• Non ci sono risultati.

Nessi sistematici e convergenze funzionali del ne bis in idem sostanziale e processuale

L’analisi fin qui condotta era diretta a porre in luce le differenze – in punto di fondamento e presupposti applicativi – esistenti tra ne bis in idem sostanziale e processuale; differenze che, dicevamo, hanno impedito una ricostruzione unitaria del superiore principio del ne bis in idem nell’elaborazione penalistica italiana e non solo. Sennonché, nel corso dell’analisi sono emersi alcuni elementi che consentono di individuare un nucleo centrale di significato comune ad entrambi. Tale nucleo comune deve essere individuato nel fatto che i due princìpi sono espressione della ricerca di un punto di equilibrio tra istanze punitive dello Stato e ragioni di tutela del singolo; ne bis in idem sostanziale e processuale rispondono alla medesima logica di tutela del singolo avverso i possibili arbìtri del potere giudiziario.

È questa comunanza di significato a far sì che entrambi i princìpi risentano fortemente di scelte ideologiche dell’ordinamento e dei rapporti di maggiore o minore fiducia che esistono tra potere legislativo e giudiziario156. Il fatto che ne

bis in idem sostanziale e processuale rappresentino entrambi un ostacolo

all’esercizio arbitrario, e perciò illegittimo, del magistero punitivo da parte dell’autorità giudiziaria157, concorre inoltre a spiegare come mai la

154

In questo senso la Court of Appeal si era già espressa nel decidere il caso Faulkner, (1972) 56 Cr.App.R. 594. “in this case where the second sentence of three years was made consecutive and was one relating to the carrying of a firearms, this Court would wish to stress that that was a perfectly proper approach to the problem, and one which should be followed. However, at the end of the day, as one always must, one looks at the totality and asks whether it was too much”.

155

Cfr. French, (1982) 4 Cr.App. R. (S.) 57: “in the end, whether the sentences are made consecutive or concurrent, the sentencing judge should try to ensure that the totality of the sentence is correct in the light of all the circumstances of the case. In particular of course he must make sure – it goes without saying – that the defendant must not in effect be sentenced twice for carrying a gun”.

156

Cfr. supra para 3.1., 5.1 e 5.2.

157

56 positivizzazione di uno solo dei due princìpi nella Carta fondamentale non abbia impedito, in alcuni ordinamenti, l’affermazione della rilevanza costituzionale di ambedue158.

Ma soprattutto la presenza di questo nucleo comune di significato consente di cogliere l’omogeneità di problematiche sollevate dalla circostanza che l’efficacia operativa di entrambi è subordinata al ricorrere del presupposto dell’identità dei fatti già giudicati o puniti. Tanto l’ampiezza del divieto di doppio giudizio che quella del divieto di molteplice pena per lo stesso fatto dipendono invero dal significato che si attribuisce alla locuzione “medesimi fatti”159. Con ciò, non si vuole affermare né una sorta di parallelismo funzionale, né, tanto meno, la necessaria identità di significato che l’espressione “medesimi fatti” assume nell’uno e nell’altro principio, quanto constatare come il contenuto regolativo del

ne bis in idem sostanziale e processuale si caratterizzi per una costante dialettica

tra dimensione normativa e fattuale dell’illecito che ne costituisce il presupposto applicativo.

Pare insomma che sia il ne bis in idem sostanziale che l’omonimo principio processuale risolvano la contrapposizione tra istanze punitive della collettività organizzata e ragioni di garanzia del singolo individuo, nella valorizzazione o meno della distanza esistente tra l’astrattezza e generalità del precetto penale e la concretezza e particolarità del singolo episodio criminoso; in particolare, riallacciandosi a quanto detto in precedenza, non sembra insensato affermare che tutte le teoriche elaborate in materia, tanto sulla sponda processualistica che su quella sostanzialistica, sembrano oscillare tra due concezioni notevolmente divergenti. Secondo una prima linea di pensiero, al centro del giudizio di medesimezza sta il fatto inteso in senso tendenzialmente storico-naturalistico caratterizzato da un suo peculiare disvalore pre-giuridico; è tale disvalore che

158

Si v. ad esempio la giurisprudenza della Corte Suprema statunitense in materia di double jeopardy, a partire dallo storico caso Ex parte Lange, in 85 U.S. (18 Wall) 163 (1873). In quella occasione, nonostante il V emendamento della Costituzione americana si limiti a prevedere che “[N]or shall any person be subject for the same offense to be twice put in jeopardy of life or limb”, la Corte Suprema affermò che “the Constitution was designed as much to prevent the criminal from being twice punished for the same offence as from being twice tried”. Si v. sul punto, tra i molti, Twice in Jeopardy, cit., 266; P. WESTEN, The Three Faces of Double Jeopardy: Reflections

on Government Appeals of Criminal Sentences, cit., 1023 s. e G.H. THOMAS, A Unified Theory of

Multiple Punishment, in 47 U. of Pittsburgh L.R., 1985, 1 ss. 159

Analog. Twice in Jeopardy, cit., 267: “The rules which bar retrial and multiple punishment have a crucial similarity. Their scope depends on what is meant by ‘the same offense’”.

