9. L’art 4 del Protocollo n 7 alla CEDU
9.1. Verso un’estensione della garanzia anche agli illeciti amministrativi e disciplinari?
Ciò detto in via generale, venendo adesso all’analisi dell’ambito applicativo dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, uno dei più importanti problemi esegetici sollevati dalla norma concerne la tipologia di illeciti rispetto ai quali il divieto di bis in idem dispiega la propria efficacia. Ed infatti, poiché la norma in discorso parla esclusivamente di una offencefor which he has already been finally acquitted or convicted – une infraction pour laquelle il a déjà été acquitté ou condamné, nella versione francese – non è chiaro se oggetto di divieto sia
solamente la reiterazione del giudizio di rilevanza penale o, invece, la molteplice valutazione dell’illecito, a prescindere dalla natura disciplinare, amministrativa o penale di questo196. In particolare, ci si chiede se, stante il disposto dell’articolo 4, la previa condanna per aver commesso un illecito amministrativo (o disciplinare)
194
Cfr. F. PEDRAZZI, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e protocollo addizionale n. 7: una nuova tappa nella tutela delle garanzie fondamentali, in Riv. internaz. dir. dell’uomo, 1992, 491
ss., cui adde G. SPANGHER, sub art. 4, VII Protocollo addizionale, in Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cura di S.
Bartole, B. Conforti, G. Raimondi, Padova, 2001, 957 ss. Per analogie e differenze tra ne bis in
idem e protection against double jeopardy, si v. G. FLETZER, La garanzia del ne bis in idem, cit.,
123 ss. ; N. GALANTINI, Il divieto di doppio processo come diritto della persona, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 97 ss.
195
Cfr. Rapport explicatif, punti 22 e 26, dai quali si evince che una sentenza costituisce valido presupposto del divieto di bis in idem solamente “if, according to the traditional expression, it has acquired the force of res judicata. This is the case when it is irrevocable, that is to say when no further ordinary remedies are available or when the parties have exhausted such remedies or have permitted the time limit to expire without availing themselves of them”.
196
70 costituisca un ostacolo allo svolgimento del processo penale per il medesimo fatto, questa volta qualificato come reato.
A favore di una lettura restrittiva del divieto di bis in idem, che sarebbe dunque chiamato ad operare solo se la persona ha già affrontato un processo
penale o ha scontato una pena, militano due argomenti. In primo luogo, vi è il
dato testuale offerto dalla norma, che contiene un duplice riferimento alla natura penale del giudizio (criminal proceedings) e delle norme disciplinanti la materia (in accordance with the law and penal procedure of that State). Come si evince anche dal Rapport explicatif, il mancato riferimento alla natura esclusivamente “criminale” della “infrazione” si giustificherebbe proprio alla luce di tale duplice riferimento, che avrebbe reso ridondante un’ulteriore qualifica dell’illecito come penale197. Il secondo elemento a favore di una lettura restrittiva della duplice
preclusione contenuta nell’art. 4 è offerto invece dall’analisi delle norme nazionali in tema di ne bis in idem. Ed invero, l’esperienza comparatistica evidenzia come, al di là di qualche sparuta eccezione rappresentata per esempio dalla legislazione spagnola198, in linea di massima la maggior parte degli Stati non estende il beneficio agli illeciti amministrativi e disciplinari199; non si vede dunque il motivo per imporre, attraverso una norma di diritto internazionale pattizio, una garanzia avente una portata evidentemente maggiore di quanto gli Stati hanno ritenuto opportuno assicurare a livello interno200.
A questa interpretazione restrittiva del divieto contenuto nell’art. 4 si contrappone, come accennavamo, una diversa lettura della norma, volta ad ampliare i margini applicativi della duplice preclusione fino ad estenderla anche agli illeciti amministrativi e disciplinari. Questa lettura si fonda sull’idea che le
197
Al punto 28 il Rapport explicatif chiarisce infatti che “It has not seemed necessary, as in Articles 2 and 3, to qualify the offence as "criminal". Indeed, Article 4 already contains the terms "in criminal proceedings" and "penal procedure", which render unnecessary any further specification in the text of the article itself”.
