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La codificazione del ne bis in idem nazionale in alcuni strumenti internazional

Le istanze di tutela della persona avverso gli abusi del potere punitivo non sono rimaste circoscritte al piano nazionale. La necessità di salvaguardare il singolo individuo dalla possibilità di un duplice giudizio e di una duplice pena per il medesimo fatto criminoso ha infatti da lungo tempo trovato consacrazione in alcune importanti convenzioni internazionali; in particolare, tale divieto è contenuto nel Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966162, nella Convenzione interamericana sui diritti umani del 1969163, nel Protocollo

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Tale patto, firmato a New York il 16 dicembre 1966 ed aperto alla firma il 19 dicembre dello stesso anno, è stato reso esecutivo con l. 25 ottobre 1977, n. 881 (in Gazz. Uff., suppl. ord. al n. 333 del 7 dicembre 1977), mentre il deposito della ratifica è avvenuto il 15 settembre 1978 (ibidem, n. 328 del 23 novembre 1978). È entrato in vigore sul piano internazionale il 23 marzo 1976, per tutte le previsioni, eccetto l’art. 41, in vigore dal 28 marzo 1979; è entrato in vigore per l’Italia il 15 dicembre 1978.

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Cfr. American Convention on Human Rights, adottata nel corso della Inter-American Specialized Conference on Human Rights a San José, Costa Rica, il 22 novembre 1969, la cui

59 integrativo della CEDU del 1984164 e nella Carta proclamata a Nizza il 7 dicembre del 2000165.

La peculiarità di questi strumenti internazionali consiste nel fatto che essi sanciscono l’obbligo internazionale dello Stato di rispettare a livello interno il divieto di bis in idem; si tratta insomma di un obbligo posto dal diritto internazionale, che vincola gli Stati ad un determinato standard di tutela di un diritto fondamentale all’interno del proprio territorio. E poiché la preclusione, ancorché prevista da una norma di diritto internazionale, difetta di ogni carattere di transnazionalità, si tratta ancora di un ne bis in idem nazionale o, come anche si dice, di domestic ne bis in idem. Nonostante qualche isolata voce contraria, non sembra infatti sussistere nessun dubbio circa il fatto che il divieto di doppio giudizio in cui queste norme si sostanziano sia cosa ben diversa dall’attribuzione di efficacia preclusiva alla sentenza penale straniera; così come, mutatis mutandis, nessuno ritiene che il divieto di molteplice pena per il medesimo fatto sancito da queste convenzioni implichi l’accoglimento, all’interno degli stessi trattati internazionali, del c.d. Anrechnungsprinzip.

La valenza esclusivamente interna del divieto di bis in idem contenuto in questi strumenti internazionali nulla toglie tuttavia all’importanza della sua codificazione. Il riconoscimento del divieto in parola in atti internazionali di così evidente valenza politico-ideologica assume infatti un forte significato simbolico e giuridico, lasciando intendere che il ne bis in idem è ormai assurto al rango di diritto fondamentale dell’individuo di cui la stessa Comunità internazionale si preoccupa sia garantita l’osservanza. In particolare, la previsione del ne bis in

idem in convenzioni internazionali rappresenta lo strumento indispensabile per

assicurare al principio in parola un’efficacia non affidata alla autolimitazione dei

versione inglese è consultabile on line alla pagina

http://www.cidh.org/Basicos/English/Basic3.American%20Convention.htm. L’art. 8.4 di tale convenzione prevede che “An accused person acquitted by a nonappealable judgment shall not be subjected to a new trial for the same cause”; cfr. sul punto G. CONWAY, Ne bis in idem in

International Law, in 3 Int. Crim. Law Review, 2003, 219. 164

Tale protocollo, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984, reso esecutivo con l. 9 aprile 1990, n. 98, in Gazz. Uff., suppl. ord. al n. 100 del 2 maggio 1990, con ratifica depositata il 7 novembre 1990, è entrato in vigore per l’Italia il 1. febbraio 1992 e sul piano internazionale il 1. novembre 1998.

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L’art. 50 della Carta di Nizza prevede che “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

60 poteri pubblici dei singoli Stati166. L’eventuale violazione degli obblighi assunti in via pattizia espone infatti lo Stato ad una responsabilità internazionale; in alcuni casi, poi, il mancato rispetto del divieto di bis in idem da parte dello Stato è fonte di una pretesa risarcitoria del cittadino, come accade ad esempio nel sistema della CEDU.

