Per quanto concerne il fondamento del ne bis in idem estradizionale, è opinione condivisa che questo, lungi dal sancire una pretesa priorità dello Stato che si è attivato per primo, costituisca, come l’omonimo principio processuale, espressione di esigenze garantiste di protezione della libertà della persona umana233. A sostegno di questa tesi, si evidenzia come l’evoluzione del diritto internazionale pattizio è segnata dall’abbandono del principio c.d. di sussidiarietà, in base al quale “l’Etat ne livre pas ses justiciables”, e dalla sua sostituzione con la regola secondo la quale l’obbligo di estradare trova un limite non già nella
possibilità dello Stato richiesto di esercitare la propria giurisdizione, ma
nell’effettivo esercizio dell’azione penale da parte di questo. Mentre attraverso il principio secondo cui “lo Stato non estrada i propri giustiziabili” si mirava un tempo a tutelare la sovranità della Partie requise preservandone la pienezza di giurisdizione di fronte agli altri Stati, il ne bis in idem si sarebbe invece imposto “per finalità di tutela degli interessi degli individui, per impedire che chi sia stato effettivamente sottoposto a giudizio possa incorrere nel rischio di subire un nuovo processo o una nuova pena per il medesimo fatto”234. In questa logica, dunque, non è l’intangibilità della pretesa punitiva statuale a costituire un limite al dovere di estradizione, ma è il vincolo convenzionale, volto alla tutela del singolo individuo dai rischi di un doppio processo, che può limitare la competenza giurisdizionale degli Stati.235.
Da una diversa prospettiva, si sottolinea poi come il ne bis in idem estradizionale non è diretto né a sancire la prevalenza della pretesa punitiva dello
233
E. AMODIO-O. DOMINIONI, L’estradizione e il problema del ne bis in idem, cit., 369. 234
E. AMODIO-O. DOMINIONI, L’estradizione e il problema del ne bis in idem, cit., 369.
235
E. AMODIO-O. DOMINIONI, L’estradizione e il problema del ne bis in idem, cit., 368 s., che
opportunamente sottolineano come la ragione di questo vero e proprio rovesciamento di posizioni è dovuto non solo alla sempre maggiore rilevanza dei diritti dell’uomo sulla scena internazionale, ma anche ad una nuova concezione dell’estradizione, cui si guarda non più come a un rapporto tra lo Stato del locus commissi delicti e lo Stato di rifugio, ma come a un meccanismo di cooperazione internazionale di più ampia portata e dunque operante anche quando il reato è stato commesso in uno Stato diverso da quelli tra cui si instaura il procedimento estradizionale.
86 Stato richiesto, né, tanto meno, a svolgere la funzione di principio regolatore di competenze repressive; esso, piuttosto, costituisce una conseguenza del fatto che l’obbligo di dar luogo alla consegna, assunto con un trattato, cessa, per prassi generalmente riconosciuta, se lo Stato richiesto si è già reso parte diligente per la repressione236. In altre parole, poiché non è la “perseguibilità” a costituire un’eccezione all’estradabilità, ma è l’estradizione a costituire un’eccezione alla perseguibilità, comprimendone il campo, il detto aut dedere aut punire, ove sussista un trattato di estradizione, può essere rovesciato e convertito in aut punire
aut dedere, ed il ne bis in idem estradizionale, lungi dal sancire un criterio di
prevalenza tra le diverse pretese punitive concorrenti su di un medesimo fatto, si limita a riconoscere che “il punire (intendendosi con ciò tutta l’attività diretta alla repressione) esime dal dedere (e così pure il prosciogliere)”237. Lo Stato detentore è dunque libero di esercitare o meno l’azione penale per i fatti per i quali sussiste l’obbligo internazionale di estradare, fino a quando lo Stato estero non abbia presentato la domanda: se al momento in cui la domanda viene presentata lo Stato richiesto ancora non ha proceduto, esso è obbligato ad estradare, in forza del trattato; di contro, se esso ha iniziato il procedimento prima della richiesta, esso non è più obbligato a consegnare l’individuo, essendosi dimostrato maggiormente attivo rispetto allo Stato richiedente.