198
Su cui, per tutti, M. DEL MAR DÍAZ PITA, Informe sobre el principio, cit., 875 s. 199
Cfr. J.L. DE LA CUESTA, General Report, cit., 20: “previous disciplinary, administrative, or civil convictions usually have no ne bis in idem effect in Criminal Law”.
200
Per quanto concerne in particolare l’Italia, merita notare che il principio del ne bis in idem sostanziale ha trovato applicazione nei rapporti tra illeciti amministrativi e penali, in forza del richiamo al principio di specialità contenuto nell’art. 9 della legge n. 689/1981; cfr. per tutti E. DOLCINI, sub art. 9, in Commentario delle “Modifiche al sistema penale” (Legge 24 novembre 1981 n. 689) a cura di E. DOLCINI, A. GIARDA, F. MUCCIARELLI, C.E. PALIERO, E. RIVA CRUGNOLA, Milano, 1982, 35 ss.
71 stesse esigenze di tutela della persona che hanno spinto i legislatori nazionali ad introdurre il divieto di bis in idem in materia penale si presentano, sostanzialmente identiche, ogni volta in cui vengono in gioco sanzioni che hanno natura punitiva; naturale, dunque, che la garanzia operi sul presupposto dell’esistenza di un previo procedimento – o sanzione – sostanzialmente penale, anche se per avventura qualificato come amministrativo o disciplinare dai legislatori nazionali. In particolare, ciò che preme garantire non è tanto un’estensione indiscriminata della garanzia offerta dal ne bis in idem ad illeciti diversi da quelli penali, quanto piuttosto l’applicazione del divieto ogni volta che la sanzione che viene in gioco ha natura essenzialmente penale, anche se formalmente riconducibile ad un diverso ramo dell’ordinamento giuridico nazionale.
Emerge così la necessità di interpretare l’art. 4 del Protocollo alla luce di una nozione “autonoma” di illecito penale, capace di superare – o forse di ricondurre ad unità – i criteri che i legislatori statali utilizzano per distinguere tra illeciti penali, amministrativi e disciplinari. In questo modo, si raggiunge un duplice obiettivo: da un lato, si garantisce un’applicazione uniforme del principio del ne
bis in idem in tutti gli Stati che hanno ratificato il 7. Protocollo integrativo della
CEDU201; dall’altro, “agganciando” la garanzia prevista dall’art. 4 ad un concetto “autonomo” di illecito penale, si impedisce agli Stati di aggirare il divieto di bis in
idem etichettando alcune sanzioni (sostanzialmente penali) come disciplinari o
amministrative.
Orbene, se queste sono le ragioni che stanno alla base di un’interpretazione ampia del ne bis in idem previsto da strumenti internazionali, non stupisce che un’estensione del divieto anche ad alcune ipotesi di sanzioni amministrative sia stata fatta oggetto di recenti proposte normative emerse in importanti sedi
201
La finalità garantista di questa opzione ermeneutica è evidenziata ancheda i redattori della c.d.
Freiburg Proposal, (Cfr. A. BIEHLER, R. KNIEBÜHLER, J. LILIEUR-FISCHER, S. STEIN, Freiburg Proposal on Concurrent Jurisdictions and the Prohibition of Multiple Prosecutions in the European Union, Freiburg i.Br., 2003, la cui traduzione italiana, a cura di E. Zanetti, è pubblicata
in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 374 ss.). Coerentemente, nella stessa Proposal all’art. 6(2)(b) si accoglie una nozione molto ampia di azione penale, tale che ai fini del ne bis in idem “‘prosecution’ includes any proceedings with a repressive character. It is not necessary that the offence on which the prosecution is based is qualified as criminal by the legal system which ruled the first proceeding”.