Senza contare che il riconoscimento del ne bis in idem (nazionale) da parte di norme di diritto internazionale pattizio ha conseguenze di un certo rilievo anche per quanto concerne l’ampiezza della preclusione. Ed invero, nonostante il divieto in parola dispieghi la propria efficacia solamente all’interno dei singoli ordinamenti nazionali, è la stessa norma internazionale a sancirne la portata; questo pare tanto più rilevante laddove, come nel caso del divieto contenuto nel VII Protocollo addizionale alla CEDU, è lo stesso strumento internazionale a prevedere meccanismi giurisdizionali di controllo delle eventuali violazioni da parte degli Stati. Inoltre, la previsione del c.d. domestic ne bis in idem in convenzioni internazionali può svolgere un’importante funzione promozionale delle istanze di tutela individuale, in una duplice direzione. Da un lato, infatti, può essere d’aiuto nella formazione di una norma di diritto internazionale consuetudinario avente ad oggetto il ne bis in idem interno; norma peraltro che secondo alcuni si sarebbe già formata167. Dall’altro lato, e soprattutto, il riconoscimento internazionale del ne bis in idem interno, ponendo l’accento sulle esigenze di garanzia della persona da una duplicazione dei giudizi, promuove indirettamente anche il riconoscimento del c.d. ne bis in idem internazionale, la cui ratio essendi non differisce in misura decisiva dal divieto di doppio processo operante all’interno dello stesso ordinamento.

Vero tutto ciò, non si può tuttavia nascondere che, sebbene il riconoscimento del ne bis in idem in questi strumenti internazionali segni un evidente passo in avanti, la strada verso la piena affermazione del diritto in discorso è ancora lunga da percorrere. Il divieto di duplice processo e pena per il medesimo fatto non può infatti essere ancora considerato un droit de l’homme, dovendosi piuttosto parlare

166

G. SILVESTRI, La parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione di un concetto, in Riv. dir. cost., 1996, 64.

167

Secondo A. CASSESE, International Criminal Law, Oxford, 2008, “the ‘internal’ ne bis in idem

61 del ne bis in idem come di un droit du citoyen riconosciuto a livello internazionale168. Insomma, nonostante i proclami e le affermazioni di principio il divieto in parola è ancora un “diritto del cittadino” in senso stretto, volto a regolare esclusivamente i rapporti tra lo Stato e la persona che ha subito un processo o espiato una pena sul territorio nazionale. Lo straniero – ma anche il cittadino – che sia stato giudicato all’estero non può vantare alcuna pretesa nei confronti del Paese in cui faccia ingresso; la garanzia dal bis in idem ha, sotto il profilo territoriale, la stessa ampiezza dei confini nazionali: superate quelle frontiere la persona perde anche il beneficio della preclusione processuale.

Si è determinata così una situazione anomala: da una parte, il diritto a non essere processati o puniti due volte a cagione del medesimo illecito costituisce oggi un diritto essenziale dell’individuo, affermato da Carte internazionali e talvolta oggetto di controllo giurisdizionale da parte di giudici sovranazionali, come la Corte europea dei diritti dell’Uomo. Dall’altra parte, però, il riconoscimento del ne bis in idem come diritto fondamentale è stato sostanzialmente amputato, attraverso il c.d. limite della doppia sovranità, attraverso il quale si fanno valere le pretese punitive di uno Stato diverso da quello in cui si è svolto il primo giudizio o eseguita la sanzione. Siamo insomma di fronte ad un diritto fondamentale che manca di universalità e che lascia la persona sprovvista di tutela ogni volta in cui essa si sposta fisicamente in un Paese diverso da quello in cui è stata processata o ha espiato la pena. E questo nonostante il fatto che, una volta inteso come diritto fondamentale dell’essere umano, il ne bis in idem non dovrebbe incontrare barriere nazionali alla propria efficacia, trattandosi appunti di un diritto riconosciuto erga omnes alla persona come tale. Tale situazione, invero paradossale, pare tuttavia in via di tendenziale superamento, per lo meno in Europa, dove il riconoscimento del ne bis in idem transnazionale rende tutto sommato obsoleti i discorsi intorno al ne bis in idem nazionale previsto in accordi internazionali169.

168

Sulla dissociazione tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino, Cfr. anche A. HARENDT, Les

origines du totalitarisme II: L’impérialisme, Paris, 1982, 276: “Personne ne semble capable de

définir avec certitude ce que sont ces Droits de l’Homme en general, par opposition au droits du citoyen”.

