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Il soggetto deviato ed il criminale

Dallo Stato liberale al Fascismo: devianza e penalità tra le Grandi Guerre

2.1 Il soggetto deviato ed il criminale

Il periodo immediatamente precedente la Grande Guerra vide, da parte di molti antropologi un accresciuto interesse per lo studio dell'eugenetica, nacque anche un Comitato Italiano di Studi Eugenici, nel 1913, presieduto da Giuseppe Sergi e di cui fece parte anche Raffaele Garofalo; questi, insieme ad Enrico Morselli ed altri scienziati italiani, avevano partecipato l'anno precedente al primo Congresso di eugenica tenutosi a Londra. La fine della Guerra ed il fascismo non fermarono certamente questi studi, anzi l'eugenica forniva un sostegno all'idea di Nazione e per questo, nel

190 Fiandaca G. Rocco: é plausibile una de-specializzazione della scienza penalistica?, in Dibattito, Criminalia, 2010, pagg. 188 e 192.

149 1919, venne fondata a Roma la Società Italiana di Genetica ed Eugenica.

L'eugenica aveva come punto di partenza la scienza e l'antropologia, ed in un certo senso innegabile era l'apporto dato dai precedenti studi di Lombroso e della Scuola positiva poiché, attraverso studi sperimentali, cercava di individuare le modalità di trasmissione dei vari caratteri ereditari e quanto questi influenzassero l'aspetto somatico, oltre a determinare l'insorgenza di particolari patologie ritenute trasmissibili con il patrimonio genetico come: le malattie psichiche, l'epilessia, l'alcoolismo, il vagabondaggio, la prostituzione e certamente la criminalità. Tali studi divenivano importanti perché il patrimonio genetico difettoso si sarebbe trasferito alla prole originando individui deboli e pericolosi. Era rilevante anche l'osservazione del comportamento dell'individuo: se fosse ritenuto antisociale avrebbe rivelato un soggetto dal patrimonio genetico deviato e pertanto pericoloso. Molti scienziati giunsero inoltre a sostenere che la vittoria della guerra era dovuta principalmente alla ‹‹ natalità

degli italiani ›› e pertanto essa doveva essere

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matrici biologiche ››.191Questa ulteriore tesi non fece che alimentare l'idea della necessità di dare alla luce solo individui sani e forti capaci di aumentare il prestigio e la solidità dello Stato.

L'ideologia fascista che promuoveva il culto della Nazione, del lavoro e della famiglia si prestava bene a promuovere i dettami degli eugenisti e i risultati scientifici dell'eugenica; dall'altro, lato le ricerche scientifiche sarebbero state strumentalizzate dal regime per promuovere i propri scopi. I valori del Fascismo come la moralità dei costumi, la religiosità e la maternità sarebbero serviti da mezzi preventivi per il controllo genetico delle nascite, come nella filosofia malthusiana, permettendo una selezione dei caratteri migliori. Il regime fascista adottò misure a tutela della sanità dell'individuo con lo scopo di difendere la razza e per questo vennero vietate alla donna attività prettamente maschili con il timore che queste potessero inquinare il patrimonio genetico della stirpe.192 La donna riconobbe tutelata la propria figura solo ed in quanto genitrice

191 Pogliano C. Eugenisti, ma con giudizio, in Burgio A. (a cura di), Nel nome della razza, il Mulino, Bologna, 1999, cit. pag. 432.

192 Giacanelli F. Tracce e percorsi del razzismo della psichiatria italiana della prima metà del Novecento, in Burgio A. (a cura di), Nel nome della razza, il Mulino, Bologna, 1999, pag.

151 della futura progenie italiana e il suo ruolo di moglie e di madre si cristallizzò, tanto da essere tutelato anche nel codice penale. Al contrario la prostituzione, ritenuta la forma di devianza femminile per eccellenza, e costume moralmente riprovevole, trovò spazio nel codice penale solo con riguardo all'induzione e allo sfruttamento.193

L'ultimo congresso della Società Italiana di Genetica ed Eugenica vide l'ingresso del fattore razziale in quanto la contaminazione tra razze avrebbe potuto indebolire la prole anche se per alcuni eugenisti il vero obiettivo da perseguire non era la purezza della razza, bensì il miglioramento razziale della specie. Questo miglioramento avrebbe reso opportuna la selezione degli elementi migliori della società, indipendentemente dalla loro purezza, come affermava chiaramente l'antropologo Guido Landra: ‹‹ basterebbe stimolare al massimo gli

elementi meglio dotati dal punto di vista razziale del nostro paese [...] e infine fare diminuire con misure energetiche, come la sterilizzazione e la castrazione, fino a farla sparire del tutto, la massa grigia degli elementi tarati ed antisociali ››.194

193 Rocco A. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale. Relazione sui Libri II e III del Progetto, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1929, pag. 322 .