57 finisce per determinare i confini spazio-temporali del fatto, come accadimento di vita unitario, perché così percepito dalla collettività. A questa prima concezione se ne contrappone una di marca “normativistica”, secondo la quale l’identità del fatto non è un concetto graduabile a seconda del contenuto di disvalore concretamente realizzatosi, ma questa si risolve esclusivamente nella contrapposizione tra unità e pluralità di illecito, secondo quanto stabilito dal legislatore attraverso la tipizzazione dei reati, ciascuno dei quali è di per sé sintesi normativa del disvalore giuridicamente rilevante.

Ciò che qui preme rilevare è come l’alternativa tra concezioni “normativistiche” e “naturalistiche” permei il dibattito sul ne bis in idem processuale e sostanziale, a conferma di come entrambi in princìpi vivano nella costante dialettica tra norma e fatto, repressione e garanzia. E in entrambi i casi l’alternativa tra normativismo e naturalismo si po

ne perché l’identità o meno di due fatti criminosi non è una realtà ontologica immanente a certe situazioni, ma esprime un determinato punto di vista del legislatore sulla società160. Quello di identità/difformità è infatti un giudizio di valore che implica, innanzitutto, la scelta dei criteri attraverso cui qualificare normativamente la realtà fattuale, i quali cambiano a seconda del fine rispetto al quale la valutazione – giuridica, normativa – è compiuta161. Ed allora, quando i parametri alla cui stregua deve essere effettuato il giudizio circa la “identità dei fatti” non sono pre-dati, ma costituiscono, essi stessi, l’esito di una complessa operazione ermeneutica, volta ad individuare lo scopo perseguito da divieto ed a bilanciarlo con contrapposti interessi, risorge prepotente l’alternativa tra norma e fatto; e proprio l’analisi in tema di ne bis in idem dimostra come questa alternativa trova espressione in una logica necessariamente dialettica, data dal trascorrere dal particolare all’universale e viceversa.

Ciò non toglie, d’altra parte, che questa dialettica costante tra norma e fatto assuma poi declinazioni diverse nel ne bis in idem sostanziale ed in quello processuale. Mentre il primo vive nella dimensione dell’ “essere”, per così dire,

160

Cfr. F. COPPI, Reato continuato e cosa giudicata, Napoli, 1969, 189 ss. 161

A. MORO (Unità e pluralità di reati, cit., 149 ss.) evidenzia come i concetti di reato, di pena, di concorso ideale sono quasi questioni di intuizioni del mondo; essi “sono sì oggetto di indagine scientifica, ma di una scienza nella quale si nasconde sempre un momento della più alta presa di posizione personale che esclude una decisione pienamente certa ed obiettiva”.

58 dove l’alternativa è tra un contenuto offensivo presente in astratto o in concreto, ma comunque esistente, nel secondo assume rilevanza preminente la dimensione del “dover-essere”, per cui il rapporto dialettico si instaura tra due comandi, quello proprio della norma, rivolto alla generalità dei consociati, e quello individuale e concreto, contenuto nel dispositivo della sentenza del giudice. Più precisamente, quando viene in gioco il ne bis in idem sostanziale, il problema che si pone è quello di mettere in relazione due fatti giuridici: quello storicamente realizzatosi e quello individuato dal Tatbestand legale. La questione è leggermente diversa quando si tratta di applicare il ne bis in idem processuale. In quest’ultimo caso, infatti, assume primaria rilevanza il rapporto norma-giudicato: il disvalore c’è, ma il giudicato lo afferma e in questo senso c’è una dimensione di dover essere. Anche nelle ipotesi disciplinate dal ne bis in idem processuale si assiste dunque ad una dialettica tra fatto e norma; solo che tale dialettica è “mediata” dalla dimensione imperativa che permea di sé il ne bis in idem processuale: nel momento dell’esecuzione della sentenza, non possono esservi pronunce contrastanti, ché allora il giudice dell’esecuzione non saprebbe a quale comando dar seguito.

7. La codificazione del ne bis in idem nazionale in alcuni strumenti

Outline

Documenti correlati