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Co-costruire un nuovo tipo di sapere

Il posizionamento dell’opera

3. La ricerca/formazione per gestire la complessità

3.3. La Ricerca Collaborativa

3.3.4. Co-costruire un nuovo tipo di sapere

Quale sapere risulta dai contesti di RC e quali esiti in termini di innova- zione può avere per la scuola e per l’accademia? Dal punto di vista scienti- fico la RC propone percorsi situati e qualitativi di indagine ed analisi, per- tanto il problema sarà rappresentato dal produrre opportune generalizzazio- ni senza discostarsi dagli esiti emersi dalla situazione particolare. La ricor- sività che tale tipo di ricerca può suggerire diventa il mezzo per verificare la trasferibilità di quanto esplicitato e per validarne la possibilità di riconte-

stualizzazione nella mutevolezza delle situazioni educative (Pellerey, 2005).

I risultati devono essere collocati all’interno di una pertinenza di tipo metodologico e teorico che serve non tanto a misurare il valore della pratica analizzata o a rendere essa stessa esempio virtuoso, sulla scorta dei modelli di instructional design, finalizzati all’individuazione di buone pratiche, bensì ad esplicitare, in un universo preciso di valori, artefatti e dispositivi utilizzati per l’analisi e la riflessione sulle pratiche, affinché possano essere strumenti da un lato metodologicamente corretti e coerenti e quindi genera- lizzabili, dall’altro spendibili per la formazione in percorsi ispirati a modelli teorici simili.

L’idea di generalizzabilità di una ricerca che comunque si colloca entro l’universo del qualitativo e si avvale di strumenti di indagine quali lo studio di caso, va chiarita.

Di fatto l’obiettivo primario resta quello dell’indagine in profondità su una realtà situata, sia nello spazio, sia nel tempo, sia nella cultura, per aver- ne un dettaglio il più possibile particolareggiato. Si inquadra nell’ambito della ricerca idiografica (Trinchero, 2004), che si presta più alla trasferibili- tà che alla vera e propria generalizzazione. Generalizzare nel caso di una ricerca contestualizzata non può essere che una ipotesi di lavoro, una com- parazione, in un contesto differente e quindi con variabili che inevitabil- mente andranno a modificare esiti ed evidenze raccolte, di alcune conclu- sioni che possano essere ritenute valide anche al di fuori del campo di ri- cerca entro cui sono state definite.

In ogni caso una certa generalizzazione è necessaria in qualunque spie- gazione o in qualunque descrizione che voglia avere una utilità applicativa. Si può parlare di rappresentatività di una ricerca (Gobo, 2007) nei casi in cui la sua lettura permette di attivare processi inferenziali che ne rendano applicabili gli esiti in un contesto di tipo più ampio. La metodologia attuale relativa alle scienze sociali inoltre accetta che anche un singolo caso ritenu- to tipico o emblematico può essere soggetto a generalizzazione (Gobo, 2004): in realtà non si generalizza il singolo caso o evento, che di per sé ri- sulta irripetibile, bensì i suoi principali aspetti strutturali che si ritrovano in eventi simili.

L’attenzione al dispositivo o ai dispositivi che si mettono in atto durante il percorso risponde anche all’obiettivo metaformativo insito, come abbia- mo visto in Desgagné (2001), all’interno del percorso, quello di rendere i partecipanti diffusori di un atteggiamento che avvii le comunità scolastiche verso l’analisi delle proprie pratiche e la riflessività in azione e dopo l’azione. Si tratta di rendere partecipi del patrimonio di sapere costruito un

numero sempre maggiore di docenti, mettendo loro a disposizione quegli

outils de passage (Charlier, 2005), ovvero tutte quelle rappresentazioni e

modalità che nel corso della ricerca hanno supportato l’esplicitazione indi- viduale degli impliciti propri della pratica, ma anche la messa in discorso e la narrazione di momenti ritenuti fondamentali, per rendere evidenti i pro- cessi di trasformazione sperimentati in situazione, che si possono configu- rare come strumenti per il sapere. Se il dispositivo di analisi si incorpora nei processi riflessivi degli insegnanti infatti da sapere-artefatto può diven- tare sapere-strumento, interiorizzato dal soggetto e integrato nei suoi sche- mi d’azione (Pastré, 2007).