72 internazionali202. Ma soprattutto non desta sorpresa il fatto che la Corte di Strasburgo abbia adottato tale seconda linea esegetica, favorendo così un’applicazione della garanzia più estesa possibile e soprattutto uniforme in tutti gli Stati vincolati al rispetto dell’art. 4. Ed invero, dopo l’espressa introduzione del divieto di bis in idem in una norma ad hoc, segno della inequivoca volontà degli Stati di riconoscere tale fondamentale diritto dell’uomo, è del tutto coerente che la Corte si preoccupi di garantire che gli Stati non saranno poi liberi di aggirare tale divieto ad libitum, semplicemente qualificando certi illeciti come amministrativi. Il merito maggiore di questa linea esegetica fatta propria dai giudici di Strasburgo consiste pertanto nel far leva sulla valenza garantista della preclusione ritagliando uno spazio “incomprimibile” al ne bis in idem, al riparo da qualsiasi tentativo di Etikettenbetrug da parte degli Stati. Per compiere questa operazione ermeneutica, la Corte di Strasburgo, anziché elaborare una nozione di
offence rilevante ai fini del divieto contenuto nell’art. 4 del Protocollo
addizionale, ha preferito richiamare il concetto di “accusa penale” da lei stessa elaborato con riferimento al giusto processo203. Pertanto, operando il ne bis in
idem sul presupposto di una “accusa penale” così come intesa ai fini
dell’applicazione dell’art. 6 CEDU, non soltanto illeciti formalmente penali ma anche illeciti amministrativi e disciplinari di carattere sostanzialmente penale rientrano nell’ambito applicativo della preclusione204.
In particolare, per verificare se si è in presenza di una “illecito penale” ai sensi della Convenzione e dunque se sussistono i presupposti per l’applicazione del
202
Cfr. la Iniziativa della Repubblica ellenica in vista dell'adozione della decisione quadro del
Consiglio sull'applicazione del principio «ne bis in idem» (2003/C 100/12), dove all’articolo 1 si
legge che “illeciti penali” debbono intendersi non solamente “gli atti considerati reati ai sensi della legislazione di ciascuno Stato membro” ma anche “gli atti considerati illeciti amministrativi o infrazioni a regolamenti punibili da un'autorità amministrativa con una pena pecuniaria, conformemente alla legislazione nazionale di ciascuno Stato membro, a condizione che rientrino nella giurisdizione dell'autorità amministrativa e che l'interessato abbia la possibilità di adire un tribunale penale”.
203
Sulla nozione di “accusa in materia penale” elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo ai sensi dell’art. 6 della CEDU, cfr. A. TAMIETTI, La nozione di “accusa in materia penale” ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo: riflessioni in margine alla decisione Montera c. Italia, in Cass. pen., 2003, 4, 1405 ss., cui si rimanda anche per i necessari
richiami dottrinali e giurisprudenziali.
204
La necessità di estendere la garanzia del ne bis in idem anche ad alcune ipotesi di illeciti amministrativi ha trovato espressione in alcuni importanti progetti emersi in sede internazionale; cfr., per esempio, l’art. 1 (a) della già richiamata Initiative of the Hellenic Republic with a view to
adopting a Council Framework Decision concerning the application of the “ne bis in idem” principle (2003/C 100/12).
73 divieto di bis in idem, è necessario rifarsi a tre criteri elaborati dalla Corte in via pretoria205. In primo luogo – ma si tratta solamente di un punto di partenza, avendo valore solo indiziante – è necessario accertare se le norme che definiscono l’illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale del singolo Stato, al campo penale, fiscale, disciplinare o amministrativo. A tale proposito è necessario stabilire se la decisione in merito all’applicazione della sanzione spetti al giudice penale o amministrativo; inoltre, le distinzioni del diritto interno non devono essere valutate isolatamente ma, piuttosto, alla luce delle legislazioni dei vari Stati firmatari206. Il secondo fattore da prendere in considerazione è dato dalla natura dell’illecito; a questi fini assume particolare importanza il tipo di comportamento in cui si sostanzia l’offesa ed il grado di compatibilità con il vivere associato207. In terzo ed ultimo luogo è necessario prendere in considerazione il grado di severità della sanzione nella quale il ricorrente rischia di incorrere, avuto riguardo all’intento deterrente e punitivo che ha guidato il legislatore. Ed è quest’ultimo criterio quello che, a detta della Corte, assume rilevanza determinante; ed invero, in una società democratica governata dal diritto e dal principio di legalità – dal
rule of law, per dirla con la Corte – ogni privazione di libertà dettata da finalità
punitive si deve presumere appartenente al campo penale, con la sola eccezione di quelle che per durata, natura o modalità di esecuzione non sono suscettibili di arrecare un apprezzabile documento208.
