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Il concetto di “medesimo fatto” presupposto del ne bis in idem estradizionale ed i rapporti con la previsione bilaterale del fatto.

Resta a questo punto da affrontare l’ultima questione relativa all’ambito applicativo del ne bis in idem estradizionale, vale a dire la nozione di “medesimi fatti” che ne costituisce il presupposto; ed invero, com’è stato scritto, è questo un “concetto che tutte le norme disciplinanti il ne bis in idem estradizionale evocano, ma che nessuna di esse definisce”272.

Ebbene, posto che la codificazione del principio nei trattati estradizionali pone la necessità di effettuare un giudizio di comparazione tra il fatto già giudicato con sentenza definitiva ed il fatto per il quale viene domandata l’estradizione, questo problema, come accennavamo, è risolto dallo Stato detentore facendo riferimento alla propria nozione di “cosa giudicata”, per cui il giudice nazionale valuta l’ammissibilità dell’estradizione alla stregua dei medesimi parametri sanciti dal codice di rito in materia di efficacia preclusiva della sentenza nazionale. Che non si tratti di una soluzione obbligata, d’altro canto, è evidente: in teoria, infatti, la nozione di “medesimi fatti” presupposto del ne bis in idem estradizionale ben avrebbe potuto essere fatta oggetto di una specifica previsione nello stesso trattato, che, quindi, avrebbe una volta per tutte individuato i parametri alla stregua dei quali effettuare siffatto giudizio di comparazione273. Sennonché, come detto in precedenza, la soluzione di rimettere allo Stato richiesto la

271

Cfr. sul punto, più ampliamente, N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 173.

272

G. DEAN, Profili di un’indagine, cit., 68.

273

98 determinazione della nozione di “idem”, pare non solo assolutamente costante nella prassi internazionale, ma anche perfettamente in linea con il fondamento del principio e, in particolare, con il fatto che esso opera sul necessario presupposto della consumazione dell’azione penale da parte dello Stato detentore.

Se dunque nessun problema teorico si pone riguardo al fatto che i limiti dell’efficacia “impeditiva” della prima sentenza sono stabiliti dallo stesso Stato cui spetta decidere dell’ammissibilità dell’estradizione – per cui il giudice si comporterà come se si trattasse di valutare della ammissibilità di un nuovo giudizio in idem da parte delle Corti nazionali – i maggiori problemi sorgono nel momento in cui si pone mente al fatto che, per effettuare siffatta operazione, il giudice nazionale deve necessariamente comportarsi “come se il fatto per cui

viene richiesta l’estradizione fosse previsto nel proprio ordinamento”274. In altre parole, dei due giudizi ipotetici è il secondo quello che pone le maggiori difficoltà, poiché nessuna finzione può cancellare la circostanza che, delle due fattispecie incriminatrici sub judice, solo una – quella a base del primo giudizio – appartiene all’ordinamento che decide dell’estradizione, mentre l’altra è necessariamente “eteroconnotata”275, appartenendo ad un diverso ordinamento giuridico. È questo, notoriamente, un tradizionale problema connesso all’operatività del ne bis in idem nei rapporti tra Stati diversi; nondimeno, questa problematica assume qualche peculiarità in materia di estradizione.

In primo luogo, com’è stato notato, delle due “fattispecie giudiziali” a confronto, solo una “possiede una fisionomia compiuta, immutabile, comunque non più soggetta alle dinamiche dell’accertamento giudiziario, mentre l’altra, ancorché cristallizzata nella richiesta di consegna dell’estradando, potrebbe con il tempo […] arricchirsi di nuovi connotati ovvero perdere quelli preesistenti, magari assumendo sembianze completamente diverse da quelle su cui si è esercitato l’originario iudicium comparationis”276. Al riguardo, a parte l’ovvio rilievo che un problema del genere si pone esclusivamente nelle ipotesi di estradizione “processuale”, merita comunque notare che un sicuro argine alla “trasfigurazione” della fattispecie estera è offerto dal principio di specialità

274

G. DE FRANCESCO, Il concetto di “fatto”, cit., 651.

275

Così, efficacemente, G. DEAN, Profili di un’indagine, cit., 68 s.

276

99 comunque vigente in materia di estradizione, a meno che l’operatività di quest’ultimo principio non sia esclusa dal consentement dello Stato richiesto alla sua violazione277.

