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3.2 Il reato, l'imputabilità e le pene per la Scuola Positiva

3.2.2 I manicomi criminal

La divisione dei delinquenti in varie classi, comporta, per i rei pazzi, il ricovero in un manicomio criminale. Questi delinquenti non possono essere reclusi in carcere perché ad essi non sarebbero fornite le cure necessarie, facendo incrementare i suicidi all' interno di queste strutture,75 ma non possono neppure essere ricoverati nei manicomi comuni data la loro pericolosità. La duplice natura di pazzi e delinquenti allo stesso tempo, rendeva opportuno un trattamento che fosse adeguato proprio al loro peculiare modo di essere ed, in questa particolare concezione, il manicomio giudiziario si configurava come una struttura intermedia tra il carcere ed il manicomio civile.76

Il manicomio criminale assume agli occhi di Lombroso una doppia funzione: la prima è quella di

75 Lombroso C. L'uomo delinquente vol.III, Fratelli Bocca, Torino, 1897 nota pag. 545. Viene qui mostrata, attraverso una tabella, la percentuale dei suicidi all'interno delle carceri italiane.

76 Padovani T. L'ospedale psichiatrico giudiziario in Busnelli F.-Breccia U. (a cura di) Tutela della salute e diritto privato, Giuffrè, Milano, 1978, pag. 245.

53 disincentivare il criminale dal fingersi pazzo per non incorrere alla carcerazione, ottenendo invece il risultato opposto di essere recluso in perpetuo; la seconda ha uno scopo "biologico" in quanto l'internamento a vita in un manicomio criminale potrebbe annullare alcune cause di delinquenza quali l'ereditarietà e l'associazionismo, molto frequenti nelle carceri. Il ricovero perpetuo permetterebbe di isolare gli individui pericolosi della società evitando anche che questi diano alla luce figli con tendenze criminali, attuando in tal modo una selezione artificiale di cui beneficerebbe tutta la comunità.

Il problema italiano che richiama i positivisti ad un'urgente riforma era dovuta all'impossibilità, stabilita dal codice77 di considerare responsabile il reo per il crimine commesso qualora questo non fosse stato sano di mente. Tale circostanza, il più delle volte, afferma l'antropologo, porta il giudice ad affidare il delinquente ai manicomi comuni, incapaci di fronteggiare la pericolosità del soggetto che si trovano di fronte o alle carceri, senza prestare, al contrario, le cure ad esso indispensabili.

77 Lombroso critica apertamente l'art. 46 del codice, suggerendone una nuova formulazione. Lombroso C. L'uomo delinquente vol.III, Fratelli Bocca, Torino, 1897, pag. 578.

54 Spesso si favoriva la dimissione del pazzo delinquente in quanto questo era doppiamente sgradito: da un lato infatti era non un pazzo comune ma anche criminale ed inoltre, il suo ricovero avrebbe comportato maggiori spese a carico dell'amministrazione provinciale. Il codice Zanardelli prescrisse inoltre, che la decisione sul ricovero coatto del prosciolto per infermità mentale spettasse esclusivamente al presidente del tribunale civile, il quale era competente anche per quanto riguardava l'eventuale revoca del provvedimento.78

Era ovvio, al contrario, per l'antropologo che per stabilire con certezza la pazzia del reo non fosse sufficiente un tribunale composto solo da esperti di diritto ma si configurasse necessaria la presenza di medici specialisti79 che avrebbero dovuto dare il loro parere sul soggetto che si trovano di fronte, aiutando in tal modo la decisione dei giudici.

Trattandosi comunque di soggetti malati, suggeriva Lombroso, la struttura in cui dovevano essere

78 Padovani T. L'ospedale psichiatrico giudiziario in Busnelli F.-Breccia U. (a cura di) Tutela della salute e diritto privato, Giuffrè, Milano, 1978, pag. 244. L' autore aggiunge che la

revoca del ricovero, subordinato all'accertamento di medici specialisti, fu prevista con il c.p.p. del 1913 all'art. 595.