A prescindere dalla effettiva riconducibilità del ne bis in idem estradizionale al novero delle consuetudini internazionali – cosa di cui, invero, si dubita238 – e tralasciando la questione dei limiti entro i quali la regola dell’aut dedere aut
punire opera sul piano internazionale, già da questi sommari accenni sembra
emergere come il principio in esame si caratterizzi per una ratio ancipite, rispondendo sia ad esigenze di garanzia dell’individuo sia ad interessi dello Stato detentore, diretti a negare l’esistenza di un obbligo di consegna una volta che ha già giudicato i fatti oggetto della richiesta.
Sebbene, infatti, la dottrina oggi assolutamente dominante sottolinei la matrice essenzialmente garantista del divieto di estradizione fondato sulla exceptio rei
judicatae, c’è un fondo di verità nelle teorie che ricollegano direttamente il ne bis
236
R. QUADRI, voce Estradizione (Diritto internazionale), in Enc. dir., vol. XVI, 1967, 34 ss.
237
R. QUADRI, voce Estradizione, cit., 36.
238
87
in idem internazionale agli obblighi che lo Stato di rifugio ha nei confronti degli
altri Stati e con questo, in via mediata, alle istanze di tutela della sovranità nazionale sottese all’implementazione del principio. Queste teorie, infatti, esaltando il rapporto esistente tra “perseguibilità” ed estradabilità, da un lato, configurano il ne bis in idem estradizionale non come dovere (di non estradare) della Parte richiesta, ma come principio meramente ricognitivo dell’assenza di un obbligo di estradare in capo allo Stato detentore che si è già reso parte diligente per la repressione; dall’altro, concentrando l’attenzione esclusivamente sulla posizione dello Stato richiesto e sull’alternativa tra punire e dedere che questo ha, ben evidenziano come il ne bis in idem estradizionale opera esclusivamente nei confronti di quest’ultimo, dando ragione di quella sorta di “unilateralità della disciplina estradizionale”239 che è rilevata anche da quanti affermano la natura esclusivamente garantista del principio e che tanto peso ha nella sua concreta applicazione. D’altra parte, quanti sostengono che l’estradabilità costituisce un’eccezione alla perseguibilità non sembrano motivare questa affermazione, per cui, in queste elaborazioni, il venir meno dell’obbligo di estradare in capo allo Stato che ha già giudicato riposa esclusivamente su una presunta consuetudine di cui non si comprende né la ratio né la portata240. Tornano a questo punto utili le riflessioni compiute da quanti ritengono che la previsione del ne bis in idem estradizionale è dettata da ragioni di tutela del singolo individuo dalla possibilità di una continua reiterazione dei giudizi e, di conseguenza, individuano il fondamento del principio in imprescindibili esigenze di garanzia della persona umana, che si impongono anche nell’ambito della cooperazione internazionale.
Riconosciute quindi le ragioni delle due impostazioni teoriche, sembra dunque che queste, anziché escludersi a vicenda, siano in qualche modo complementari e che, come detto, il fondamento del ne bis in idem estradizionale vada cercato tanto in esigenze di garanzia del singolo quanto in istanze di tutela della sovranità statuale della Parte richiesta, che, per ragioni che avremo modo di chiarire in seguito, premono per una limitazione degli obblighi derivanti dai trattati; d’altra parte, questo non esclude che la preferenza accordata all’una o all’altra
239
Così, efficacemente, N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 178.
240
In una prospettiva parzialmente diversa, ma comunque critica nei confronti di questa impostazione teorica, N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 155.
88 prospettiva – quella statualista o quella garantista – abbia notevoli conseguenze sul piano, squisitamente tecnico, della qualificazione del ne bis in idem estradizionale come obbligo o semplice facoltà. Ed invero, nell’ottica di tutela dei diritti dell’estradando, il principio in esame viene a costituire un vero e proprio dovere di non estradare in capo allo Stato detentore; di contro, se si muove dalla prospettiva dello Stato richiesto, questo ha tutto l’interesse ad affermare l’assenza di un obbligo di estradare, ma non necessariamente il divieto di procedere alla consegna, e, quindi, a ritenere il principio in esame costitutivo di una semplice facoltà.
