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Il codice penale Zanardell

Al momento dell'Unificazione italiana si estese semplicemente il codice sardo alle regioni annesse, tranne alla Toscana che volle mantenere il proprio codice Leopoldino, soprattutto per il fatto che non prevedeva la pena di morte tra le varie sanzioni, configurandosi come un codice moderno e garantista.

94 Beltrani Scalia M. La riforma penitenziaria in Italia: studi e proposte, Tipografia Artero, Roma, 1879, pag. 250.

68 Era necessario provvedere ad un codice unico che rendesse uniforme il diritto penale nell' Italia unita territorialmente, ed era chiaro, che non si potevano estendere semplicemente l'uno o l'altro codice, sia per la questione della pena di morte sia per il fatto che essi rappresentavano codici di Stati che non esistevano più: un nuovo Stato ha la necessità di avere nuove leggi che ne tutelino i valori in cui essa si fonda e si riconosce.

Molti anni dovettero trascorrere e molte furono le discussioni in seno alle diverse commissioni, prima Mancini e poi Zanardelli, finché nel 1889 fu promulgato il nuovo codice penale. Esso trovava fondamento nelle teorie illuministiche e nelle considerazioni della Scuola classica infatti Zanardelli si avvalse della collaborazione di Luigi Lucchini:95 ne La Rivista Penale, il periodico da lui fondato e concepito proprio per far nascere il nuovo codice attraverso i contributi dei massimi giuristi, si aprirono dibattiti su quale fosse la classificazione dei reati da adottare, la durata delle pene e le misure alternative alla detenzione.

Trovarono codificazione i principi della libertà individuale, della tassatività penale, della certezza della

95 Questo fatto è sottolineato da Sbriccoli, evidenziando proprio l'importante lavoro svolto all' interno de "La Rivista Penale". Sbriccoli M. Storia del diritto penale e della

69 pena, dell'irrilevanza delle differenze soggettive, vennero previste pene pecuniarie e l'istituzione della liberazione condizionale mentre venne abolita la pena di morte.

Le pene detentive furono ridotte poiché quelle eccessivamente lunghe erano state considerate irragionevoli ed inutili: ‹‹ ormai già l'esperienza è venuta

spiegando che neppure le pene capitali e perpetue comminate ai più gravi e atroci misfatti valgono a frenarne o a menomarne la perpetrazione ››.96

La materia penale era stata trattata con un'ottica liberale, moderna depenalizzando molti comportamenti che si configuravano come delitti solo sul piano morale. L'Italia era cambiata e il codice Zanardelli voleva essere lo specchio di questo mutamento. Lucchini infatti affermò che il codice si fondava sulla realità, sui bisogni della società e sulla concreta incidenza della criminalità, avvalendosi anche della statistica per dimostrare la diminuzione dei delitti e, quindi, della probità della strada intrapresa.

96 Sbriccoli M. Il diritto penale liberale. La "Rivista Penale " di Luigi Lucchini in ‹‹ Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno ››, 16, Giuffrè, Milano, 1987, cit. pag. 151.

70 Quando Lombroso lesse il Progetto del codice rimase fortemente sconcertato.97 Il nuovo codice non prendeva minimamente in considerazione le ricerche, i risultati e le proposte fatte dalla Scuola positiva, anzi, molte di esse erano totalmente opposte oppure interpretate in maniera del tutto errata. L'antropologo si affrettò a stilare un documento in cui spiegava le sue lamentele, sottolineando le manchevolezze del codice e la fretta, con cui esso vedeva la luce.

Era Troppo presto98 perché la Scuola positiva non aveva ancora formulato una completa linea penale che rispondesse adeguatamente alle teorie dell'antropologia, alla classificazione dei rei in pazzi e delinquenti e della conseguente necessità della riforma dei manicomi e delle carceri, entrambe essenziali per la diminuzione della delinquenza. Nodo centrale dell'invettiva di Lombroso era il fatto che veniva creato un codice unico ed una pena uguale per il medesimo reato, quando l'Italia non era unificata se non territorialmente ed esistessero palesi differenze sia nel compimento del medesimo

97 Cesare Lombroso credeva che Zanardelli, persona aperta alle nuove scienze avrebbe tenuto conto delle idee della Scuola positiva ma così non fu, lasciando l'antropologo profondamente deluso Lombroso-Ferrero G. Cesare Lombroso. Storia della vita e delle

opere narrata dalla figlia, Fratelli Bocca, Torino, 1915, pag. 265.

98 Così si chiamava il documento che Cesare Lombroso scrisse di gran fretta per poterlo presentare il Parlamento.

71 delitto da parte di individui differenti, che nella stessa composizione della società, la quale variava da regione a regione e talora da paese a paese, allontanando in tal modo la percezione della giustizia penale dai cittadini e facendola rimanere inascoltata.

L'antropologo evidenzia un altro grave errore del nuovo codice cioè la riduzione delle pene e la mitezza insopportabile con cui erano stati trattati i recidivi, oltre alla previsione della libertà provvisoria e della liberazione condizionata al prezzo dell'abolizione della pena di morte. ‹‹ Ma questo ›› afferma Lombroso ‹‹ è

piuttosto un difendere i rei dalle vittime,che le vittime dai rei: è un volere che le vittime sien morte e ben morte prima di prenderne la difesa; è un privarsi spontaneamente, per amore di teoriche astratte, di un concreto e pratico modo di protezione tanto più quando si conosca la tempra del delinquente nato, uso a propalare i reati prima di commetterli ››. 99

Un altro problema che il codice Zanardelli non chiariva del tutto fu quello dei manicomi criminali. Questi avevano già fatto la loro comparsa ma solo come

99 Lombroso-Ferrero G. Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere narrata dalla figlia, Fratelli Bocca, Torino, 1915, cit. pag. 266.