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62 8. La tutela apprestata dal Patto internazionale sui diritti civili e politici Per quanto concerne il Patto internazionale del 1966, l’art. 14 n. 7 prevede che “nessuno può essere perseguito o punito in ragione di un reato per il quale è già stato prosciolto o condannato in forza di una sentenza definitiva, conformemente alla legge e alla procedura penale di ciascun Paese”.

L’ambiguità della norma ha fatto dubitare della valenza del divieto. In particolare, ci si è chiesti se la garanzia in parola operasse anche nell’ambito dei rapporti giurisdizionali tra autorità di Stati diversi o se, invece, dispiegasse la propria efficacia esclusivamente sul piano nazionale, costituendo dunque la mera codificazione, a livello internazionale, del ne bis in idem nazionale170. Da una parte, si è sostenuto che la disposizione in parola sancisse il divieto di bis in idem “anche in relazione alla possibilità di un secondo giudizio in uno Stato diverso da quello originario”171, argomentando sulla base del fatto che, non solo la tendenza emersa a livello internazionale pareva orientata proprio in questo senso172, ma che “nell’ambito di un documento come il Patto in questione, la garanzia dovesse venire concepita come ristretta al solo ambito dell’efficacia “interna” delle pronunce giurisdizionali”173. Dall’altra, a favore di una lettura “minimalista” della norma, volta a limitarne l’ambito applicativo all’interno dei singoli ordinamenti statali, si è sottolineato come una convenzione relativa ai diritti dell’uomo non costituisse la sede migliore per risolvere i numerosi problemi sollevati dal ne bis

in idem internazionale; l’art. 14 n. 7 del Patto opererebbe soltanto in relazione alle

decisioni giudiziarie di un medesimo Stato: “telle paraît être, d’ailleurs,

170

L’estrema indeterminatezza dell’art. 14.7 è unanimemente riconosciuta dalla dottrina che si è occupata dell’argomento; cfr., per tutti, D. SPINELLIS, Global Report. The ne bis in idem principle in “global” instruments, cit., 1152 s. ed autori ivi citati.

171

M. CHIAVARIO, Le garanzie fondamentali del processo nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, 496.

172

M. CHIAVARIO, loc. cit., cui adde N. GALANTINI, Ne bis in idem e double jeopardy come diritto

della persona, in Giust. Cost., 1982, 88; entrambi gli Autori, d’altronde, sembrano aver avuto un

ripensamento: M. CHIAVARIO, Processo e garanzie della persona, II, Le garanzie fondamentali, 3.

ed., Milano, 1984, 250 s., pare più cauto nell’affermare che il Patto codifichi il ne bis in idem internazionale; in senso decisamente negativo, poi, N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem” internazionale nel processo penale, Milano, 1984, 199.

173

M. CHIAVARIO, Processo e garanzie della persona, cit., 250 s.; lo stesso Autore, d’altra parte,

evidenzia come “la prospettata estensione della garanzia alla dimensione internazionalistica ponga delicati problemi di collaborazione giudiziaria, per evitare che un’accorta condotta processuale dell’accusato, ed eventuali fughe all’estero, ‘pilotino’ irrimediabilmente la risposta giudiziaria verso una soluzione di comodo”.

63

l’interprétation correcte de la clause correspondante du pacte international”174. Questo dibattito può dirsi oggi sostanzialmente sopito, poiché alla luce della giurisprudenza pare difficile oggi dubitare della valenza esclusivamente interna del divieto. La stragrande maggioranza delle Corti nazionali175, compresa la Corte costituzionale italiana176, e lo stesso Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani177, hanno infatti costantemente negato alla garanzia sancita dall’art. 14 n. 7 del Patto valenza transnazionale, per cui l’opinione oggi più accreditata rimane quella che riconosce alla disposizione in parola la funzione di obbligare gli Stati a rispettare il principio del ne bis in idem all’interno del proprio ordinamento178.