In secondo luogo, del tutto peculiari sono i rapporti intercorrenti tra la nozione di “cosa giudicata” stabilita dal codice di procedura penale e l’oggetto del giudizio di comparazione che il giudice che decide dell’ammissibilità dell’estradizione deve compiere. Più precisamente, posto che il giudice nazionale, nel valutare i limiti preclusivi del giudicato interno ai fini della concessione dell’estradizione, compie un giudizio d’identità avente come oggetto due fatti qualificati – quello oggetto della sentenza definitiva nazionale e quello oggetto della domanda di estradizione – e come parametro le regole nazionali in tema di ne bis in idem processuale, sembra che la rilevanza da queste ultime attribuita alla dimensione normativa o storico-naturalistica dell’illecito abbia rilevantissime conseguenze sul tipo di procedimento logico che il giudice deve compiere e, in ultima analisi, sulla plausibilità delle conclusioni cui egli perviene in forza di una valutazione che è necessariamente parziale, in forza del fatto che una delle due fattispecie appartiene ad un diverso ordinamento giuridico.

Ed invero, se in materia di efficacia preclusiva del giudicato, l’ordinamento attribuisce rilevanza dirimente al fatto storico realizzato, il giudice che decide dell’ammissibilità dell’estradizione dovrà porre a confronto il fatto storico oggetto del primo giudizio ed il fatto storico posto a fondamento della domanda di estradizione. Sennonché, riguardo a quest’ultimo, è evidente che il giudice nazionale potrà fare riferimento esclusivamente agli elementi storico-naturalistici che lo Stato richiedente ha indicato nella domanda di estradizione in quanto rilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie incriminatrice estera, nonostante sia palese che questi elementi non sono necessariamente i medesimi che rilevano ai fini della sussunzione del fatto nella norma incriminatrice nazionale; nonostante ciò, il giudice è comunque costretto ad operare come se la descrizione dei due fatti storici fosse integrale e dunque condotta alla stregua delle sole norme nazionali. Di converso, se la preclusione processuale in ambito nazionale è ancorata alla

277

Cfr. per esempio l’art. 14.1. lett. a) Conv. eur. estr.; in generale, sui rapporti tra principio di specialità e ne bis in idem estradizionale, si v., per tutti, N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 183 ss.

100 qualificazione giuridica del fatto, il giudice sarà chiamato a confrontare la fattispecie a base del primo giudizio (nazionale) con quella posta a base della domanda di estradizione, al fine di valutarne l’identità; ma in siffatta operazione, egli si comporterà utilizzando i consueti criteri utilizzati per decidere sul concorso di norme e, quindi, come se esistesse nella legge penale nazionale una fattispecie incriminatrice identica a quella in forza del quale lo Stato richiedente domanda l’estradizione.

Ebbene, poiché tale stato di cose è una conseguenza ineliminabile del fatto che il giudice che decide dell’ammissibilità dell’estradizione utilizza come parametro del giudizio la nozione di res judicata stabilita dal codice di rito ad altri fini – e segnatamente per disciplinare il divieto di doppio processo in ambito esclusivamente nazionale – la soluzione della complessa problematica è, per così dire, “a rime obbligate”. O gli Stati si accordano per stabilire una nozione comune di “medesimi fatti” da adottare ai fini dell’applicazione del ne bis in idem estradizionale, abbandonando la tradizionale unilateralità della disciplina dell’estradizione e, così facendo, allontanandosi dalle ragioni più profonde del principio; oppure la questione resta di pertinenza del Paese detentore, che non sembra avere altra valida alternativa all’utilizzo delle norme nazionali che disciplinano il divieto di doppio processo. Da un lato, infatti, tale parametro è quello maggiormente in linea con la ratio del principio e con la circostanza che questo opera sul presupposto della consumazione dell’azione penale da parte dello Stato di rifugio; dall’altro lato, sembra che anche qualora lo Stato richiesto elaborasse una nozione ad hoc di “medesimi fatti” da utilizzarsi ai fini dell’applicazione del ne bis in idem estradizionale, i problemi prima evidenziati non troverebbero comunque una soluzione, trovando la propria origine nella discrasia tra l’origine comunque “nazionale” del parametro del giudizio e la natura “estera” di una delle fattispecie rilevanti nel caso di specie.

D’altro canto, a ridimensionare notevolmente l’urgenza della questione intervengono due fattori a nostro avviso decisivi. In primo luogo, la maggioranza degli Stati adotta, in materia di efficacia preclusiva del giudicato interno, una nozione storico-naturalistica di “idem” e questo fa sì che la garanzia dell’estradando assuma la massima ampiezza possibile: l’unilateralità della

101 disciplina dell’estradizione, nonostante gli inconvenienti pratici prima evidenziati, si accompagna dunque, nella maggioranza dei casi, ad una più efficace tutela dei diritti dell’individuo. In secondo luogo, sembra che ogni volta che la fattispecie estera si caratterizza per elementi costitutivi diversi ed ulteriori da quella nazionale, l’estradizione verrà il più delle volte negata in forza del limite della previsione bilaterale del fatto: il giudice nazionale, proprio nei casi in cui è più complesso il giudizio circa l’identità del fatto oggetto del primo processo e della domanda di estradizione, potrà negare la consegna in forza del diverso principio della duplice incriminazione ed i problemi prima evidenziati assumeranno una rilevanza esclusivamente teorica.

