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Le configurazioni dei formati pedagogic

Il posizionamento dell’opera

5. I formati pedagogic

5.2. Le configurazioni dei formati pedagogic

Una delle caratteristiche peculiari dei formati pedagogici è proprio quel- la di essere contemporaneamente sia patrimonio del singolo, come prece- dentemente detto fortemente legati e interrelati alle esperienze, alle cono- scenze ed alle modalità operative del soggetto, che attribuisce ai formati si- gnificati molto personali e peculiari. Ma nello stesso tempo essi hanno una durata nel tempo ed una diffusione nello spazio che li rende osservabili in contesti lontani e differenti: ritornano nelle pratiche di molti insegnanti, con significati ed intenzionalità implicite a volte simili, a volte diverse, ma sempre connesse all’efficacia del processo di insegnamento.

Disponendo dunque di un doppio posizionamento tra natura e cultura, i formati pedagogici, che si riproducono di generazione in generazione, da insegnanti ad alunni, veicolati attraverso i patrimoni di classe, gli artefatti e le attività degli individui (Veyrunes, 2011), possono essere presi in carico in virtù di una configurazione duplice, collettiva e individuale.

Secondo una più diffusa linea di teorizzazione del loro portato epistemo- logico e fenomenologico, essi si reificano entro il concetto di configurazio- ne sociale (Durand, Saury, Sève, 2006), ovvero nel sistema complesso in cui si strutturano le relazioni umane, pervaso di tensioni, dinamiche, con- flitti, interconnessioni ed interdipendenze (Petersson, Olsson, & Krejsler, 2013). In questo flusso interattivo l’azione, apparentemente disordinata, si auto-organizza e le dinamiche non possono prescindere dalla dimensione collettiva e l’attività è solo parzialmente significata e realizzata in base all’azione del singolo, che agisce in virtù e dentro un contesto sociale carat- terizzante e determinante (Veyrunes, 2015).

Partendo da tale assunto, i formati pedagogici si collocano entro una cultura detta di mestiere, contrapposta anche se convivente con la cultura professionale proprio nel suo essere una forma in cui il collettivo entra in alternanza con l’individuale ed il condiviso con il personale (Durand, 2013). In questo senso i formati sono esperienze incarnate nell’atto, inscrit- te in un universo di regole, norme, abitudini propri della comunità scolasti- ca intesa nel suo insieme.

Essi infatti travalicano i confini di classe e di scuola, e le evidenze rac- colte nelle differenti ricerche condotte in territori lontani e distanti per rife-

rimenti formativi professionali, dimostrano che sono diffusi nella prassi di molti docenti e rappresentano dei veri e propri riferimenti collettivi propri della cultura scolastica e riguardano una sovra-organizzazione del lavoro docente che risponde ad una esigenza di stabilità ed equilibrio che li rendo- no stabili, ricorsivi, percepiti come facilmente praticabili (Veyrunes, 2011). La loro pervasività della pratica ha anche una persistenza cronologica: i formati sono trasmessi dagli insegnanti di generazione in generazione (Veyrunes, Imbert & Saint Martin, 2014) pur non essendo oggetto di for- mazione esplicita o di codificazione didattico-pedagogica, neppure infor- male, ovvero assunta esplicitamente a livello di cultura di comunità.

I formati pedagogici sono addirittura osservabili in dimensione storica, sviluppati a partire dalla diffusione, nei vari paesi, dell’insegnamento come attività simultanea e collettiva in sostituzione del rapporto uno a uno/pochi proprio del precettorato (in Italia, in Francia ed in altri paesi cattolici dal XVI-XVII secolo, con la nascita delle scuole gesuitiche); si stratificano in funzione delle prescrizioni esterne, delle tendenze pedagogico-didattiche più note, dell’evoluzione e delle trasformazioni logistiche e materiali del lavoro dell’insegnante e dell’assetto della scuola come istituzione politica. Hanno di fatto accompagnato e seguito la strutturazione e l’assetto nel tem- po della forma scolastica in senso sociologico, ovvero l’organizzazione dei sistemi di educazione intesa come universo a parte per l’infanzia e l’adolescenza, con le proprie regole interne, i propri tempi, le ripetizioni di sequenze finalizzate all’apprendimento secondo le stesse regole.

La dimensione collettiva inoltre non coinvolge solo la componente do- cente, ma anche quella discente: infatti oltre alla cultura di mestiere i for- mati connotano anche la cultura di classe e gli alunni se ne appropriano per contratto (Mayen, 2009), in quanto ne vengono facilitati nel trovare la giu- sta risposta allo stimolo posto dal docente all’interno del compito e dunque nell’interpretazione del compito stesso, interpretazione il più possibile alli- neata a quella dell’insegnante. In questo senso agiscono sulla doppia preoc- cupazione dei docenti di mettere in azione gli alunni (Durand, 1996) e di coinvolgerli attivamente nel compito: i formati rispetto alla co-azione pos- sono dirsi starting objects, motori che danno ritmo ad un fare percepito co- me necessario per la buona conduzione della classe.

È tuttavia possibile affermare che accanto a tale configurazione colletti- va i formati possiedano anche una configurazione individuale, che entra profondamente nella connotazione e nella caratterizzazione del modo di in- segnamento del singolo docente.

Gli studi longitudinali focalizzati sulle ricorsività dell’azione individua- le dimostrano infatti un portato identitario dei formati pedagogici

all’interno della prassi e delle concettualizzazioni soggettive. Essi riemer- gono in momenti ricorrenti della pratica ed agiscono in termini di regola- zione dell’azione, per reagire a situazioni di incertezza o di difficoltà, sop- periscono in alcuni casi ad una progettazione situata su precisi obiettivi di apprendimento e sono depositari impliciti di un senso comune che organiz- za l’agire dell’insegnante.

Presi in tale duplice dimensione collettiva e individuale più che come regolarità (Pastré, 2011), sono identificabili come schemi d’intelligenza pratica (Montangero, 2001), che connotano ed identificano:

- la prassi del singolo insegnante.

- La prassi condivisa tra insegnante e classe di riferimento. - La prassi condivisa da una categoria di insegnanti.

- La prassi di tutti gli insegnanti, intesi come comunità di pratica.

È quindi possibile affermare con Clot (2008) che i formati pedagogici partecipino tanto del genere quanto dello stile proprio dell’insegnamento e coinvolgano quindi la dimensione personale del mestiere (style), quella transpersonale (genre), quella impersonale (compito) e quella interpersona- le (comunità di pratica). In realtà in prospettiva di clinica dell’attività (Clot, 2014; Clot & coll., 2016), riferita al lavoro docente, può essere maggior- mente chiarito il portato dei formati pedagogici utilizzando il concetto di

genre intérieur (Clot & Soubiran, 1999), ovvero l’insieme delle esperienze

pregresse dell’individuo, condotte anche in dimensione collettiva, che van- no a costituire un registro operatorio tanto condiviso quanto proprio. In questo senso è possibile prendere in carico la funzione psicologica del col- lettivo entro un orizzonte professionale come quello degli insegnanti carat- terizzato da un’ampia autonomia didattica e da una denunciata solitudine, pur all’interno di una comunità istituzionalizzata ed all’apparenza compatta (Yvonne & Veyrunes, 2014).