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La natura ancipite del ne bis in idem estradizionale sembra trovare conferma nel momento in cui l’indagine si sposta dal piano del fondamento del principio a quello della sua portata applicativa. In particolare, anche volendosi ritenere che alla base del principio vi siano essenzialmente ragioni di tutela della persona umana, sembra che, entro certi limiti, le istanze di sovranità facciano premio su quelle di garanzia, determinando i reali profili applicativi dell’istituto e restringendone sensibilmente l’ambito di operatività. Al riguardo, si segnalano due tratti essenziali del ne bis in idem estradizionale.

250

In questo senso E. CANNIZZARO, Sugli effetti interni di convenzioni internazionali di

estradizione che pongono facoltà, in Giur. cost., 1997, 2005 ss. 251

Cfr., per esempio, l’art. 750.1 c.p.p. italiano,

252

Corte cost., sentenza 3 marzo 1997, n. 58, in Foro it., 1997, 644.

253

93 Innanzitutto, gli Stati, quando negano l’estradizione in ragione dell’esistenza di una previa sentenza nazionale sui medesimi fatti, adottano la nozione di “cosa giudicata” vigente in ambito nazionale, subordinando il giudizio sul petitum estradizionale agli stessi limiti vigenti in materia di ne bis in idem processuale. Questo è una conseguenza del fatto che, com’è stato autorevolmente notato, dal punto di vista dello Stato richiesto la mancata concessione dell’estradizione, fondandosi sull’accertamento della “consumazione” della pretesa punitiva su quel fatto, acquista un significato non molto lontano dalla preclusione processuale alla instaurazione di un secondo giudizio in idem254; è del tutto coerente, quindi, che lo Stato detentore guardi alla richiesta di estradizione da parte di un altro Stato come

se si trattasse di valutare l’ammissibilità di un secondo giudizio su quel fatto da

parte dei propri giudici, subordinando il giudizio sul petitum estradizionale alle norme nazionali in materia di efficacia preclusiva del giudicato penale255.

Dall’altra parte, e si viene così al secondo profilo applicativo del ne bis in

idem estradizionale, proprio perché il diniego dell’estradizione si fonda sulla

consumazione della pretesa punitiva nazionale ed è riferito ad una valutazione prettamente interna compiuta dallo Stato richiesto, è naturale che si venga a creare una sorta di frattura tra l’exceptio rei judicatae fatta valere da quest’ultimo e la autonome valutazioni compiute dagli altri Stati. Da qui, un duplice ordine di conseguenze. Da un lato, è evidente che, dati i presupposti, il ne bis in idem estradizionale, anche se ricondotto in una struttura pattizia, non è in grado di sortire effetti impeditivi delle attività processuali dello Stato richiedente256; dall’altro, poiché il principio si rivolge allo Stato detentore sul presupposto che questo sia anche lo Stato che ha già giudicato su quei fatti, ne discende che lo Stato detentore sia in linea di principio indifferente all’eventualità di un doppio giudizio quando la prima sentenza sia stata pronunciata in un Paese terzo o, addirittura, nello Stato richiedente, per cui, in queste ipotesi, procederà alla consegna. Si palesa qui, ancora una volta, quella “unilateralità” della disciplina dell’estradizione cui prima facevamo riferimento: sullo Stato detentore incombe

254

G. DE FRANCESCO, voce Estradizione, in Noviss. dig. it. Appendice, 1982, 570.

255

G. DE FRANCESCO, Il concetto di “fatto” nella previsione bilaterale e nel principio del “ne bis in idem” in materia di estradizione, in Ind. pen., 1981, 650.

256

94 solo il divieto di non estradare quando ha giudicato in via definitiva sui fatti oggetto della domanda e niente più gli viene domandato; esso, in altre parole, non ha l’obbligo di evitare comunque un eventuale bis in idem e, solo in via indiretta, è garante dei diritti dei singoli a non essere processati due volte per un identico fatto257.

Questo stato di cose, del resto, trova conferma in numerosi trattati in materia di estradizione e, segnatamente, nella Convenzione europea del 1957258, dove emerge chiaramente come le pronunce giudiziarie a base del ne bis in idem estradizionale sono in ogni caso da riferirsi esclusivamente allo Stato richiesto259. Ed infatti, stante il disposto dell’art. 9, comma 1, Conv. eur. estr., ai sensi del quale “l’estradizione non sarà accordata quando la persona richiesta sia stata giudicata in forma definitiva dalle autorità competenti della Parte richiesta per il fatto od i fatti per i quali l’estradizione è domandata”, non solo si esclude qualsiasi effetto preclusivo ai giudicati provenienti da Stati estranei al rapporto estradizionale – segno che l’estradizione continua ad essere vista essenzialmente come un “rapporto a due”260 – , ma si nega addirittura che il giudicato del Paese richiedente possa essere elevato a fondamento del diniego di estradizione da parte dello Stato richiesto.

