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Il posizionamento dell’opera

6. Far emergere i formati per innescare il cam biamento

6.1. Analizzare l’azione: strument

6.1.3. Tracce video

La videoripresa delle lezioni in classe in forma di video verité (Eb- sworth & coll., 2004) è la modalità di documentazione che maggiormente si avvicina alla realtà della situazione didattica, anche se riproduce una delle realtà possibili, ed è soggetta all’interpretazione sottesa al punto di vista di chi riprende e di chi guarda. La camera infatti oltre ad essere un collettore di dati è anche un occhio valutatore (Goldman & coll., 2006), un intruso nel contesto scolastico per il cui ingresso vanno chiariti e condivisi precise re- gole etiche e di privacy.

L’utilizzo del video nella formazione degli insegnanti ha una lunga tra- dizione, declinata a partire dagli anni Ottanta all’interno delle pratiche di microteaching (Allen & Ryan, 1969): si tratta di una metodologia di forma- zione applicata essenzialmente al pre-service in cui si pianificano, realizza- no e discutono brevi sessioni di insegnamento, che una volta osservate tra- mite registrazione video vengono riformulate e riosservate. La microsessio- ne ha lo scopo di focalizzare un’unica competenza didattica. Il microtea- ching ha lo scopo di acquisire modalità di azione maggiormente efficaci tramite la riflessione sul proprio stato di partenza e sulla definizione di suc- cessivi traguardi da conseguire. Tale tecnica di utilizzo del video apre la strada al principio del modellamento rispetto a standard di qualità accettati e validati dalla comunità professionale, le cosiddette buone pratiche, che risultano centrali nelle pratiche di matrice anglosassone ispirate al Lesson Study (Yoshida, 1999), in cui il confronto tra docenti ha lo scopo di indivi-

duare un modello di lezione ritenuta efficace per attivare l’apprendimento negli studenti.

Nei contesti americani le procedure di modellamento attraverso le buone pratiche vengono sviluppati tramite i video clubs (Sherin & Han, 2004), ambienti di apprendimento per lo sviluppo professionale in cui i docenti os- servano e discutono reciproci video ed hanno la possibilità di confrontarsi ed identificarsi nelle pratiche. Inoltre il video club ha come central goal il supportare l’insegnante nell’imparare a osservare e ragionare sulle strategie chiave dell’interazione di classe, contribuendo allo sviluppo della profes-

sional vision (Seidel and Stürmer, 2014), attraverso griglie di indicatori che

supportano la focalizzazione dell’attenzione sugli aspetti del processo di insegnamento-apprendimento ritenuti essenziali per l’attivazione degli stu- denti.

La domanda di fondo rispetto alle pratiche video-based viene posta da Van Es e Sherin (2010) nell’ambito di una ricerca focalizzata sugli inse- gnanti di matematica. Cosa imparano i docenti dall’osservazione dei video di pratiche didattiche?

L’interesse della risposta è rilevante sia ai fini della formazione che ai fini della ricerca: la rilevazione dei comportamenti in azione dei docenti implicati nei percorsi di videoanalisi porta evidenze a favore della trasfor- matività propria di tali processi, in grado di rompere le tradizionali resi- stenze verso l’innovazione se questa è visualizzata e supportata da percorsi di accompagnamento nella visione. La trasformazione inoltre non è limitata alle pratiche, ma influisce sul pensiero degli insegnanti: si costruiscono nuovi orizzonti di senso a sostegno dell’agire didattico.

Per questo si apre un doppio registro metodologico basato da un lato sul modellamento e più indicato per percorsi di formazione pre-service, dall’altro sulla riflessione sulle proprie pratiche, che può costruire unità tra pre-service ed in-service nell’ottica dell’acquisizione di una postura rifles- siva sull’azione ed in azione e della professionalizzazione.

È questo il portato dell’approccio francofono alla videoanalisi, strumen- to interno ai processi di analisi di pratica, che trova una cerca convergenza con i principi dell’etnografia visuale (Pepin, 2014): i filmati per la ricer- ca/formazione si devono produrre con i partecipanti e non sui partecipanti. Si ritorna all’idea propria della Ricerca Collaborativa, per cui il pratico en- tra da protagonista nel processo ed il suo sapere diventa oggetto di ricerca.