Il concetto di sapere-strumento è molto importante per mettere in evi- denza due caratteristiche della ricerca: il principio di doppia verisimiglianza ed il principio di replicabilità.

Infatti, con sapere-strumento intendiamo un referente teorico che può aiutare a portare altri sguardi sulla situazione e a far convergere su di essa l’orizzonte della ricerca e quello della pratica. Esso aiuta a problematizzar- la, ricostruirla e renderla dicibile e spiegabile, quindi condividerla e ricopre diverse dimensioni (Altet, 1997; 2008):

- una dimensione strumentale: permette la formalizzazione e la razio- nalizzazione dell’esperienza;

- Una dimensione euristica: apre piste di riflessione e aiuta a mettere in relazione le variabili della situazione analizzata;

- Una dimensione di problematizzazione: consente di porre problemi e discuterne per risolverli;

- Una dimensione di cambiamento: permette la costruzione di nuove rappresentazioni delle pratiche e delle situazioni.

Per comprendere quale possa essere la forma di sapere prodotto nell’ambito della RC, è opportuno cercare di definire quali possono essere gli oggetti di ricerca sui quali si può pensare di attivare un percorso regola- to dai ritmi e dalle modalità fin qui esplicate:

1. fare RC tra didattica e discipline, quindi su un oggetto proprio di una didattica disciplinare rispetto alla quale si analizzano le strategie, l’utilizzo di artefatti e materiali, le scelte curriculari per comprendere cosa può cambiare nel caso in cui uno di questi fattori venga messo in crisi, ristrutturato, modificato. L’interesse in questo caso è per i processi traspositivi e per la mediazione didattica agita, il focus sta nell’oggetto culturale proprio della singola disciplina: matematica (Bednarz, 2004), lingue straniere (Beckers & Simons, 2010), scienze (Orange Ravachol, 2010), storia e la geostoria (Iobbi, 2015; Pentuc- ci, 2015).

2. Fare RC su un particolare comportamento o atteggiamento degli stu- denti che può incidere sia su aspetti disciplinari che di competenze di tipo trasversale (Rey, 2003), come l’autocontrollo, la capacità di mo- dellizzare, le relazioni di classe (Bednarz, Desgagné, Diallo, & Poi- rier, 2001). Il focus di tale oggetto è lo studente.

3. Fare RC all’interno di progetti ponte per sorreggere l’orientamento scolastico e la continuità (Corriveau & Bednarz, 2016), ampliando il focus dal processo didattico insegnamento-apprendimento al sistema didattico.

4. Fare RC in merito a modalità e schemi di lavoro propri dei docenti e delle comunità (processi valutativi, come in Mottier Lopez, 2015) per favorire l’innovazione. Partendo dalle concezioni sottese alle pra- tiche in questo caso si tratterebbe di attivare situazioni di confronto tra situazioni e di progressiva trasformazione controllata e monitora- ta. In questo caso il focus è sull’insegnante.

5. Fare RC prendendo in considerazione gli ostacoli di apprendimento (D’Amore, Fandino Pinilla, Marazzani, & Sbaragli, 2008), per riflette- re in profondità sulle modalità e strategie necessarie per l’ organizza- zione e la trasposizione dei saperi disciplinari (Bednarz, 2004). In que- sto caso il focus è sul compito.

Infine, oltre al tipo di sapere che si costruisce attraverso il percorso di ricerca, occorre porre l’accento su una importante dinamica che la RC inne- sca in termini di sapere: la legittimazione e la valorizzazione del sapere d’esperienza degli insegnanti (Desgagné & Larouche, 2010), al quale viene offerto uno spazio di esplicitazione e teorizzazione che lo rende non solo visibile e conoscibile, ma anche fondamentale punto di partenza per com- prendere i processi didattici e innescare l’innovazione.

Il sapere pratico o della pratica assume così lo statuto di sapere di ricer- ca, perché ne diventa oggetto di indagine, e nello stesso tempo cambia la prospettiva del sapere utile per la professionalizzazione dei docenti.

«Lo sviluppo professionale dei pratici non dipende così da un sapere che viene dall’esterno di cui essi saranno i ricevitori, bensì da un sapere interno, di cui essi diventano portatori» (Darré, 1999, p. 16).