55 detenuti dovrà avere un controllo medico, attuato nella forma della direzione, mentre la sorveglianza dovrà essere affidata al personale del carcere, dando quindi al manicomio la duplice connotazione di cura e di pena allo stesso tempo. Si avrebbe in questo modo un'assistenza sul piano sanitario maggiormente qualificata rispetto a quella dei manicomi comuni. La segregazione in tali strutture diventa perpetua solo se il soggetto non dia mai prova di miglioramento mentre, chi manifesti segnali di guarigione potrà essere messo in libertà, anche se sottoposto sempre a controlli periodici da parte del personale medico del manicomio. Tale misura assume chiaramente la connotazione di difesa dell'equilibrio sociale, eliminando dalla comunità gli individui che ne minerebbero la sua sopravvivenza.80

La normativa del tempo era molto vaga per quello che riguardava la sistemazione dell'ospedale giudiziario. Si stabiliva che gli ospedali dovessero essere regolati in maniera differente a seconda delle necessità degli internati e che il personale direttivo provenisse dagli istituti di pena. Tutto era comunque molto elastico considerato che le direttive dell'amministrazione

80 Lombroso C. L'uomo delinquente vol.III, Fratelli Bocca, Torino, 1897, nota pag. 449. In una tabella sono riassunti i risultati dell'indagine condotta da Lecour in varie carceri europee.

56 penitenziaria potevano porre modifiche organizzative in base alle esigenze dei ricoverati.

La regolamentazione così incerta faceva sì che il manicomio giudiziario assumesse le caratteristiche di un

lager,81 di un carcere mascherato dove la pena, che doveva essere anche cura, ‹‹ diveniva peggiore di quella

ordinaria ››82.

La legge del 1904, aumentò notevolmente la casistica delle forme di infermità che avrebbero condotto all' internamento in un manicomio. Tale legge estendeva il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario non solo per i pazzi criminali ma anche per coloro che fossero stati colti da una malattia psichica durante il processo, a chi fosse impazzito durante l'esecuzione della pena e persino ad i pazzi che avessero creato disordini all'interno dei manicomi comuni.

Nel 1891, venne condotta un'inchiesta sui manicomi da parte di Cesare Lombroso ed Augusto Tamburini83 allo scopo di ricercare quali fossero i difetti

81 Padovani T. L'ospedale psichiatrico giudiziario in Busnelli F.-Breccia U. (a cura di) Tutela della salute e diritto privato, Giuffrè, Milano, 1978, cit. pag. 249.

82 Padovani T. L'ospedale psichiatrico giudiziario in Busnelli F.-Breccia U. (a cura di) Tutela della salute e diritto privato, Giuffrè, Milano, 1978, cit. pag. 248.

83 Augusto Tamburini nacque ad Ancona nel 1848 e morì a Riccione nel 1919. Si laureò a Bologna in Psichiatria. Nel 1876 fu nominato professore all'università di Padova e direttore dell'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, portando vari cambiamenti che migliorarono l'organizzazione della struttura manicomiale. Nel 1907 venne chiamato a dirigere il Manicomio di Roma. Divenne un'autorità indiscussa nel

57 del sistema per poi poter provvedere con un'adeguata riforma. I due scienziati visitarono molti manicomi sia civili che giudiziari ed alla fine, raccolte tutte le informazioni necessarie stilarono un documento in cui venivano evidenziate le maggiori carenze degli istituti manicomiali. Erano palesi le differenze delle regole per le ammissioni e le dimissioni per i pazzi oltre a quelle organizzative, a questo si aggiungevano la poca sorveglianza ed il fatto che la popolazione manicomiale cresceva di anno in anno.

Si rendeva necessario un aumento degli istituti, maggiori restrizioni nell'invio dei malati nei manicomi e l'istituzione di strutture specifiche per il ricovero di alcolisti, pellagrosi ed epilettici. Tamburini e Lombroso caldeggiarono fortemente anche il patronato familiare cioè l'affidamento di malati considerati tranquilli alle famiglie di origine.

Marco Gillio84 individua diversi fattori che avrebbero provocato questo aumento della popolazione manicomiale, sia civile che giudiziaria.

campo sia dell'organizzazione che della tecnica manicomiale. I suoi studi riguardarono soprattutto la genesi delle allucinazioni, la follia del dubbio e l'idiozia. Compì ricerche anche sulla pellagra, il cretinismo e la tubercolosi.

84 Gillio M. La popolazione manicomiale in Italia dall'Unità alla Grande Guerra in Montaldo S.-Tappero P.(a cura di) Cesare Lombroso cento anni dopo, UTET, Torino, 2009, pagg. 99 e seguenti.

58 I cambiamenti imposti dalle industrie, lo spopolamento delle campagne fecero insorgere nuove patologie mentali assieme alla necessità di allontanare tutti quei soggetti che si fossero dimostrati dannosi, non conformandosi a questo nuovo modo di vivere.

