Da quanto analizzato sino ad ora emergono la centralità e l’importanza di determinare e concordare ex
ante le modalità e la tempistica per la realizzazione dell’uscita dall’investimento da parte del venture capitalist. Ciò costituisce senza dubbio uno degli elementi caratteristici delle operazioni di venture capital, tuttavia, è bene segnalare che, più in concreto, le principali modalità di cessione della
partecipazione dell’investitore sono rappresentate da:
(a) la cessione delle azioni al pubblico dei risparmiatori, sia nell'ambito di una IPO (initial public
offer), sia posta in essere quando l’impresa è già quotata e quando sia trascorso un periodo di tempo
minimo a partire dalla quotazione (comunemente chiamato lock-up period); (b) il trasferimento della partecipazione ad un operatore industriale (c.d. trade sale);
138 (c) il c.d. secondary buy-out, ossia la cessione ad un operatore di private equity (se l’impresa ha
superato con successo le prime fasi del proprio ciclo di business, o di venture capital (qualora l’impresa si trovi ancora nelle fasi inziali del proprio ciclo di business); e
(d) il riacquisto della partecipazione da parte del socio imprenditore, rimasto con quote di minoranza, nella compagine azionaria per tutta la durata dell'operazione (c.d. buy back).
Tale ultima ipotesi rappresenta un caso limite, che si verifica qualora l’investimento da parte del venture
capitalist non abbia prodotto i risultati auspicati e, pertanto, l’impresa non sia appetibile per il mercato.
Infatti, come detto, l’investitore non può continuare a detenere la partecipazione per un periodo di tempo indeterminato in considerazione della propria struttura; pertanto, qualora il mercato, a causa del parziale insuccesso dell’investimento e del processo di crescita dell’impresa, non offra occasioni di way out profittevoli, all’investitore non resta altro che cedere la partecipazione allo stesso socio imprenditore. Ovviamente, tale modalità di uscita deve essere necessariamente concordata sin dalla fase di investimento, in considerazione proprio della circostanza che il socio imprenditore dovrà sobbarcarsi una parte ulteriore di rischio dell’investimento, potendo essere chiamato a riacquistare la partecipazione ceduta precedentemente all’investitore. Dal canto suo, il venture capitalist cercherà di ri-trasferire la propria partecipazione all’imprenditore, in modo da recuperare quanto meno le somme investite nell’impresa. Si tratta, come evidente, di una forma di disinvestimento particolarmente delicata, la cui negoziazione richiede notevoli sforzi da ambo le parti e la convinzione che la stessa costituisca un’ipotesi remota o comunque l’extrema ratio cui ricorrerà l’investitore. Il meccanismo sopra delineato viene previsto, come visto precedentemente, anche nell’ipotesi in cui, a seguito di dissidi profondi tra socio imprenditore e venture capitalist, la prosecuzione dell’investimento non sia possibile e l’attività della società risulti in sostanza paralizzata (c.d. opzioni a prezzo punitivo).
In aggiunta a quanto precede, tradizionalmente si ricomprende all'interno dell'attività di disinvestimento anche il caso di svalutazione, parziale o totale, del valore della partecipazione (c.d. write off) a seguito di perdita di valore della stessa non correlata ed un atto di cessione240. Tale evento viene comunemente ricompreso dalla letteratura economica241 all'interno dei casi di disinvestimento, in quanto provoca, al
240 L’AIFI definisce il write off come “Abbattimento totale o parziale del valore della partecipazione detenuta da un
investitore nel capitale di rischio, a seguito della perdita di valore permanente della società partecipata ovvero della sua liquidazione o fallimento, con conseguente riduzione della quota detenuta o uscita definitiva dalla compagine azionaria”.
