Il posizionamento dell’opera
4. Le forme organizzate dell’azione
4.3. La nozione di pratica nei contesti format
Le azioni, le interazioni e le transazioni che si realizzano nelle situazioni scolastiche sono i costitutivi della pratica, ovvero la forma di conoscenza che denota l’azione (Damiano, 2006). La pratica è l’elemento osservabile della situazione didattica, in quanto contiene azioni e reazioni dei soggetti in essa implicati e comporta le procedure di realizzazione dell’attività nella situazione data e quindi le scelte e le decisioni. La pratica professionale ri- guarda al tempo stesso il fare di una determinata persona e le procedure per fare che corrispondono alla funzione professionale da essa rivestita, come ad esempio il saper insegnare (Altet, 2003).
Quali sono i confini e le logiche entro cui possiamo identificare e defini- re la pratica, affinché essa divenga effettivamente l’elemento osservabile ed analizzabile del lavoro dell’insegnante ed il punto di partenza per una ri- flessione su di esso che avvii la ristrutturazione e l’innovazione, in termini di efficacia del suo essere professionista?
La pratica è l’espressione della capacità umana di trasformare l’ambiente e gli oggetti in relazione ai propri bisogni, desideri o scelte, un’attività volta ad ottenere un risultato concreto in un determinato campo o settore attraverso una serie di azioni che consentono di applicare concre- tamente un principio o una volontà. Secondo Isabelle Vinatier (Vinatier & Pastré, 2007), essa ingloba al suo interno due dimensioni articolate, una di ordine individuale e personale e una di ordine collettivo.
La componente personale della pratica consiste nell’impegno di un indi- viduo che fa parte di un gruppo professionale a compiere un’azione – fina- lizzata e situata – inscritta entro un contesto organizzato che fa da regolato- re assiologico, ma pur sempre rispondente ad un bisogno individuale speci- fico, di tipo pragmatico.
La componente collettiva invece deriva da una cultura professionale che dà una precisa connotazione alla pratica individuale e si fa riconoscere, sia per il modo in cui ci si mette in gioco personalmente, sia per i valori a cui fa riferimento, sia per la situazione in cui si realizza.
Può aiutare a compiere una sintesi sull’idea di pratica, in contesti sia di- dattici che extra-didattici, l’acuta definizione di Marguerite Altet (2002, p. 86), la quale mette in evidenza la polisemia e la complessità del concetto, evidenziando che essa è «contemporaneamente l’insieme dei comportamen- ti, atti osservabili, azioni, reazioni, interazioni, ma comporta anche l’attuazione della messa in opera dell’attività in una situazione data da parte di una persona, le sue scelte, le sue prese di decisioni».
Tale definizione ci aiuta a cogliere alcuni elementi non trascurabili nel tentativo di situare la pratica nei contesti di insegnamento: innanzi tutto l’idea che in essa ci siano azioni, reazioni ed interazioni ci porta a prendere in considerazione la pratica nelle situazioni didattiche non come azione ma come co-azione, in quanto è sempre la risultante di una doppia attorialità, poiché anche quando uno degli attori è in atteggiamento apparentemente passivo, in realtà mette nella pratica azioni o comportamenti di ricezione, ascolto o non ascolto, attenzione o non attenzione, che collaborano al farsi della pratica stessa.
All’interno della pratica interagiscono dimensioni multiple: didattiche, psicologiche, sociali, le quali permettono all’insegnante di adattarsi alla si- tuazione professionale e di gestire sia l’apprendimento degli studenti, sia la condotta della classe. Sono le articolazioni tra tali dimensioni che vanno messe in luce dalla ricerca, privilegiando l’osservazione e la narrazione del- le pratiche effettive (Vinatier & Altet, 2008).
In questo caso l’aggettivo “effettivo” ci restituisce un agito che ricom- prende al suo interno elementi che vanno al di là del tempo dell’aula: quali- fica tutto ciò che in qualche modo si rapporta a ciò che il docente «pensa, dice o non dice, fa o non fa, su un tempo lungo che si colloca prima, duran- te o dopo la sessione di lezione» (Vinatier, 2013, p. 28).