Ebbene, prendendo le mosse dalla ratio garantista del principio, e ribadito che si tratta comunque di una tutela precaria e operante su di un piano esclusivamente fattuale, il ne bis in idem estradizionale pare innanzitutto volto a proteggere il singolo individuo da un secondo processo; da questo angolo visuale, il principio risponde sia ad esigenze di giustizia sostanziale, facendo sì che una stessa persona non debba sottoporsi continuamente alle fatiche di un processo penale, sia ad istanze di certezza soggettiva, poiché la persona giudicata può, almeno finché rimane sul territorio dello Stato dove si è svolto il primo processo, fare pieno affidamento sulla stabilità della decisione giudiziaria e degli effetti di questa.
In secondo luogo, il ne bis in idem estradizionale pare diretto a tutelare l’individuo dai rischi connessi ad un secondo giudizio, primo fra tutti la possibilità di vedersi condannato e di dover espiare una pena. Sotto questo profilo, vengono in gioco, ancora una volta, esigenze di giustizia sostanziale, che, tuttavia, a rigore si manifestano solo nel caso in cui il primo processo si è concluso con una condanna e con l’espiazione della pena; solo in quest’ultima ipotesi, infatti, la mancata concessione dell’estradizione è funzionale è garantire la congruità della risposta sanzionatoria rispetto al fatto realizzato. Ne deriva, tra le altre cose, che, laddove si attribuisse rilevanza dirimente a questo fondamento del principio, dalla mancata esecuzione della sanzione (in tutto o in parte) discenderebbe, in via immediata, la legittimità dell’inosservanza del divieto di estradare in capo allo Stato richiesto241. Infine, diverso è anche il peso che la garanzia in parola, per sua
241
Per analoghe considerazioni, si v. N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 172, che tuttavia, piuttosto che mettere in relazione la mancata esecuzione della sentenza con il fondamento assiologico del ne bis in idem estradizionale, sottolinea come la parziale esecuzione
89 natura precaria, assume nel caso di estradizione processuale o di estradizione esecutiva: mentre nel primo caso il ne bis in idem estradizionale risponde ad esigenze di tutela anticipata, nel secondo caso, quando lo Stato richiedente ha già processato l’individuo e ne richiede la consegna al solo fine di dar luogo all’esecuzione della pena, il principio in discorso costituisce l’ultimo baluardo di “salvezza” per il reo da una duplicazione della risposta sanzionatoria, ferma restando, in ogni caso, l’operatività del ne bis in idem c.d. esecutivo242.
Venendo adesso alla seconda architrave assiologica del principio del ne bis in
idem estradizionale, questa consiste, come accennato, in istanze di tutela della
sovranità dello Stato richiesto, che, una volta che ha proceduto, ha interesse ad evitare un processo sui medesimi fatti all’estero, affinché sulla pretesa punitiva “fissata” nel giudicato non intervengano intromissioni di sorta243.
In primo luogo, infatti, un secondo giudizio estero, potendo condurre ad un diverso accertamento dei fatti o comunque concludersi con esiti difformi da quelli del processo nazionale, mina la fiducia della collettività nei propri giudici e la pace sociale conseguente al processo; in questa prospettiva emerge l’interesse dell’ordinamento a tutelare l’autorità delle sentenze penali interne e, attraverso questa, il valore ed il prestigio della funzione giurisdizionale244.
In secondo luogo, il successivo giudicato estero pregiudica la certezza obiettiva del diritto nazionale sotto un duplice profilo. Da un lato, infatti, le decisioni prese dalle autorità nazionali potranno essere messe in discussione dai giudici di un altro Stato: il principio di diritto posto a base della sentenza e la validità della norma incriminatrice nazionale ne uscirebbero dunque evidentemente indeboliti; dall’altro lato, i cittadini non avrebbero alcuna certezza
della sanzione potrebbe configurare un ulteriore strumento di superamento del divieto di cui all’art. 9 Conv. eur. estrad.