Quest’ultima notazione consente di affrontare l’ultimo problema sollevato dal

ne bis in idem estradizionale vale a dire se, ai fini dell’applicazione del principio

in parola, il confronto tra il fatto oggetto della sentenza nazionale ed il fatto oggetto della domanda di estradizione risulti o meno condizionato dal modo di atteggiarsi del requisito della previsione bilaterale278. In particolare, si tratta di accertare se il giudizio concernente la previsione bilaterale del fatto è necessariamente preliminare ed assorbente rispetto a quello concernente il ne bis

in idem estradizionale, oppure se vi possono essere delle ipotesi in cui lo Stato

detentore, pur non potendo concedere l’estradizione per assenza della previsione bilaterale nega tuttavia l’estradizione in forza del precedente giudicato interno. Orbene, la soluzione del problema varia sensibilmente a seconda che si ritenga che il giudizio concernente la previsione bilaterale del fatto vada condotto sulla scorta di criteri naturalistici o normativi.

Secondo una prima concezione, com’è noto, ai fini della previsione bilaterale è sufficiente che il fatto concreto sia sussumibile entro entrambe le fattispecie incriminatrici – quella estera e quella nazionale – che vengono in gioco279. Ne deriva che, ogni volta che mancano i presupposti della previsione bilaterale è esclusa in radice anche la possibilità di un bis in idem: poiché quel fatto storico è del tutto irrilevante ai sensi della legislazione penale dello Stato di rifugio un processo su quei fatti non poteva in nessun caso essere instaurato in quel Paese. In

278

G. DE FRANCESCO, Il concetto di “fatto”, cit., 624 ss.

279

In questo senso, P. PISA, Previsione bilaterale del fatto, cit., in particolare 48 s., con ampi

102 questa prima prospettiva, quindi, l’accertamento della previsione bilaterale non solo è necessariamente preliminare rispetto al ne bis in idem estradizionale, ma la nozione di “fatto” in materia di ne bis in idem viene a coincidere con quella accolta in tema di previsione bilaterale, con la conseguenza che l’effetto impeditivo dell’estradizione può trarre origine in via alternativa dall’assenza della duplice incriminazione o dall’esistenza di una pronuncia irrevocabile nello Stato richiesto avente ad oggetto i medesimi fatti oggetto della domanda di estradizione.

Le cose cambiano notevolmente se si ritiene che il requisito della duplice incriminazione sia soddisfatto solo se “il fatto costituisce reato nello stato detentore in virtù di quei medesimi elementi che integrano una fattispecie penale

nello Stato che domanda l’estradizione”280, per cui lo Stato richiesto potrà accordare l’estradizione solamente se la fattispecie rilevante nel proprio ordinamento è generale rispetto a quella prevista dalla legislazione dello Stato richiedente e posta a base della domanda. Muovendo da questi presupposti, non pare si possa escludere a priori la possibilità per lo Stato richiesto di eccepire l’esistenza della “cosa giudicata” nonostante l’assenza della duplice previsione bilaterale del fatto281. Ed invero, una volta che un giudice nazionale si è pronunciato sul fatto corrispondente alla figura di reato più ricca di elementi costitutivi, questo primo giudizio può precludere, in forza del ne bis in idem ed a prescindere dall’assenza della previsione bilaterale, l’estradizione per i medesimi fatti oggetto della sentenza nazionale, seppure diversamente qualificati alla stregua della fattispecie generale prevista nell’ordinamento richiedente.

Quest’ultima prospettiva teorica, ancorché assolutamente minoritaria in dottrina, pare preferibile per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, essa, ancorando il giudizio sulla previsione bilaterale del fatto a criteri normativi, è maggiormente rispettosa delle esigenze sottese al requisito in parola; in particolare, poiché la ratio della duplice incriminazione va ravvisata essenzialmente nel principio di sovranità nazionale282 e, in via mediata, in ragioni

280

G. DE FRANCESCO, Il concetto di “fatto”, cit., 634 (corsivi nell’originale).

281

Nello stesso senso, G. DE FRANCESCO, op. ult. cit., 651, secondo il quale è possibile che “pur mancando i requisiti per poter affermare la sussistenza della duplice previsione, possano concepirsi casi in cui opera viceversa il divieto del bis in idem”.