Sebbene questa giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nel segno di una maggiore tutela di un diritto essenziale dell’individuo, debba essere in linea di principio salutata con favore, pare anche che gli effetti dell’estensione della garanzia del ne bis in idem agli illeciti amministrativi e disciplinari non debbano
205
Questi criteri sono stati esplicitati dalla Corte per la prima volta nella sentenza Engel et al. V. Netherland, dell’8 giugno 1976, serie A n. 22, §§ 82 e 83, e confermati nella successiva giurisprudenza della Corte. Si v. tra le altre, le pronunce Özutürk v. Germany del 21 febbraio 1984, serie A n. 73, p. 18, § 50 e Lauko v. Repubblica Slovacca del 2 settembre 1998, Reports of Judgments and Decisions 1998-IV, §§ 56-58.
206
Sul punto A. TAMIETTI, La nozione di “accusa in materia penale”, cit., 1405 ss. 207
Cfr. A. TAMIETTI, loc. ult. cit. 208
Cfr. la sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Engel and others v. Netherland, cit. § 82: “In a society subscribing to the rule of law, there belong to the "criminal" sphere deprivations of liberty liable to be imposed as a punishment, except those which by their nature, duration or manner of execution cannot be appreciably detrimental. The seriousness of what is at stake, the traditions of the Contracting States and the importance attached by the Convention to respect for the physical liberty of the person all require that this should be so”.
74 essere eccessivamente enfatizzati. In primo luogo, infatti, i criteri elaborati dalla Corte di giustizia al fine di decidere della natura penale dell’illecito hanno natura assolutamente vaga ed indeterminata, in conseguenza del fatto che si tratta sempre di valutare la somiglianza – si direbbe quasi la prossimità – tra una data infrazione ed il “prototipo” di illecito penale. Anche il criterio che guarda all’entità e alla finalità della sanzione si rivela essere molto più indeterminato di quanto potrebbe a prima vista sembrare; e gli sforzi della dottrina volti a tracciare con maggiore precisione i confini dell’illecito “sostanzialmente” penale non sembrano destinati a maggior fortuna209. La vaghezza dei parametri che debbono utilizzarsi per decidere della natura penale o meno dell’illecito, rende oltremodo difficile poter fare affidamento su una pronuncia della Corte favorevole all’applicazione del ne
bis in idem. In questo modo però, vengono fatalmente frustrate le esigenze di
certezza del diritto sottese al divieto di duplice processo, poiché la persona in questione non è in grado di prevedere i limiti della garanzia offerta dall’art. 4 del Protocollo addizionale.
In secondo luogo, al di là delle dichiarazioni di principio effettuate dalla Corte, rimane la sensazione che si tratti di un’operazione di facciata, la cui efficacia pratica è prossima allo zero. La portata dirompente della interpretazione della nozione di infraction in linea con l’art. 6 della CEDU, e dunque amplissima in relazione alla tipologia di illeciti che rientrano nella garanzia, è invero sostanzialmente annullata dalla contestuale interpretazione della stessa nozione di
infraction – questa volta con riferimento al problema della “identità del fatto” – in
chiave normativa. Così, da un lato si afferma che qualunque sanzione lato sensu repressiva e sufficiente a fondare il divieto contenuto nell’art. 4; dall’altro, però, in numerose occasioni si dice anche che il più piccolo cambiamento nella definizione giuridica dell’illecito mette fuori gioco la medesima garanzia. Ma a questo punto siamo già all’analisi del secondo nucleo problematico del ne bis in
idem previsto nell’articolo 4, vale a dire la ricerca della identità del fatto che
costituisce il presupposto del divieto.
209
Ad esempio, i redattori della c.d. Freiburg Proposal, prima richiamata, al paragrafo 6, punto a, lett.b) considerano penale “any proceeding with a repressive character”, senza chiarire cosa debba intendersi con il termine “repressivo”.