La videoformazione nelle esperienze francesi ha abbandonato l’idea che attraverso la visione di pratiche, sia pure ottime ed efficaci, si possa causa- tivamente allenare alcuni comportamenti degli insegnanti e si è diretta fin

dagli anni Novanta verso l’obiettivo primario della presa di coscienza (Faingold, 1993).

Il video serve come strumento di investigazione e di autoconfronto per il soggetto implicato, offre la possibilità di interpretare la situazione concreta e di trasformarla attraverso il raddoppiamento dell’esperienza vissuta, entro il quadro dialogico dell’autoconfronto (Leblanc & Veyrunes, 2011).

La traccia video offre all’analisi due dimensioni possibili di approfon- dimento e riflessione: da un lato permette di prendere in carico lo spazio di formazione nella sua interezza e di conseguenza di cogliere molti degli elementi di dinamicità presenti nell’azione e che si strutturano tra ambiente e attori; in secondo luogo, grazie alla riproducibilità praticamente infinita, consente di evidenziare microsequenze di azione per rilevare le tipicalità proprie di ciascun docente, la ricorsività di alcuni gesti professionali e di evidenziare e portare alla luce le caratteristiche qualitative sottili del me- stiere, che possono sfuggire nel caso di un ripercorrimento attraverso verba- lizzazione affidato al soggetto protagonista, immerso nell’azione, e invece risultare evidenti grazie al processo di distanziamento che la visione della registrazione consente.

Affinché l’analisi sia produttiva in senso trasformativo occorre comun- que tenere presente una serie di questioni che entrano in qualità di variabili nel processo:

1. la modalità di produzione del video: secondo Altet (2003) il video deve cogliere l’interezza della lezione affinché i frammenti identifi- cati per l’analisi possano essere comunque contestualizzati in quadro didattico più ampio; non secondaria è la figura di chi materialmente riprende: la prospettiva è differente se il video è fatto da un ricercato- re, da un soggetto esterno al processo, oppure dall’insegnante stesso (Van Es & coll., 2015). Non si tratta solo di un cambiamento del punto di vista ma anche di un tasso differente di neutralità e di una differente presa in carico al momento dell’analisi.

2. Gli aspetti etici nell’uso del video sono molto importanti sia nel con- tratto tra ricercatori e docenti, sia nell’utilizzo che del video viene fatto per la ricerca. Il principio di non riconoscibilità dei soggetti im- plicati e di non diffusione dei dati raccolti è prioritario ed imprescin- dibile.

3. Il video non è strumento unico in un percorso che si avvalga dell’analisi delle pratiche. Esso è supportato e corredato da strumenti di autoconfronto e verbalizzazione, nell’ambito di un dispositivo ampio che risponda agli obiettivi della ricerca e della formazione.

4. La videoformazione può essere un processo individuale, condiviso tra docente protagonista e ricercatore, o processo condiviso con i pa- ri. In questo ultimo caso si configura come dispositivo attraverso cui si apprende a riconoscersi attraverso l’immagine dei pari, ma anche quello di apprendere a conoscersi attraverso l’immagine che si ha (e si dà) di se stessi (Leblanc, 2016). La costruzione o ristrutturazione dell’identità personale e professionale è fortemente implicata nel processo e pone questioni di tipo emozionale ed etico.

5. Infine, affinché l’osservazione sia focalizzata su obiettivi precisi e riesca ad evidenziare le significatività profonde dell’azione e delle sue implicazioni a livello di pensiero, essa va supportata e guidata per evitare che gli insegnanti si focalizzino su aspetti marginali. Il supporto comprende la redazione di strumenti di osservazione che ri- levino la presenza o meno di determinati aspetti, in base alle logiche di analisi previste, alle dimensioni da esplorare (Rossi & Pezzimenti, 2012), alle tipologie di processi da attenzionare (Altet, 1994), ai regi- stri di funzionamento identificati nella pratica.