72 sezioni speciali in alcuni manicomi civili e ciò creava grandi problemi sia a causa dei locali inadeguati a contenerli tutti e a garantire una separazione con i pazzi non delinquenti, sia per la formazione del personale. Il codice stabiliva che una persona inferma di mente che avesse compiuto un reato non era imputabile e perciò doveva essere rimesso in libertà o consegnato all' autorità di pubblica sicurezza che ne avrebbe previsto il temporaneo internamento. Al termine del periodo di osservazione il presidente del tribunale civile doveva decidere se lasciarle libero il reo o prevederne il ricovero perpetuo. Il codice però non nominava chiaramente i manicomi criminali ma solo i manicomi, lasciando la questione vaga ed insoluta.

I positivisti e l'antropologo, in primis, si trovarono delusi anche per quanto riguardava l'applicazione delle pene in generale. Innanzitutto, all'art.1, il codice configurava un fatto come reato solamente se questo fosse espressamente previsto dalla legge, vanificando del tutto la visione soggettiva del delinquente aderendo, invece, alla visione astratta della Scuola classica. All'art.29 veniva sancito il principio di determinatezza delle pene, concetto che i positivisti avevano aspramente

73 criticato e motivato con la concezione del delinquente come soggetto malato che trova la sua cura proprio nella pena e, pertanto, questa non può mai essere prestabilita in termini rigidi ma deve sempre conformarsi alla natura del delinquente.

Un' ulteriore questione che veniva ad essere in contrasto con le teorie della Scuola positiva e che aveva animato il dibattito dottrinale già prima della sua entrata in vigore, era quella della pena di morte. Il codice Zanardelli elencava, all'art.11, come pene per i delitti: l'ergastolo, la reclusione, la detenzione, il confino, la multa e l'interdizione dai pubblici uffici. Non compariva la pena di morte che era stata evidentemente sostituita con l'ergastolo. La pena capitale era considerata da Lombroso la misura più adatta ed efficace per arginare la criminalità dilagante ed, eliminarla dal codice, appariva una scelta assolutamente sbagliata.

Raffaele Garofalo concordava con l'opinione dell'antropologo sulla scelta poco opportuna del codice e commentava che ‹‹ le generazioni future potranno

amaramente rimproverare di aver lasciato germogliare i semi infetti che conveniva estirpare e che avranno

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prodotto una nuova e più numerosa progenie di delinquenti ››.100

Se la posizione assunta da Lombroso può definirsi sicuramente illiberale, non è certo impossibile negare che l'Italia fosse impreparata ad accogliere un codice così moderno.

La maggior parte degli Italiani era povera ed analfabeta ed abitava in case malsane lavorando la terra dei ricchi latifondisti, soprattutto al Meridione. La pesante imposizione fiscale gravante sui beni di largo consumo come grano, cereali e zucchero andava a colpire nuovamente i ceti più umili,101 mentre le imposte dirette sul patrimonio mobiliare incidevano pesantemente sui bilanci dei borghesi e degli artigiani e non sui grandi proprietari terrieri che si vedevano tutelati anche sotto quest'aspetto. La povertà e l'iniquità apparivano inoltre diversamente distribuite nella penisola: mentre al nord nascevano le grandi fabbriche,

100 Garofalo R. Criminologia, Fratelli Bocca, Torino, 1885, cit. pag. 83.

101 Per risparmiare sul grano i contadini consumavano soprattutto granturco e ciò causava gravi carenze alimentari che portavano alla pellagra. Cesare Lombroso, condusse ricerche approfondite su questa patologia, giungendo ad affermare che essa era provocata dalla cattiva conservazione del mais. I risultati delle ricerche dell'antropologo furono accolti con entusiasmo dalla comunità scientifica, tanto che Lombroso si guadagnò la cattedra di Medicina Legale all'Università di Torino. La scoperta di Lombroso, seppur errata, permise di evidenziare le pessime condizioni di vita di gran parte della popolazione delle campagne. L'intervento politico si limitò, invece, ad una legge che vietava l'uso del mais guasto, non andando ad incidere sulle problematiche che veramente causavano la malattia, evitando così di farne una questione di classe.

75 come la Fiat, portando ricchezza e maggior benessere, al sud permanevano i vasti latifondi che rappresentavano un ostacolo per lo sviluppo imprenditoriale facendo persistere grandi disuguaglianze.

In questo clima il codice Zanardelli appare veramente poco rispondente a quel criterio di realità di cui Lucchini si vantava: la grande modernità, probabilmente eccessiva lo rendeva un codice fortemente utopistico, quasi "fantascientifico" per l'epoca e, da ciò, nacque, quasi da subito, la necessità di integrare con leggi speciali le diverse emergenze cui il nuovo Stato dovette far fronte: il movimento dei Fasci in Sicilia, le rivolte in Lunigiana ed in Romagna a cui si aggiungeva il dissenso politico crescente, trovarono come risposta da parte dei governanti la repressione e la proclamazione dello stato d'assedio.102

102 Volpe G. Storia Costituzionale degli Italiani, Giappichelli Editore, Torino, 2009, pag. 219-223.

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Capitolo II

La delinquenza di genere e di razza secondo