Per quanto riguarda la prima problematica sollevata dalla Convenzione, la circostanza che siano escluse dall’ambito applicativo del ne bis in idem le sentenze definitive emesse da autorità giudiziarie di Stati terzi alla singola vicenda estradizionale, è stata oggetto di numerose critiche; così, mentre alcuni sono giunti a sostenere che questa lacuna è il segno del fatto che “en réalité, le

législateur semble plutôt appliquer la règle bis in idem”261, altri hanno

257

Analoghe considerazioni sono espresse da N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem, cit.,

186 ss.

258

La Convenzione europea di estradizione è stata firmata dall’Italia il 13 dicembre 1957 e ratificata con l. 30 gennaio 1963, n. 300.

259

N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 173.

260

Questa conclusione, a nostro avviso, non è inficiata dalla constatazione che nell’attuale prassi internazionale l’estradizione non consiste necessariamente in un rapporto di collaborazione tra lo Stato del locus commissi delicti e lo Stato di rifugio, ma, sempre più spesso, si registra “l’attuazione di operazioni estradizionali anche quando il reato sia stato commesso in uno Stato terzo diverso da quello che propone la richiesta e nello stesso stato richiesto” (così E. AMODIO- O. DOMINIONI, L’estradizione e il problema, cit., 368).

261

Così W. DUK, Principes fondamentaux de la Convention européenne d’extradition, in Aspects juridiques de l’extradition entre Etats européens, Strasbourg, 1969, 46.

95 evidenziato che sarebbe stato doveroso, da parte dei redattori della Convenzione, prevedere quantomeno la facoltà, in capo allo Stato detentore, di rifiutare l’estradizione in siffatte ipotesi262. A nostro avviso, tuttavia, nonostante queste critiche colgano nel segno nella parte in cui sottolineano la scarsa portata garantista dell’art. 9 Conv. eur. estr., dall’altra parte, non sembrano tenere nella dovuta considerazione la circostanza che il ne bis in idem estradizionale opera esclusivamente nei confronti dello Stato detentore, sul necessario presupposto che esso abbia consumato l’azione penale. La mancata attribuzione di efficacia “impeditiva” alle sentenze provenienti da Paesi diversi da quello che di rifugio, più che una lacuna, sembra pertanto costituire la naturale conseguenza della ratio del principio e della concezione del diritto internazionale di cui esso è espressione263.

Al riguardo, merita comunque notare che, al fine di evitare una costante reiterazione dei processi, diversi Stati hanno apposto riserve all’art. 9 della Convenzione, con le quali si è affermata la volontà di attribuire efficacia al ne bis

in idem anche in presenza di sentenze emesse in Stati terzi al rapporto

estradizionale264. Inoltre, lo stesso articolo 9 della Convenzione è stato oggetto di un importante emendamento ad opera delle disposizioni contenute nel Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione stessa265; nel dichiarato intento di “rafforzare la protezione della collettività umana e degli individui”266, l’art. 2 del predetto Protocollo ha infatti ampliato la portata applicativa del ne bis in idem estradizionale, attribuendo, a certe condizioni, efficacia preclusiva

262

N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 174.

263

Su cui, si v. infra, para 5.

264

Si v. le riserve a suo tempo formulate da Danimarca, Irlanda, Olanda e Svizzera, tendenti a rivendicare l’applicazione del ne bis in idem estradizionale anche laddove il primo giudizio abbia avuto luogo in uno Stato terzo; particolarmente chiara la riserva danese, dove si afferma che “L’extradition peut être refusée si les autorités compétentes d’un Etat tiers ont définitivement condamné ou acquitté l’individu du délit faisant objet de la demande d’extradition ou si les autorités compétentes d’un Etat tiers ont décidé de ne pas intenter de poursuite ou de cesser la poursuite en ce qui concerne le même délit”. I testi integrali delle riserve si possono leggere in M. R. MARCHETTI (a cura di), La Convenzione europea di estradizione, Milano, 1990, 141 ss.; sul punto, amplius, N. GALANTINI, Il principio del “ne bis in idem”, cit., 175.

265

Tale protocollo, aperto alla firma il 15 ottobre 1975, è entrato in vigore il 20 agosto 1979; tale Protocollo, tuttavia, non è in vigore per l’Italia, che non compare ancora tra gli Stati firmatari. Il testo del Protocollo, nelle versioni inglese e francese può essere letto in M. R. MARCHETTI (a cura di), La Convenzione europea di estradizione, cit., 38-39, unitamente ad una traduzione non ufficiale dello stesso (ivi, 121).