75 9.2. Le problematiche sollevate da una nozione c.d. unitaria di “infraction” e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo
Posto che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU codifica tanto il ne bis in
idem sostanziale che quello processuale, per quanto concerne il presupposto della
“identità dei fatti” il primo problema che si pone consiste nello stabilire se i due princìpi debbano intendersi subordinati al medesimo presupposto applicativo, tale per cui la nozione di “idem” sarebbe la medesima per il divieto di duplice pena e per quello di doppio processo. L’interrogativo deriva dunque da una scelta compiuta in sede di redazione dell’art. 4, quando si è deciso di subordinare il divieto processuale e quello sostanziale al medesimo presupposto, e cioè che si trattasse di un reato per il quale la persona è già stata assolta o condannata a seguito di una sentenza definitiva210. Come detto in precedenza, la scelta di disciplinare i due diversi princìpi in un’unica norma è presumibilmente dovuta a ragioni di economia legislativa e, soprattutto, alla volontà di evidenziarne al massimo grado la funzione di garanzia; la disposizione in discorso offre infatti all’individuo una protezione di fronte a tutti i possibili abusi dello jus puniendi statuale. Questa tecnica redazionale, però, costituisce anche la ragione principale dei dubbi ermeneutici sollevati dall’art. 4 del Protocollo n. 7. La scelta esegetica è infatti a “rime obbligate”: o si rinuncia ad una lettura unitaria della nozione di “infraction” all’interno della norma e si tenta di stabilire i presupposti applicativi dei due diversi divieti; oppure si va alla ricerca di un improbabile comune denominatore che funga da condizione applicativa della duplice preclusione, capace dunque di costituire presupposto tanto del ne bis in idem sostanziale che di quello processuale.
Nonostante basilari esigenze di logica giuridica consiglierebbero di abbracciare la prima opzione esegetica, e quindi di interpretare la disposizione in discorso come se questa contenesse due divieti meramente giustapposti – anziché interferenti – la Corte di Strasburgo pare andare in tutt’altra direzione, cercando di individuare, una volta per tutte, i presupposti del duplice divieto. Ma questa scelta ermeneutica, realizzando una commistione tra due princìpi che invece divergono
210
Come detto, infatti, ai sensi dell’art. 4 del 7. Protocollo “Nul ne peut être poursuivi ou puni
pénalement par les juridictions du même Etat en raison d’une infraction pour laquelle il a déjà
76 notevolmente quanto a contenuto assiologico, rende oltremodo difficile, per non dire impossibile, attribuire un univoco significato alla nozione di “infraction” quale presupposto della preclusione; l’effetto, insomma, è quello di un elefante in una cristalleria: ampliata irragionevolmente la portata garantista della norma, se ne perde la ratio, e con questa la possibilità di individuare, con relativa sicurezza, i presupposti del divieto.
Il problema pare tanto più rilevante se si considera che, nella determinazione di tale nozione “unitaria” d’infraction, la Corte naviga a vista, per così dire, non trovando alcun sostegno né nel dato linguistico, di per sé ambiguo, né nei lavori preparatori del Protocollo n. 7; è la stessa Corte infatti ad affermare che questi ultimi “n’apportent pas beaucoup de lumière en la matière, sauf à refléter une
conception plutôt étroite du principe non bis in idem”211. Né i giudici di Strasburgo sembrano trovare ausilio nel Rapport explicatif, che anzi, attraverso il richiamo ad altri strumenti internazionali, offre motivo sia per un’interpretazione del termine in chiave normativa, sia per una sua lettura in chiave storico- naturalistica, come le faits constituant des infraction pénales212. Da qui, una giurisprudenza traballante e confusa, all’interno della quale si è soliti individuare due diversi orientamenti in contrasto tra loro: il primo, più risalente, volto ad attribuire rilevanza all’identità di condotta, e dunque alle concrete modalità fattuali della vicenda storica oggetto di giudizio (concezione c.d. storico- naturalistica di “infraction”); il secondo, maggioritario ad attuale, tutto incentrato sui rapporti esistenti tra le fattispecie incriminatrici, e dunque teso a valorizzare le diverse qualificazioni giuridiche concorrenti piuttosto che il substrato fattuale della decisione (concezione c.d. normativa di “infraction”).
211
Cfr. la sentenza Göktan v. France, del 2 luglio 2002, punto 46.
212
Per le perplessità, sollevate in dottrina, dai richiami del Rapport alla Convenzione europea sull’estradizione (1957), alla Convenzione europea sul valore internazionale dei giudizi repressivi (1970), nonché alla Convenzione europea sul trasferimento delle procedure repressive (1972), cfr. M. R. MARCHETTI, sub art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, in