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Una responsabilità da condividere

Dallo Stato liberale al Fascismo: devianza e penalità tra le Grandi Guerre

2.6 Una responsabilità da condividere

Indubbiamente il ruolo degli scienziati, gli studi antropologici, psicologici e sociali svolti per spiegare e dimostrare le differenze tra le diverse etnie scelte fornì una scusa per poter adottare norme repressive nei

219 Mantegazza, alla fine dell'Ottocento scriveva:" A fondere in una sola nazionalità questi Nababbi invidiati d'Israele basterebbe una cosa sola, che cioè gl' Israeliti d'ogni terra cessassero di mutilarsi e di dichiararsi fin dalla nascita diversi da tutti gli uomini d'Europa.[..]Se diversi siete e volete rimanere, rassegnatevi all'odio che separa le cose diverse". Chiare sono le allusioni che

vedevano gli Ebrei un popolo ricco e avaro e la cui religiosità li rendeva isolati. Mantegazza P. La questione antisemitica, in Rossi-Doria A. Antisemitismo ed antifemminismo

nella cultura positivistica in Burgio A. (a cura di), Nel nome della razza, il Mulino, Bologna,

174 confronti di determinati soggetti ritenuti pericolosi, l'adozione delle concrete norme penali è compito e lo era anche allora, solamente del legislatore.

Mario Sbriccoli220 sostiene che la responsabilità dei penalisti, fu di non poco conto perché, se da un lato ad essi andava attribuito il merito di aver evitato che il codice penale assumesse una connotazione ancor più autoritaria salvaguardando la stretta legalità, e l'irretroattività, dall'altro la lesione ai principi di tassatività e determinatezza ebbero risvolti notevoli sul piano sociale. I cittadini videro allontanarsi il senso di difesa che il codice avrebbe dovuto garantire loro per autorizzare invece l'ingerenza statale in ogni ambito della vita, sia privata che pubblica ed il consenso che il Fascismo ottenne tra la popolazione fece cambiare anche l'atteggiamento di questi verso la politica adottata. Vennero così considerate come normali misure che nello Stato liberale non erano pensabili come: l'annientamento del nemico, l'emarginazione della persona ritenuta diversa, sia per ragioni economiche, morali, psichiche o razziali. La tutela della persona, quale valore fondamentale nel periodo liberale, sarebbe

220 Sbriccoli M. Le mani nella pasta e gli occhi al cielo, in ‹‹ Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno ››, 28, Giuffrè, Milano, 1999, pagg. 843-844.

175 stata sacrificata per ideali strumentali al regime e, l'atteggiamento di silenzio dei giuristi di fronte all'emanazione delle leggi razziali, assumerebbe un valore non di poco conto.

L'attribuzione della maggiore responsabilità della campagna razzista svolta nel periodo fascista nei confronti non solo degli Ebrei, che furono sicuramente i più colpiti, ma anche degli Zingari, dei minorati psichici, degli alcolizzati e dei poveri, esclusivamente alla scienza sarebbe pertanto da rivalutare. Lombroso quando trattò la questione ebraica dichiarò la loro diversità antropologica rispetto alla razza ariana ma, al contempo, ravvisò anche la loro integrazione all'interno delle comunità locali ed inoltre considerava i matrimoni misti una risorsa per le popolazioni in quanto avrebbero potuto costituire una possibilità per il rafforzamento dell'umanità. Il lavoro svolto dall'antropologo aveva un carattere scientifico e sicuramente lo stesso medico quando scrisse L'uomo delinquente e gli altri trattati non avrebbe potuto prevedere, così come accadde per Ferri, la forte carica autoritaria che le teorie positivistiche assunsero nel periodo fascista. Nella Relazione al codice di Alfredo Rocco si afferma che ‹‹ Amoralità o immoralità,

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delinquenza, criminalità sono espressioni che in un certo senso si equivalgono perché chi delinque è un amorale e prova con la delinquenza questa sua deficienza di senso morale ››,221 considerazione che era già stata fatta a suo tempo dagli esponenti della Scuola positiva. L'antropologia e la sociologia fornirono indubbiamente un quadro all'interno del quale individuare i soggetti pericolosi ed il Fascismo sfruttò in pieno queste teorie per fondare un sistema penale totalitario ed illiberale. La Scuola positiva infatti, ponendo al centro dell'analisi penale principalmente la pericolosità dell'individuo, determinata solamente in base a misure psichiche, antropometriche o comportamentali, si prestò ad essere sfruttata, in base a quanto detto sinora, dal Fascismo ed interpretata in chiave autoritaria. La previsione della pena di morte ed i ricoveri a tempo indeterminato in strutture quali il carcere o i manicomi si mostrarono istituti adatti per essere indirizzati a soddisfare gli scopi che il diritto penale fascista voleva raggiungere.

221 Rocco A. Relazione ministeriale al disegno di legge, in De Cristofaro E. Legalità e pericolosità. La penalistica nazifascista e la dialettica tra retribuzione e difesa dello Stato, in ‹‹

Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno ››, 36, Giuffrè, Milano, 2007, pagg. 1037-1038.