242
Cfr., infra, para 3.
243
Cfr. N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 165, che peraltro sottolinea come al fondo di questa interpretazione del ne bis in idem estradizionale è difficile intravedere qualcosa di più di una scontata esegesi unilaterale.
244
In questo senso, parte della dottrina più risalente. Cfr., per tutti, G. SABATINI, Trattato dei procedimenti speciali e complementari nel processi penale, Torino, 1956, 506 ss.; nonché U.
ALOISI, Manuale pratico di procedura penale, vol. IV, Milano, 1952, in particolare 335, dove si
legge: “anche per il suo contenuto etico-sociale, il rispetto dovuto alle sentenze dei giudici si impone universalmente quale una necessità inderogabile soprattutto nei rapporti con l’estero, per modo che ne risulti affermata sempre che sia possibile, anche in tal campo, l’autorità inerente ai detti giudicati”. Si v. sul punto anche le notazioni critiche di N. GALANTINI, loc. ult. cit., che evidenzia come queste considerazioni non siano affiancate da una concorde giurisprudenza.
90 sull’effettiva vigenza e portata del principio del ne bis in idem processuale, pure previsto dalla legislazione nazionale: l’affermazione astratta della preclusione giudiziale sarebbe di fatto smentita dal rinnovamento del giudizio all’estero.
Infine, in una prospettiva ancora differente, l’interesse dello Stato richiesto a non estradare la persona già giudicata sembra colorarsi di una nota prettamente garantista, a conferma di come le due rationes del ne bis in idem estradizionale siano profondamente compenetrate l’una nell’altra. Pare infatti che alla base del principio vi sia anche la volontà dello Stato detentore a non abdicare alla proprie scelte fondamentali in materia penale anche quando queste sono scelte di garanzia245, di tutela degli individui di fronte alle pretese punitive statuali, da qualunque parte esse provengano; la mancata consegna della persona già giudicata per i medesimi fatti può dunque essere letta anche come segno del fatto che lo Stato si fa garante del diritto dei soggetti sottoposti alla sua giurisdizione a non essere processati o puniti due volte per il medesimo fatto, negli stessi limiti in cui queste garanzie operano a livello nazionale. In questa logica, insieme garantista e nazionalista, l’ordinamento che viene a ricoprire il ruolo di Pays requis è completamente indifferente al quadro legislativo dello Stato richiedente in materia di validità impeditiva delle sentenze estere o nazionali: l’efficacia preclusiva del giudicato interno diventa metro e misura delle possibilità di rinnovamento del giudizio, che si impone anche nei rapporti con l’estero.
Spostando poi lo sguardo al ne bis in idem fondante non un divieto di estradizione ma una mera facoltà di rifiuto in capo allo Stato richiesto, la ragione dell’eventuale diniego opposto da quest’ultimo alla consegna dell’estradando assume tratti assolutamente peculiari e la ratio del principio volge verso la garanzia di diritti fondamentali riconosciuti a livello nazionale. Ed invero, posto che solitamente nelle ipotesi di litispendenza internazionale lo Stato può rifiutare la consegna eccependo che un procedimento penale concernente i medesimi fatti oggetto del petitum estradizionale è attualmente in corso davanti alle Corti nazionali246, in siffatti casi il diniego di estradizione può rispondere all’esigenza
245
Sottolinea l’interesse dello Stato estradante “a non rinunciare alle proprie concezioni in un settore di decisiva importanza come quello penale”, seppure con riferimento al diverso problema della previsione bilaterale del fatto e quindi alle scelte incriminatrici dell’ordinamento, P. PISA,
Previsione bilaterale del fatto nell’estradizione, Milano, 1973, 156 ss. 246
91 dello Stato detentore di tutelare diritti fondamentali dell’individuo previsti dalla Carta costituzionale e che, sebbene diversi dal divieto di doppio processo, sono a questo strettamente connessi. In particolare, come ha sottolineato la Corte di Cassazione italiana, in tutte le ipotesi in cui un procedimento per i medesimi fatti oggetto della domanda di estradizione è stato già avviato nel Paese detentore ma non si è ancora concluso, la concessione dell’estradizione può risolversi nella violazione del diritto di difesa dell’imputato, del divieto di distrazione dal giudice naturale precostituito per legge e dell’irretrattabilità dell’azione penale247; da qui, la necessità di escludere in via generale, con una norma codicistica, la possibilità di concedere l’estradizione.