241 Gervasoni, Sattin, op. cit., pp. 353 e ss.; Caselli, op. cit., pp. 159 e ss.; Cumming, Fleming, Schwienbacher, op.
cit., pp. 214 e ss.; Ruhnka, Feldman, Dean, The living dead phenomenon in venture capital investments, Journal of
Business Venturing, 1992, pp. 137 e ss.; Bottazzi, Da Rin, Venture capital in Europe and the financing of innovative
139 pari delle vere e proprie dismissioni, la riduzione o la totale scomparsa della specifica voce di attivo all'interno del bilancio del soggetto investitore.
Con riferimento alle opzioni di disinvestimento sopra citate, seppure, come detto più volte, ciascuna di esse sia già indicativamente concordata al momento della negoziazione dell’investimento, la scelta di quale seguire dipende da una serie di elementi connessi alla tipologia dell'impresa target, quali la dimensione, il settore di attività, le caratteristiche organizzative e, principalmente, i risultati raggiunti attraverso il lavoro comune del venture capitalist e del socio imprenditore. Nella scelta del canale di disinvestimento, l’investitore dovrà considerare la fase attraversata dal mercato borsistico, nel caso intenda promuovere la quotazione dell’impresa, e quella che caratterizza il mercato delle operazioni di M&A, nel caso in cui intenda avvalersi delle opzioni che prevedono il trasferimento della partecipazione mediante trade sale o secondary buy-out. Sul piano teorico, gli approcci seguiti dagli investitori nel capitale di rischio nella programmazione della way out risultano variegati e di difficile categorizzazione. Uno studio condotto negli Stati Uniti242 sottolinea che è possibile individuare due diversi modelli, chiamati, rispettivamente, path sketcher e opportunist, a seconda dell’importanza che la pianificazione del disinvestimento riveste nel momento in cui la decisione di investimento viene presa, nonché dell’importanza dell’attività del management della società nella concreta scelta della modalità di dismissione.
Segnatamente, nel modello path sketcher, l'investitore non pianifica in dettaglio le modalità di disinvestimento, ma cerca di incrementare le probabilità che l’uscita dall’investimento sia economicamente profittevole. Infatti, qualora il venture capitalist sia convinto, per esperienza in precedenti operazioni e/o per la conoscenza del mercato locale, che la maggior parte dei disinvestimenti di successo si realizza mediante trade sale, nel caso specifico procederà ad un’analisi circa le concrete possibilità di realizzazione di una operazione di trade sale, in modo che i risultati di tale analisi influiscano e contribuiscano a delineare la struttura dell'accordo all’atto dell’investimento.
Di converso, il modello opportunist si basa sulla fiducia che l’investitore ripone nel management e nelle capacità di questo di valorizzare l’impresa nella quale si investe. In tale modello, l'investitore in una fase prodromica all’investimento conduce un'analisi anche al fine di identificare delle opportunità di uscita, ma le stesse finiscono per avere un ruolo secondario nella scelta se effettuare o meno l’operazione di investimento e sui relativi termini e condizioni. Gli autori dell’importante lavoro sopra menzionato
242 Relander, Syrjanen, Miettinen. Analysis of the trade sale as a venture capital exit route, Realizing Investment Value. London: Pitman Publishing, 1994, pp. 132 e ss.
140 sottolineano che la way out perseguita dai venture capitalist in tale modello è, in genere, la quotazione dell’impresa su un mercato regolamentato.