177 Vi sono però alcune differenze di fondo: il ricovero in un manicomio per la Scuola positiva era previsto in quanto il reo, ritenuto anche infermo di mente, potesse all'interno della struttura trovare un luogo ove curare la propria patologia e, lo stesso carcere doveva principalmente servire da luogo per il recupero dei delinquenti, per fare in modo che questi potessero, una volta terminato il percorso di rieducazione, tornare in comunità. Il sistema fascista invece concepiva le carceri come luoghi dove venisse attuata in pieno la funzione retributiva della pena e che non potevano ispirarsi se non ‹‹ a criteri di severità e rigore idonee all'attuazione di

finalità repressive ››.222

La Scuola positiva metteva in campo pure altre misure idonee a limitare i disagi sociali, come i sostitutivi penali, che spaziavano dalle scuole e i ricoveri per i bambini di strada, ad una maggiore tutela delle persone povere, alla lotta contro la corruzione, al raggiungimento dell'equità e della giustizia sociale. I sostitutivi avrebbero cercato di arginare le cause che conducevano al delitto e, solo dopo la loro attuazione, si sarebbero potute applicare le misure detentive e

222 Rocco A. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale. Relazione sul Libro I del Progetto, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1929, cit. pag. 246.

178 limitative della libertà. Lo Stato fascista invece utilizzò solamente gli istituti che gli erano più utili e sfruttò i risultati dell'antropologia criminale per costruire un sistema penale che concepisse la delinquenza come qualsiasi comportamento volto a mettere in pericolo lo Stato e l'immagine che di esso doveva risultare anche all'estero. Fu la legge a fornire gli strumenti legali per realizzare in pieno gli scopi del regime traducendo nelle norme i principi che esso riteneva fondamentali.223

Sbriccoli dichiara che, benché tutta la scienza penale si fosse indubbiamente mossa seguendo un

continuum224culturale avente le sue fondamenta nelle dottrine giuridiche di fine secolo, specialmente in quelle di stampo positivo, tesi avvalorata dalla circostanza che il regime non avvertì la necessità di modificare l'orientamento giuridico preesistente, allo stesso tempo, tuttavia la penalistica subì un'evidente rottura con il passato. Se indubbiamente la dimensione autoritaria era presente nelle teorie dalla Scuola positiva, questa veniva

223 De Cristofaro E. Legalità e pericolosità. La penalistica nazifascista e la dialettica tra retribuzione e difesa dello Stato, in ‹‹ Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico

moderno ››, 36, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 1048.

224 Sbriccoli M. Le mani nella pasta e gli occhi al cielo, in ‹‹ Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno ››, 28, Giuffrè, Milano, 1999, pag. 823. Concorda sulla continuità tra gli istituti giuridici liberali e fascisti anche Tullio Padovani che la ravvisa infatti nel mantenimento dei principi fondamentali di origine liberale anche se questi furono poi interpretati ed utilizzati dal regime in chiave autoritaria. Padovani T.

179 concepita come necessaria esclusivamente per perseguire scopi difensivi che mirassero a salvaguardare la tranquillità dei cittadini: ed a questo guardavano anche le ricerche di Lombroso; mentre il Fascismo utilizzò tali istituti per tutelare e garantire la stabilità dello Stato.

Alla luce di queste considerazioni sarebbe riduttivo e semplicistico affermare che la repressione dei soggetti ritenuti pericolosi, per ragioni antropologiche, come gli appartenenti a diverse etnie ma anche i soggetti affetti da handicap o da qualche malformazione, fosse totalmente attribuibile all'apporto scientifico soprattutto di matrice positivista. Al contributo della scienza devono aggiungersi altri fattori che tutti insieme concorsero ad alimentare l’intolleranza verso i deboli della società ed a sviluppare nei loro confronti un sentimento di anti- patia.225 La paura che essi suscitavano, a causa della loro diversità, fu accresciuta dalla propaganda fascista che, utilizzando gli stereotipi creati già alla fine del secolo, pubblicò riviste e libri dove si esaltavano il “bello” ed il “forte”: la perfezione dell’uomo rifletteva la

225 Il senso del termine anti-patia è da intendersi come utilizzato da Garofalo nel senso di “contrario al sentimento della comunità”, cioè alla scala di valori esistente nella società.

180 perfezione dello Stato e la sua modernità. In quest’ottica non era plausibile tollerare la presenza dei “diversi” che dovevano essere eliminati o quanto meno neutralizzati. In tale scenario i giuristi226 contribuirono non poco a costruire un sistema ed uno Stato totalitario; infatti se con riguardo al codice essi "limitarono i danni",227 non così fu per la vasta legislazione eccezionale, non limitata dalle garanzie codicistiche, che fu varata nel periodo del regime e di cui furono vittime tutte quelle persone colpevoli loro mal grado di essere e di sentirsi diversi da quello che era e doveva essere "la normalità".

226 L’operato dei giuristi non si limitò al campo penale ma le riforme del periodo fascista videro la modifica di tutti i settori della vita pubblica e privata con l’entrata in vigore di quattro nuovi codici:codice civile, codice penale, codice di procedura civile e di procedura penale. Al sistema codicistico si aggiunse una vasta riforma del lavoro e della burocrazia, a conferma di come il regime mirasse a controllare tutti gli aspetti della vita del cittadino.

227 La codificazione di principi come l’irretroattività,la tassatività e la legalità fornirono certamente un qualche argine alla dimensione autoritaria che investì soprattutto la parte speciale del codice. Tullio Padovani e Luigi Stortoni sottolineano come l’organizzazione delle fattispecie rifletterebbe il modo legislativo di pensare la norma, circoscrivendo in questa maniera l’ambito operativo dell’ interprete e rivelando, nelle soluzioni operate, una determinata visione politica. La stessa decisione di inserire i principi garantisti nella parte generale sarebbe stata una scelta politica perché da un lato avrebbe permesso di presentare il codice come inserito nella tradizione liberale dall’altro avrebbe consentito di inserire nella parte speciale le fattispecie che si sarebbero configurate come utili strumenti per il controllo sociale da parte dello Stato. Padovani T.-Stortoni L. Diritto penale e fattispecie criminose, Il Mulino, Bologna, 2006 pagg. 66 e 85.

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Capitolo V