Non è questa la sede per dilungarsi sulla fondatezza degli argomenti utilizzati dalla Cassazione, invero non del tutto convincenti248; ciò che invece preme evidenziare è come, nelle ipotesi di litispendenza internazionale, non solo il margine di apprezzamento in capo allo Stato richiesto finisce per concernere la stessa esistenza del divieto di estradizione, ma lo Stato può essere indotto a negare l’estradizione sulla base di valutazioni tutte interne, in una prospettiva che, ancora una volta, è insieme garantista e nazionalista. In particolare, allorquando la norma pattizia configura il rifiuto di estradizione non come obbligo ma come mera facoltà in capo allo Stato detentore che ha già avviato un processo che non si è ancora concluso, è invero dubbio se la Partie requise sia realmente libera da obblighi sul piano internazionale. Com’è stato autorevolmente notato dalla dottrina intrenazionalistica, la facoltà di rifiuto, pur non ponendo obblighi o divieti di tipo tradizionale, delinea pur sempre una regola di condotta ed il comportamento discrezionale dello Stato è riconducibile al prototipo dell’atto dovuto249. Non solo, quindi, non si sarebbe di fronte ad un vuoto normativo, ma si potrebbe addirittura ritenere che, anche quando la convenzione attribuisce
247
Com’è noto, nel corso del processo ad Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, la Sezione feriale della Corte di Cassazione ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale della l. 30 gennaio 1963 n. 300 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea di estradizione) a riguardo degli articoli 8 e 9 di detta Convenzione, con riferimento agli artt. 24 comma 2, 25 comma 1 e 112 C. L’ordinanza di rimessione (Cassazione penale, sezione feriale, 13 settembre 1996) è pubblicata in Dir. pen. e proc., 1996, 1235 ss., con nota di P. PISA, Procedimento penale in corso e richiesta di estradizione per il medesimo fatto, ivi, 1237 ss.
248
Estremamente critico P.PISA, Procedimento penale in corso e richiesta di estradizione, cit., passim.
249
G. DI CHIARA, in nota a Corte cost., sentenza 3 marzo 1997, n. 58, in Foro it., 1997, in particolare 643.
92 espressamente allo Stato la facoltà di scegliere se accordare o meno l’estradizione, tale facoltà si risolve in un vero e proprio obbligo internazionale a mantenere una facoltà negli ordinamenti interni e, quindi, nell’obbligo di esaminare in buona fede la richiesta di estradizione e di effettuare una ponderazione tra gli interessi puntivi dei due Stati caso per caso250.
Ebbene, ciononostante, pare innegabile la tendenza degli Stati a negare l’estradizione anche in siffatte ipotesi251. Sul piano tecnico, questa scelta è giustificata con il fatto che la norma pattizia che pone una facoltà di rifiuto “non costituisce e non regola poteri e competenze degli organi interni degli Stati contraenti, ma si limita a prevedere una condizione, verificandosi la quale non sussiste l’obbligo di estradizione”252. D’altra parte, non è difficile scorgere, dietro siffatta argomentazione, la perdurante tendenza dello Stato a riconoscere la massima portata applicativa al ne bis in idem: come ha affermato anche recentemente la Corte costituzionale italiana, l’implementazione di tale principio, mentre tutela il singolo di fronte alle concorrenti potestà punitive degli Stati, al medesimo tempo risponde ad esigenze dell’ordinamento, anche di pregnanza costituzionale, per cui la concessione dell’estradizione, in siffatti casi, sarebbe di dubbia legittimità costituzionale253.