalternità nella quale viene posto l'uomo nello stato etico-totalitario, e dal consumatore, che è la forma che la sudditanza assume nell'era della globalizzazione. L'homo civicus non è né un suddito devoto né un giulivo consumatore, ma l'uomo capace di autogoverno... L'homo civicus vive ad uguale distanza dal Grande Fratello di Orwell, paradigma dell'oppressione totalitaria [...] La tradizione alla quale esso si appoggia è quella con cui l'Occidente può parlare a voce alta, la tradizione nella quale la libertà non ha rimosso la comunità. (pp. 28-29)
Cassano, a conclusone del libro, riporta un'esperienza sviluppatasi nel 2004 a Bari, «Città plurale», una associazione avente come obiettivo quello di promuovere la cittadinanza attiva, verso la quale politici di professione avevano mostrato un scetticismo ed una difficoltà a comprendere il perché alcuni cittadini e cittadine avessero deciso di dedicare tempo per «occuparsi della cosa pubblica», in base ad una implicita «antropologia» che si traduce in «nulla si fa per niente» ed un implicito «che cosa volete» che richiama calcoli e tornaconti nascosti.
A tale proposito egli evidenzia che per comprendere esperienze di questo tipo sia necessario comprendere che cosa voglia dire associarsi. Se, sottolinea, molti analisti leggono le associazioni come «una sorta di contratto razionale tra cittadini che convergono su alcuni scopi» in realtà questo è solo, possiamo dire, l'aspetto più visibile, mentre assieme al progetto razionale vi sono altre spinte che possono andare dal bisogno di socialità a quello di rendersi utili, reazioni a ingiustizie, incentivi personali, dalla stima alla visibilità, ma tra queste ragioni Cassano chiama in causa anche un «po' di sana follia, la scommessa di essere capaci di rompere quella forza di gravità che fa ruotare tutto intorno al potere e al proprio «particulare»» (ibidem, p.158). L'homo civicus è quindi il superamento dell'homo psycologicus e di quello oeconomicus (Cesareo, Vaccarini 2006) e ricompone libertà e responsabilità41 assieme.
In questa prospettiva parlare di etica della responsabilità e di elaborazione di scelte basate su un processo di auto-riflessività permette di riformulare una declinazione di cittadinanza che non si esaurisce nella «sola» intitolazione di diritti e doveri, ma che ingloba anche una capacità di agire e un'ulteriore dimensione, quella relazionale (Donati 2000), che fa si che si possa concepire e vivere la cittadinanza non come «una situazione di fatto, basata sulla logica della inclusione e della esclusione, ma un processo universale nel quale, il soggetto che acquisisce beni e sviluppa capacità di agire non potrà dirsi cittadino se non viene a sentirsi, a sua volta, implicato in una dinamica relazionale che susciti cittadinanza» (Paltrinieri 2012, p. 135, cfr. Orsi 2003, p.27).
Si tratta in questa prospettiva di una cittadinanza responsabile (Giaccardi e Magatti 2003) propria di quella società globale e individualizzata, nella quale l'individualismo altruistico e cooperativo (capitolo I) «contemplando reciprocità e mutuo riconoscimento, è figlio della contingenza42 ed è soprattutto l'esito di quella ricomposizione a cui siamo costantemente
«chiamati» nel nostro peregrinare tra sistemi di funzione altamente differenziati, ognuno con codici e logiche, repertori e retoriche tra loro contrastanti» (Paltrinieri 2010, p. 77, in
41 Il riferimento qui è all'accezione di Weber (1961) per cui responsabilità è un «rispondere a», che implica una relazione verso colui nei confronti del quale ci si assume la responsabilità (Paltrinieri, in Parmigiani 2010) 42 Nostro corsivo. La contingenza qui può essere letta e mesa proficuamente in connessione con quanto
abbiamo messo in evidenza nel terzo capitolo rispetto ai diversi assunti con cui la PA può agire rispetto all promozione dell'interesse generale, appunto come frutto della contingenza
Parmigiani 2010). La ricomposizione cui siamo chiamati, come già ampiamente evidenziato nel primo capitolo è quindi, in definitiva, una questione di «costruzione di senso» e pertanto di un «passaggio da una condizione del dato per scontato alla condizione esistenziale della scelta». In una condizione di questo tipo il dubbio e l'incertezza «non sono incidenti di percorso, ma la condizione stabile delle nostre esistenze» 43(ibid.). Il dover discernere costantemente porta con sé un valutare le conseguenze delle proprie scelte, le quali diventano consapevoli (Sachcs 2012), pena una consapevole irresponsabilità (Musarò 2008).
La cittadinanza responsabile, nota Paltrinieri (ibidem, p.83) richiamando Magatti (2003), consente di alimentare la proattività dei soggetti che implica la disponibilità dei cittadini di ricreare le condizioni della propria convivenza, di radicare la pratica della democrazia attraverso processi di sussidiarietà, pluralizzando i centri di potere.
Osservare l'attivazione l'impegno dei cittadini da questa angolazione permette di ripensare la responsabilità da individuale a condivisa basata su fiducia e reciprocità, la quale, ad un livello «macro» può tradursi in forme di governance collaborativa (capitolo II).
Si tratta cioè di responsabilità sociali che non sono frutto di un dovere morale, ma sono invece ricomposte nel quadro di una reciprocità e di una fiducia attiva. Su questa base è possibile, evidenzia Paltrinieri (2012) elaborare un paradigma che metta al centro una concetto di responsabilità come responsabilità sociale condivisa (Davis, 2011; Paltrinieri 2012), dove la dimensione centrale è quella dell'interdipendenza: «In narrating and providing evidence for many ways in which we are all interdependent, the concept of shared social responsibility provides a momentous opportunity to (re) priorities the «we» aspect of our daily lives in the ever more important drive for social cohesion throughout Europe and beyond» (Davis, p.112)
L'insieme delle riflessione che qui abbiamo tracciato hanno al fondo, chiaramente, un tema cruciale, che è proprio del dibattito sulla partecipazione nelle sue diverse forme: quello del capitale sociale, il quale si intreccia con i diversi studi sul tema della cultura civica. Torneremo su questi aspetti più avanti44, dopo avere affrontato altri due contribui che ci portano sul piano delle pratiche e delle tipologie di azione che possono a nostro avviso essere situati nel quadro complessivo di quanto abbiamo dibattuto in questi primi due paragrafi.
43 Riteniamo qui di poter ricucire assieme un filo rosso che lega la dimensione del dubbio e dell'incertezza con quelle discrepanze di cui parla Beck (cap.1) nelle quale si aprono anche delle possibilità, ed anche con quanto discusso nel secondo capitolo rispetto al tema dell'improvvisazione e della sperimentazione, e nel capitolo terzo rispetto all'ascolto attivo e quei principi che chiariscono il senso profondo di processi partecipativi che si ripropongono di «discutere l'incerto» (Pellizzoni), e per le amministrazioni a «lasciarsi sorprendere» (Bobbio).
44 Chiariamo in ogni caso che non è nostro intento qui dibattere e fare una disamina delle diverse prospettive di analisi del capitale sociale, concetto di fondo della sociologia, tanto quello della comunità. Questi temi verranno affrontati direttamente nella seconda parte del lavoro in connessione diretta con l'analisi delle pratiche e viene richiamato in questo capitolo nello specifico dei contributi che vengono da noi trattati.