266

“To strengthening the protection of humanity and of individuals”, così il Preambolo al Protocollo.

96 dell’estradizione alle sentenze definitive – purché non contumaciali – pronunciate in uno Stato terzo al rapporto estradizionale, se questo è parte della Convenzione267. In ogni caso, nonostante i lodevoli intenti, la portata innovativa di questa disposizione pare scarsa: non solo, infatti, questa norma è soggetta a molte eccezioni268, non tutte invero ragionevoli, ma, soprattutto, rimane fermo il principio che l’efficacia impeditiva della sentenza straniera è riconosciuta a condizione che questa sia stata pronunciata in uno Stato parte della Convenzione, quando, invece, l’adozione di una logica realmente garantista avrebbe condotto ad estendere la portata del ne bis in idem a tutte le ipotesi di previo giudicato, a prescindere dal fatto che lo Stato che si è pronunciato per primo fosse o meno parte della Convenzione medesima269; senza contare, poi, che il Protocollo risulta attualmente in vigore per la metà degli Stati aderenti alla Convenzione, tra cui, fra le altre cose, non figura neppure l’Italia.

Per quanto riguarda la seconda problematica sollevata dalla Convenzione, vale a dire che l’esistenza di una res judicata nello Stato richiedente, concernente i medesimi fatti oggetto del petitum estradizionale, non esclude l’obbligatorietà della consegna in capo allo Stato detentore, tale limitazione dell’ambito applicativo del ne bis in idem è stata motivata con il fatto che ogni Stato membro del Consiglio d’Europa che ha ratificato la Convenzione riconosce a livello interno il principio del divieto di doppio processo per lo stesso reato270. La previsione espressa di un divieto di estradizione in queste ipotesi, dunque, sarebbe

267

L’art. 2 del Protocollo (nella traduzione non ufficiale in M. R. MARCHETTI, cit. supra, così prevede: “L’estradizione di una persona che è stata oggetto di una sentenza definitiva, per il fatto o per i fatti per i quali la domanda è presentata, in uno Stato terzo, Parte contraente della Convenzione, non sarà concessa: a) quando con tale sentenza la persona è stata assolta; b) quando la pena privativa della libertà o l’altra misura inflitta: i) è stata interamente scontata; ii) è stata oggetto di grazia o di amnistia relativamente alla sua totalità o alla parte non eseguita; c) quando il giudice ha accertato la colpevolezza dell’autore del reato senza pronunciare alcuna sanzione”. Cfr. sul punto, le osservazioni di G. DEAN, Profili di un’indagine, cit., 61 ss.

268

Si tratta delle ipotesi previste dall’art. 3 del Protocollo, integranti “casi speciali nei quali lo Stato richiedente ha un particolare interesse a poter avviare un procedimento anche quando sia stata anteriormente pronunciata una sentenza in uno Stato terzo” (così il Rapporto esplicativo sul

Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, in M.R. MARCHETTI , La

Convenzione, cit., 329). In particolare, ai sensi dell’art. 3 del Protocollo, “nei casi previsti dal § 2,

l’estradizione potrà essere concessa: a) se il fatto che ha dato luogo al giudizio è stato commesso contro una persona, un’istituzione o un bene che ha carattere pubblico nello Stato richiedente; b) se la stessa persona che è stata oggetto di giudizio aveva un carattere pubblico nello Stato richiedente; c) se il fatto che ha dato luogo al giudizio è stato commesso in tutto o in parte nel territorio dello Stato richiedente o in un luogo a questo assimilato”.

269

Cfr. anche G. DEAN, Profili di un’indagine, cit., 63.

270

97 stata inutile, poiché lo Stato richiedente non avrebbe comunque potuto instaurare un secondo giudizio in eadem rem. Ebbene, mentre è evidente la scarsa plausibilità di tale giustificazione, poiché lo Stato richiesto non potrà comunque negare l’estradizione anche quando è a conoscenza dell’esistenza di un giudicato con identico oggetto nel Paese richiedente271, sembra che, una volta che si è riconosciuta l’efficacia impeditiva dell’estradizione alla sentenza emessa in un Paese estraneo alla singola vicenda estradizionale, lo stesso principio debba applicarsi, a fortiori, nelle ipotesi in cui il primo giudizio ha avuto luogo nello Stato richiedente.

2.3. Il concetto di “medesimo fatto” presupposto del ne bis in idem

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