A ciò si deve aggiungere che nel 1890, anno in cui si ebbe il picco di ricoveri, la popolazione carceraria subì una diminuzione: questo fatto sembra avvalorare la tesi che individuava nel manicomio la valvola di sfogo degli istituti di pena, ormai arrivati al collasso.

Ultimo, ma non meno importante fattore, fu l'enorme prestigio che acquisirono i medici alienisti: tutta la psichiatria italiana appoggiò Lombroso nel suo progetto di manicomio criminale perché in esso intravidero l'opportunità per assicurarsi un ruolo sociale ed accademico di primo piano.

Il manicomio giudiziario, divenne il luogo per collocare e, forse dimenticare, tutti i soggetti ritenuti irrecuperabili dalla società.

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3.2.3 Il carcere

Il ricovero in un manicomio giudiziario si configura come la misura adatta a neutralizzare il pazzo delinquente mentre la detenzione carceraria sembra agli occhi di Lombroso, l'unica in grado di rendere efficacemente inoffensivo il criminaloide.

Il sistema carcerario, alla fine dell'Ottocento, in tutta Europa, necessitava comunque di una riforma in quanto afflitto da gravi problemi; primo tra tutti il sovraffollamento che faceva scoppiare spesso delle epidemie essendo quasi inesistenti le misure igieniche, inoltre, era ritenuto la causa principale delle recidive infatti, da quanto testimoniato, i delinquenti rientrerebbero in carcere felici per rivedere le loro famiglie e gli amici o, più semplicemente, per avere cibo ed alloggio senza grandi sforzi.85

Attestato che nessun tipo di carcere è in grado di eliminare del tutto la recidiva, si delinea come preferibile la forma del carcere cellulare. Questo, limitando il contatto tra delinquenti, farebbe diminuire le

85 " Se siamo arrestati, finiamo per vivere a spese degli altri:ci vestono, ci mantengono,ci scaldano e tutto alle spalle di quelli che abbiamo derubato!" Lombroso C. L'uomo delinquente vol.III,

60 associazioni criminali e, la mancata convivenza non consentirebbe un dialogo tra rei, principale causa dell'aumento delle capacità criminali, anzi, diminuirebbero gli omicidi ed i suicidi all' interno della struttura.

Purtroppo le carceri cellulari, mette in evidenza l'antropologo, comportano una grande spesa per lo Stato a causa dei costi per il personale e per l'adeguamento degli edifici penitenziari ed invece che rieducare il criminale alla vita sociale creerebbero dei cittadini oziosi ed inutili, incapaci di vivere assieme agli altri. Diveniva pertanto necessario attuare un sistema che prevedesse il progressivo reinserimento del reo nella comunità attraverso un percorso graduale,86 che lo rendesse consapevole della sua utilità facendogli acquistare fiducia nelle proprie capacità lavorative. Il detenuto doveva divenire, attraverso il percorso rieducativo e riabilitativo un soggetto nuovo, totalmente diverso dal criminale che era entrato in carcere.

La nuova struttura carceraria, ispirata al modello irlandese, avrebbe dovuto essere organizzata in maniera

86 Il percorso graduale di reinserimento consentirebbe allo Stato una minore spesa anche perché in tal modo i recidivi diminuirebbero; questo sistema adottato, tra i primi, in Irlanda e in Danimarca, sembrava proprio evidenziare la positività di tale riforma carceraria. Lombroso C. L'uomo delinquente vol.III, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1897, pag. 461.

61 da attuare un percorso che prevedesse come primo passo la detenzione nel carcere cellulare, successivamente, l'esecuzione di lavori semplici e ripetitivi in maniera da autodisciplinare il criminale ed, infine, il passaggio in carceri collettive. In tal modo il delinquente viene progressivamente rieducato alla vita in comune.

Il percorso per il successivo reinserimento nella comunità deve ovviamente essere individualizzato87 e non può certamente essere stabilito e fissato in maniera uguale per tutti i criminali: si devono infatti applicare speciali metodi di repressione e nello stesso tempo di occupazione a seconda delle attitudini dei singoli individui ‹‹ come usa il medico che prescrive speciali

norme dietetiche e terapeutiche ››.88

Lombroso visitò molte carceri per le sue ricerche sull'Antropologia criminale ed è proprio da questo ambiente e da quello manicomiale che nacquero le teorie esposte ne L'uomo delinquente ma anche le proposte per poter migliorare un sistema carcerario che si presentava

87 Tutti i criminali sono diversi l'uno dall'altro e per questo motivo il percorso per il ritorno in comunità deve essere adattato al soggetto e non può essere stabilito a priori. 88 Lombroso C. L'uomo delinquente vol.III, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1897, cit. pag. 463.