4.4. L’attività
All’interno della situazione didattica, se la pratica rappresenta la dimen- sione osservabile, l’oggetto di osservazione e riflessione è invece l’attività. L’attività indica il momento preciso della pratica, riferito a situazioni speci- fiche nel lavoro docente: attività in classe, attività di progettazione, attività valutative, attività di concertazione (Masselot & Robert, 2007), prendendo in conto la particolarità del concetto di attività rapportato alla prospettiva educa- tiva: il far apprendere, da parte di alcuni esseri umani, altri esseri umani (Vi- natier, 2013). Inoltre la dimensione di co-attività va estesa, oltre che alle inte- razioni ed agli scambi tra docente e discenti, anche al rapporto tra attori e contesto di azione: si effettua infatti nell’attività l’accoppiamento tra soggetto e situazione (Vergnaud, 2009) e si realizza una doppia trasformazione: nella sua dimensione di attività produttiva infatti si realizza la trasformazione del reale, nella sua dimensione di attività costruttiva invece si trasforma il sog- getto che compie l’azione, il quale fa ricorso alle sue conoscenze e mobilita le sue competenze adattandole e riconfigurandole sulla pratica in atto (Ra- bardel & Samurçay, 2004). Quindi l’attività è un momento conoscitivo, spesso inconsapevole ed incidentale che nel contesto scolastico ha una doppia determinazione, quella posta dall’insegnante e quella posta dalla si- tuazione di insegnamento. L’attività docente infatti presuppone la gestione e di uno spazio in continuo divenire, di cui è difficile operare la previsione perché cambiano le relazioni tra i soggetti implicati e tra i soggetti ed il sa- pere messo in campo.
Come precedentemente affermato, l’attività si sottrae allo sguardo diret- to (Clot, 2010), ovvero non è immediatamente osservabile. Affinché diventi analizzabile essa va messa in connessione con il compito, ovvero lo scopo preciso dell’attività, che richiede determinate condizioni per essere svolto. Il compito è l’interpretazione che il soggetto in azione dà all’attività, sulla base dei modelli che possiede e che si è strutturato per affrontare determi- nate classi di situazioni già note. Il compito, secondo l’ergonomia, ha in sé una dimensione cognitiva, e non è limitato alle caratteristiche imposte dalla prescrizione, ma include delle dimensioni oggettive, proprie della situazio- ne in cui si sviluppa l’attività, che assumono funzione orientativa.
Il compito è la messa in atto dell’attività nella sua doppia forma di pre- scritto e di realizzato, forme non coincidenti in quanto riguardano l’interpretazione di due soggetti differenti, l’insegnante che lo struttura e l’apprendente che lo esegue. Il contratto didattico (Chevallard, 1991), l’allineamento tra gli schemi del docente e quelli dell’alunno (Rossi, & Fe- deli, 2015), la previsione esercitata dall’insegnante in fase di progettazione
e la regolazione e l’autoregolazione permettono un avvicinamento tra il prescritto ed il realizzato e quindi sono elementi che vanno tenuti in conto nell’analisi dell’attività didattica.
Come sostiene Pastré (2007), la focalizzazione sull’attività offre una vi- sione orientata, nell’analisi delle pratiche didattiche, più sull’insegnamento e sull’insegnante, ed inoltre condivide con la didattica delle discipline la rilevanza data ai saperi (da trasmettere, da acquisire, da ricostruire, da co- struire) ed il rapporto e le significazioni che si strutturano tra docente e og- getto culturale. Questo permette di considerare la trasposizione didattica come uno degli aspetti di maggior rilevanza da sottoporre ad analisi. Su di essa possono essere costruiti percorsi di professionalizzazione che pongano al centro la pratica per poter comprendere e prendere coscienza di come si realizza il processo di trasposizione nella quotidianità scolastica, a partire dalle modalità di progettazione, allestimento e realizzazione delle attività e dalla distanza osservabile tra dichiarato ed agito, tra compito prescritto e compito realizzato.
Ma quali meccanismi, intenzionali o preterintenzionali, guidano la mes- sa in pratica del processo di insegnamento? È questa la domanda che rende significativa la centratura sull’attività e che consente di tracciare un percor- so verso la professionalizzazione che prenda avvio dalle pratiche stesse del docente, innescando processi di tipo trasformativo che possano andare ad incidere sull’identità e sulla postura dell’insegnante stesso.
Occorre in questo senso scendere al fondo della pratica, nello spazio della concettualizzazione dell’azione (Vergnaud, 1996) per giungere a comprendere quali significati vengono conferiti dai docenti all’azione stes- sa, quali motivazioni la supportino ed a quale livello (riflessivo o prerifles- sivo), quale sia il pensiero incarnato nell’atto che rende l’atto significativo in termini di intenzionalità didattica.
Far emergere tale sommerso consente la presa di coscienza, elemento essenziale per avviare la riflessione sulle pratiche e per attivare la trasfor- mazione non tanto e non solo dell’attività ma soprattutto del senso (sia in termini di pienezza di senso, che in termini di modificazione del senso) che a tale attività viene attribuito.