Un lavoro successivo243 condotto su alcuni casi di operazioni di successo, individua due diverse categorie di investitori, a seconda dell’approccio da questi manifestato nei confronti del processo di disinvestimento. In particolare, la prima tipologia di investitori, definita proactive investors, è costituita da venture capitalist che preferiscono acquisire partecipazioni di maggioranza e, al tempo stesso, utilizzare stock options plans al fine di incentivare il management della società e limitare il rischio di comportamenti opportunistici. Dallo studio sopracitato, emerge che, nella maggior parte dei casi, tali operatori pianificano la modalità di disinvestimento già al momento della negoziazione dell’investimento e dell’implementazione dello stesso, scegliendo il canale privilegiato di way out principalmente in funzione del massimo livello di IRR ottenibile. Oltre a tale tipo di investitori, viene individuata la categoria passive investors. Tali operatori di venture capital acquistano in linea di massima quote di minoranza nell’impresa e sono poco coinvolti nella gestione dell’impresa, avvicinandosi alla figura di meri finanziatori. Lo studio mette in evidenza che il passive investor investe nell’impresa per un orizzonte temporale più lungo rispetto a quello dei proactive investors, senza avere pianificato alcuna specifica modalità di dismissione della partecipazione e affidandosi, per ripagare il proprio investimento, ai dividendi forniti dalla partecipata. La più frequente way out è rappresentata per tale tipo di investitori dal riacquisto della partecipazione da parte del management e degli altri soci, non prestandosi particolare attenzione alla massimizzazione dell'lRR. Inoltre, è bene tenere a mente che, in tale contesto, la figura del
passive investor è per lo più riferita a mercati poco maturi, con un ridotto numero di competitor.
Dai risultati che emergono dalla ricerca sopra riportata, gli autori concludono che le più frequenti cause di fallimento o di problemi, relative al processo di disinvestimento, risultano essere:
1. la mancata appetibilità della società in cui il venture capitalist ha investito da parte del mercato borsistico;
2. un interesse limitato verso i titoli rappresentativi delle partecipazioni della società da parte degli investitori istituzionali nell’ambito di una operazione di quotazione;
3. la mancanza di manifestazioni di interesse da parte dei potenziali acquirenti industriali nel caso in cui si intenda disinvestire mediante una trade sale;
243 Si veda, Wall, Smith, Better exits, results of a survey of the venture capital exit market and guidance on how
141 4. l’assenza di una collaborazione effettiva da parte del management e/o del socio imprenditore; 5. la presenza di criticità emerse nel corso di processi di due diligence; e/o
6. il mancato conseguimento di risultati aziendali soddisfacenti ed in linea con i piani di sviluppo dell’impresa.
In tale ottica, è bene sottolineare, ancora una volta, come le probabilità di un disinvestimento che risulti profittevole per l’investitore sia il prodotto di tutte le fasi precedenti. Risultano, quindi, fondamentali gli sforzi profusi nella negoziazione dell’investimento per la definizione e gli accordi relativi alle diverse soluzioni di way out dall’investimento. Di pari importanza sono la continua condivisione del percorso di crescita e sviluppo dell’impresa, nonché la stretta cooperazione tra il venture capitalist e il socio imprenditore; questi costituiscono strumenti che, incrementando le possibilità che l’impresa riesca a conseguire i risultati di sviluppo prospettati, aumentano le probabilità del perfezionamento di un’operazione di disinvestimento che sia profittevole. Eventuali rischi di natura sistemica, quali lo stato dell'economia nazionale e l’andamento dei mercati azionari al tempo del probabile disinvestimento, non potendo essere previsti ex ante, né potendosi adottare adeguate e piene protezioni contrattuali, potranno essere affrontati solo in prossimità del disinvestimento.
Con particolare riferimento alle modalità di uscita, uno studio condotto su un campione di imprenditori a livello europeo ha comparato le due principali way out (i.e. trade sale e quotazione)244. Da quanto risulta da tale indagine, gli imprenditori manifestano opinioni differenti sulla possibilità di una maggiore o minore valutazione dell'impresa a seconda del canale di cessione prescelto. In particolare, mentre vi è una concordanza circa la minore onerosità e sulla maggiore facilità di una vendita ad un soggetto industriale o finanziario rispetto alla quotazione, dallo studio citato si rileva una visione positiva della quotazione nel mercato borsistico da parte degli imprenditori, in quanto ritenuto fonte di prestigio e strumento per consentire un'ulteriore raccolta di mezzi finanziari.