282

Sulla riconducibilità della previsione bilaterale del fatto al principio di sovranità, si v., per tutti, P. PISA, Previsione bilaterale del fatto, cit., in particolare 147 ss. L’A. (op. cit., 157) sottolinea

103 di tutela dell’estradando, che trovano espressione nel rifiuto, da parte dell’ordinamento, di fornire la propria collaborazione ad un altro Stato di cui non condivida le scelte repressive283, pare del tutto conseguente che il giudizio si appunti sulla qualificazione giuridica del fatto da parte dello Stato richiedente. In secondo luogo, questa posizione dottrinale ha il merito di mettere in evidenza come la nozione di “fatto” del quale occorre accertare la previsione bilaterale si colloca su un piano differente rispetto a quella accolta in tema di ne bis in idem. Ed invero, mentre in tema di ne bis in idem il giudice è chiamato ad accertare l’identità del fatto, in un’ottica di tutela dei diritti fondamentali dell’estradando, nel caso della previsione bilaterale tale problema non si pone: il fatto non è né identico né diverso, ma è uno soltanto, vale a dire quello storicamente realizzato dalla persona in questione; ciò che interessa allo Stato richiesto è che esso sia punibile anche ai sensi della legge nazionale e ad assumere rilevanza dirimente è il raffronto tra le norme incriminatrici dei due Stati, mentre il fatto concretamente realizzato costituisce solo l’appiglio per effettuare tale valutazione.

Nonostante ciò, questa stessa dottrina non sembra del tutto condivisibile nel momento in cui afferma che il problema dei rapporti tra i due princìpi ha natura non solo teorica, ma anche pratica, poiché “non è da escludere che, come si auspica del resto da più parti, a tale diniego [dell’estradizione in forza del ne bis in

idem] si possa in futuro ‘abbinare’ l’ulteriore effetto di precludere l’instaurabilità

come “subordinare la concessione dell’estradizione alla circostanza che il fatto attribuito al soggetto da estradare integri gli estremi di un reato, ai sensi della legge dello Stato che decide sulla domanda, ha un preciso significato politico: rappresenta un’affermazione della superiorità del sistema giuridico-penale di detto stato, elevandolo a parametro universale di criminalità […] In altri termini, si assoggetta l’ordinamento penale straniero ad un controllo di razionalità, che non si limita (come forse sarebbe comprensibile e sufficiente) al settore dei delitti politici, ma investe qualunque ipotesi di reato”.

283

In questo senso, F. PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., 176. In senso parzialmente difforme,

si v. A. VALLINI, Il superamento della clausola della “previsione bilaterale del fatto” nell’estradizione per i reati di criminalità organizzata: obsolescenza o regresso antigarantistico?,

in AA.VV., La criminalità organizzata tra esperienze normative e prospettive di collaborazione

internazionale, a cura di G. DE FRANCESCO, Torino, 2001, 117 ss.; l’A. ravvisa la ratio del requisito in parola nel rispetto del principio di eguaglianza e, in particolare, nell’esigenza “di evitare che gli attriti scaturenti dalla mancata coordinazione di ordinamenti nazionali vadano a scapito di un armonico ed equanime trattamento di situazioni individuali analoghe” (la citazione è tratta da p. 125). In una prospettiva ancora diversa, volta a sottolineare la ratio di garanzia individuale del principio della duplice previsione, sotto il profilo della funzione di orientamento del comportamento dei destinatari che la norma riveste, A. DI MARTINO, La frontiera e il diritto

104 di un procedimento penale nello stato richiedente”284. Per questa via, infatti, si rischia di incorrere in un duplice errore prospettico. Da una parte, si finisce per mettere sullo stesso piano il principio del ne bis in idem estradizionale e l’omonimo principio internazionale, senza considerare che la preclusione processuale in cui consiste il secondo difficilmente tollera quella unilateralità di disciplina che accompagna il diniego di estradizione e che è all’origine dei problemi adesso evidenziati. Dall’altra, nonostante l’acutezza dell’analisi teorica, sembra comunque innegabile che il giudizio sulla previsione bilaterale del fatto abbia un carattere sostanzialmente assorbente rispetto a quello sul ne bis in idem, per cui il giudice nazionale una volta accertata l’assenza di questo requisito non si porrà neppure un problema di doppio giudizio. In altre parole, a nostro avviso, il problema è e rimane schiettamente teorico, privo di rilevanti conseguenze sul piano pratico-applicativo. Ed infatti, una volta ammessa, in via astratta, la configurabilità di ipotesi in cui sussistono i presupposti applicativi del ne bis in

idem estradizionale pur mancando la duplice incriminazione del fatto, ciò non

toglie che quest’ultimo rimanga un requisito quasi “esistenziale” dell’estradizione, per cui è fisiologico che le esigenze di garanzia del singolo siano comunque oggetto di un giudizio “in seconda battuta”.

3. Il ne bis in idem c.d. esecutivo o principio di compensazione

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