Per quanto poi concerne i contenuti della garanzia, la norma sconta un limite di fondo che è quello di essere una soluzione di compromesso fra i princìpi vigenti in diversi sistemi giuridici; questo fa sì che la garanzia contenuta nel Patto Internazionale costituisca una sorta di “massimo comune denominatore” delle applicazioni del ne bis in idem accolte nei singoli Stati. Così, la garanzia sorge in seguito alla pronuncia di una sentenza definitiva, con un arretramento di tutela rispetto a quanto accade nei Paesi di Common Law rispetto ai quali opera il divieto di double jeopardy. Inoltre, il punto di riferimento è sempre il “reato”, per cui sembrerebbe che la norma internazionale non vieti un doppio giudizio quando

174

Così H. DANELIEUS, Rapport, in CONSEIL DE L’EUROPE, Conférence parlamentare sur le droits de l’Homme, Strasbourg, 1972, 16; si v. anche M. R. MARCHETTI, sub art. 4, in Legis. pen., 1991,

248.

175

Cfr. D. SPINELLIS, Global Report. The ne bis in idem principle in “global” instruments, cit.,

1152, cui si rimanda per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

176

Cfr. Corte Cost. nella sentenza 8 aprile 1976, n. 69, in Giur. Cost, 1976, I, 432, dove si afferma che “l’enunciativa di principio ivi contenuta concerne il divieto del bis in idem con riferimento ai rapporti tra le decisioni giudiziarie di un medesimo Stato, e non tra quelle di Stati diversi”.

177

Comunicazione n. 204 del 16 luglio 1986, CCPR/C/31/D/204/1986, par. 7.3 (caso A.P. c. Italia), dove si legge che l’art. 14 par. 7 “n’interdit les doubles condamnations pour un même fait que dans les cas des personnes jugées dans un Etat donné”.

178

Cfr. fra i molti, M. PRALUS, Etude en droit pénal international et en droit communautaire d’un aspect du principe non bis in idem: non bis”, in Revue de science criminelle, juillet-septembre

1996, 568: “Cette solution, minimaliste, nous paraît être aujourd’hui la plus sage : ce ne serait pas rendre service à la règle non bis in idem que d’essayer de lui donner, beaucoup trop tôt pour qu’elle puisse être ainsi reçue, portée générale e contenu sans nuance”. Si v. anche le considerazioni svolte da M. HENZELIN, “Ne bis in idem”, un principe à géométrie variable, in ZStR, 2005, 354 s. Merita in ogni caso notare come in sede di lavori preparatori per l’elaborazione di uno Statuto per una Corte penale internazionale, si sia fatto un espresso richiamo all’art. 14 n. 7 del Patto in quanto contenente “a fundamental principle of criminal law”. Cfr. il Report on a Draft

Statute for an International Criminal Court redatto dal Working Group della Commissione del

diritto internazionale, in Int. Legal Materials, 1994, 282; sul punto, con maggiore ampiezza, R. BARATTA, Ne bis in idem, diritto internazionale e valori costituzionali, in AA.VV., Divenire

sociale e adeguamento del diritto. Studi in onore di Francesco Capotorti, I, Diritto internazionale,

64 il medesimo fatto è diversamente qualificato sotto il profilo normativo179; si assiste dunque ad una tutela minore rispetto a quella riconosciuta in molti sistemi di civil law, come dimostra la giurisprudenza formatasi in Italia sull’art. 649 c.p.p. L’altra caratteristica fondamentale della norma in oggetto consiste nella sostanziale equiparazione del ne bis in idem sostanziale e processuale; i due princìpi sono infatti posti sullo stesso piano e subordinati ai medesimi presupposti (“nessuno può essere perseguito o punito in ragione di un reato per il quale è già stato prosciolto o condannato in forza di una sentenza definitiva). La ragione di questa equiparazione potrebbe rinvenirsi nella volontà di enfatizzare la portata garantista del ne bis in idem, tanto nella sua dimensione sostanziale che in quella processuale. Questa scelta redazionale, tuttavia, se è del tutto in linea con lo strumento normativo all’interno del quale la norma viene a collocarsi – un “catalogo” di diritti civili e politici aventi rilevanza internazionale – solleva più di una perplessità sul piano logico-sistematico. Da un lato, infatti, si finisce per subordinare espressamente l’operatività del ne bis in idem sostanziale all’esistenza di una sentenza definitiva di condanna; per questa via, il principio in discorso sembra ridursi ad una sorta di ne bis in idem esecutivo, a garanzia dello scomputo della pena già scontata. Dall’altro lato, si creano tutte le premesse per un’interpretazione del ne bis in idem processuale alla stregua degli stessi parametri validi per il divieto di marca sostanziale. Una scelta, quest’ultima, che sembra cozzare con il diverso fondamento assiologico dei due princìpi.

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