62 come il terreno fertile per creare nuove forme di delinquenza.

Guido Neppi Modona indica, come tratto essenziale delle carceri dall'Unità d'Italia, il clima di violenza che creava uno stato di inciviltà in cui erano costretti a vivere non solo i detenuto ma anche gli stessi agenti penitenziari. Gli scontri tra gli agenti e custoditi erano quotidiani e spesso, le guardie esasperate dalle ingiurie o dai comportamenti osceni a loro rivolti sparavano ai detenuti ferendoli, uccidendoli o colpendone altri estranei al fatto. La violenza delle guardie carcerarie verso i detenuti era alimentata dalle norme del Regolamento carcerario89: successivamente all'intimidazione di far uso delle armi per placare le rivolte, rispondere alle minacce o impedire l'evasione se ‹‹ un agente indietreggia di fronte al pericolo o alla

minaccia, se egli è sopraffatto o vilipeso, non è l'individuo ma l'autorità della legge che in lui viene offesa ››.90

L'impersonare l'autorità la legge aveva come conseguenza che gli agenti dovevano sottostare a molte

89 Neppi Modona G. Quali detenuti per quali reati nel carcere dell'Italia liberale in Montaldo S.- Tappero P.(a cura di) Cesare Lombroso cento anni dopo, UTET, Torino, 2009, pag. 84. 90 Art. 168, Regolamento carcerario, n.260, 1891, in Neppi Modona G. Quali detenuti per quali reati nel carcere dell'Italia liberale in Montaldo S.-Tappero P. Cesare Lombroso cento anni dopo, UTET, Torino, 2009, cit. pag. 85.

63 limitazioni che sommate alle numerose sanzioni disciplinari, rendeva il loro trattamento quasi peggiore di quello dei detenuti.

I carcerati, d'altra parte, venivano spersonalizzati: chiamati per numero di matricola, vestiti tutti uguali, con barba e capelli tagliati perdevano la loro identità ed il contatto con il mondo esterno.

Quello che fa più raccapricciare è che, in un'Italia che si professava liberale, vigeva un vasto campo di punizioni. Si prevedeva la cella di punizione in isolamento fino a sei mesi, l'alimentazione con pane ed acqua per quindici giorni sempre in cella di isolamento e persino la camicia di forza, la cella oscura ed i ferri, tutti puntualmente regolamentati.

Il codice dello Stato Unitario, continuando sulla linea di quello Sardo, vedeva in primo piano la tutela della proprietà rispetto all'integrità fisica e morale della persona. Le lesioni personali,91 nelle ipotesi in cui provocassero prognosi inferiori ai dieci giorni, erano perseguibili solo a querela di parte, con reclusione sino a tre mesi o con la multe e, ciò era previsto anche per i reati contro la libertà sessuale. La perseguibilità

91 Neppi Modona G. Quali detenuti per quali reati nel carcere dell'Italia liberale in Montaldo S.-Tappero P. Cesare Lombroso cento anni dopo, UTET, Torino, 2009, pag. 89.

64 solamente a querela di parte, permetteva all'autore del delitto, qualora fosse in buone condizioni economiche, di offrire alla vittima una congrua somma di denaro, sfuggendo in tal modo alla reclusione.

I reati di oziosità e vagabondaggio entrarono nella legge di Pubblica Sicurezza, la cui applicazione spettava direttamente alla polizia, nella parte riguardante le classi pericolose per la comunità.

La marcata scelta classista del legislatore penale si rifletteva nella composizione della popolazione carceraria. La maggior parte dei detenuti era rappresentata da contadini e minatori rispetto ad un'esigua minoranza composta da professionisti. La metà dei reclusi era completamente analfabeta.

L'incivilimento causato dalla reclusione, di cui Lombroso individua una delle cause di delinquenza e la principale ragione della recidiva, era quindi dovuto ad una concomitanza di cause: la violenza, la miseria la spersonalizzazione e l'emarginazione dell'individuo che, nate all'esterno dell'istituto penitenziario, trovavano all'interno terreno fertile, creando soggetti malati, per la società, sia nel fisico che nella mente.

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