194 Landa G. Razzismo biologico e scientismo, cit. da Pogliano C. Eugenisti, ma con giudizio, in Burgio A. (a cura di), Nel nome della razza, il Mulino, Bologna, 1999, pag. 442.

152 Nell'ottica scientifica eugenica le differenze dal tipo "uomo normale" venivano alla luce per creare una specie più adatta a sopportare i compiti che la società le avrebbe affidato e le caratteristiche venivano selezionate e ricercate nel patrimonio genetico, non più, come aveva pensato Lombroso, partendo dai caratteri antropologici e fisici di un soggetto: il patrimonio genetico sarebbe all'origine di queste manifestazioni e quindi il vero responsabile della nascita di soggetti deviati ed anormali. La scienza assumeva un grande rilievo in quanto nella nuova società riusciva ad individuare e sostenere le nuove ideologie del regime e ad avvalorarne le scelte repressive. Il soggetto deviato diviene infatti una minaccia per lo Stato in quanto mette in pericolo la solidità dello stesso, la sua condotta di vita e le eventuali malattie potrebbero originare una progenie debole ed inadatta al lavoro ed alla guerra, quindi inutile e pericolosa. Il soggetto deviato deve quindi essere eliminato perché la sua pericolosità si riconduce ad un comportamento ritenuto penalmente perseguibile in quanto tende a minare la continuità e la potenza della Nazione.

153 Il regime fascista tutelava come beni massimi, oltre alla salute della Nazione lo Stato stesso nel quale si fondeva l'ideologia politica del Fascismo: lo Stato e la politica divenivano una cosa sola pertanto l'aspetto politico diveniva fondamentale per la sua salvaguardia. In questa visione il criminale politico non poteva certamente essere trattato come un qualsiasi criminale ma il suo comportamento, teso a mettere in dubbio i valori e la politica su cui si fondava lo Stato medesimo, avrebbe dato prova di una pericolosità massima, punibile infatti con l'allontanamento sociale o la morte. I nemici del regime e dei suoi principi incarnano l'antitesi dell'ideale fascista: il non bello, il non forte, il non conformista, il ribelle, ed il criminale vengono a coincidere perché la condotta di questi soggetti sarebbe opposta a quella che i valori fascisti consideravano esemplare e che volevano fosse tenuta in quanto su di essa si fondava l'intera Nazione.

2.2 I fuoriusciti

Il nuovo regime aveva evidenziato come fonte di pericolosità per la sua esistenza il dissenso politico

154 proveniente soprattutto da anarchici, socialisti e comunisti. Il regime trovava la sua forza nella sua unità e il dissidente politico, diveniva un nemico dello Stato, delle sue idee e perciò un criminale da abbattere.

Le persone che si erano allontanate dall'Italia, propagandando contro il Fascismo, diventavano traditori dello Stato e si doveva prospettare per questi una sanzione penale in quanto questi non avrebbero contribuito al successo dello Stato ma, anzi. lo avrebbero ostacolato, danneggiando la propria Nazione.195 Il fuoriuscitismo divenne reato ed ebbe i suoi effetti nella legge sulla cittadinanza. La legge mirava a punire gli ‹‹ pseudo intellettuali e avventurieri di ogni

risma. Contro costoro e solo contro costoro la legge è diretta ››.196 I soggetti colpiti da questo provvedimento erano infatti soprattutto intellettuali e politici che si erano allontanati dal paese in quanto temevano per la loro vita, e la loro posizione di letterati e scienziati famosi li rendeva ancor più temibili agli occhi del regime a causa del prestigio di cui godevano. La legge combatteva in maniera esemplare contro questa forma

195 Colao F. ‹‹ Hanno perduto il diritto di essere considerato figli d'Italia ››. I "fuoriusciti " del Novecento, in ‹‹ Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno ››, 38,

Giuffrè, Milano, 2009, pag. 659.

155 di delinquenza operando la morte sociale del colpevole che perdeva la cittadinanza italiana: non erano degni di mantenerla perché non incarnavano più lo spirito della Nazione ma lo danneggiavano. La perdita della cittadinanza, comportava anche la confisca dei beni i quali nella maggior parte dei casi venivano attribuiti all'Erario. Il dissidente politico veniva così colpito efficacemente anche quando si trovasse all'estero e il suo annientamento era totale, sia dal punto di vista giuridico che economico; il riacquisto della cittadinanza e dei beni sarebbe avvenuto solo quando il dissidente si fosse dimostrato nuovamente un buon italiano, ovviamente a discrezione del regime.