Particolarmente interessante ai fini delle operazioni di venture capital, in cui l’impresa target abbia la forma della società per azioni209 (ovvero tale forma venisse assunta nell’ambito del perfezionamento dell’operazione di investimento), risulta essere la possibilità di attribuire ad alcuni soci, mediante la creazione di categorie di azioni o altre modalità, il diritto di nominare un certo numero di amministratori (e disporre la revoca degli stessi solo con il voto favorevole di particolari maggioranze qualificate o la previsione che debba esservi il voto favorevole della relativa categoria di azioni)210. Rispetto a tali clausole, gli operatori del diritto dovranno prestare particolare cautele al fine di evitare, attraverso il loro inserimento nello statuto, la personalizzazione della posizione del socio che, come tale, nelle società per azioni è trattato più rigidamente rispetto alla disciplina della società a responsabilità limitata (dove, come detto, al singolo socio possono essere attribuiti statutariamente diritti particolari)211.
Nell’ambito dei diritti amministrativi, ed in particolare della nomina dell’organo di gestione, il principio cardine risulta essere quello della competenza assembleare. In linea generale, si tratta di una vera e propria competenza inderogabile, salvo che si sia adottato il sistema di amministrazione dualistico212, che
209 Sul tema si veda il prezioso lavoro di Zanoni, Venture capital e diritto azionario, Padova, 2010, nel quale viene offerta un’ampia analisi sia del diritto statunitense che italiano in tema di operazioni di venture capital e partecipazioni azionarie.
210 Ai fini che qui rilevano è bene sottolineare che l’analisi sarà limitata alla sola nomina dell’organo di gestione, ma le considerazioni che verranno qui svolte ben possono essere estese anche alla nomina dei sindaci. Per quanto concerne la revoca di questi ultimi, tuttavia, il discorso deve tener conto della previsione di cui all’art. 2440 c.c. secondo cui la revoca dei sindaci è possibile solo per giusta causa e a seguito dell’approvazione con decreto del tribunale competente sentito il sindaco interessato.
211 La ratio di tale differente trattamento risiede nel carattere prettamente personalistico della società a responsabilità limitata. Diversamente, nella società per azioni prevale l’elemento capitalistico, la società risulta maggiormente separata dai soci e per vocazione destinata al mercato. Pertanto, a livello sistematico, appare evidente che un eccessiva personalizzazione della posizione di un socio contrasta con la natura del rapporto socio/società per azioni, caratterizzato da una maggiore distanza rispetto alle società a responsabilità limitata.
212 Ulteriori deroghe sono state espressamente ammesse dalla legge. Ad esempio i primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo; un amministratore indipendente può essere nominato dai titolari di strumenti finanziari; e la nomina può essere altresì riservata all’assemblea dei sottoscrittori (nel caso di costituzione per pubblica sottoscrizione).
123 sancisce il legame fiduciario che deve necessariamente instaurarsi tra proprietà (i soci) e gestione (gli amministratori)213. Da tale principio generale discendono una serie di corollari che comportano la nullità delle previsioni statutarie che (i) attribuiscono un diritto di nomina diretto (al di fuori quindi della sede assembleare); (ii) consentono la nomina di membri del consiglio di amministrazione a soggetti diversi dai soci; e/o (iii) che alterino la durata massima limitata dell’incarico degli amministratori ed il meccanismo di revoca214.
Per ovviare a tali limiti inderogabili e consentire una ripartizione dei diritti di governance tra socio imprenditore e venture capitalist, diviene particolarmente rilevante nelle operazioni di venture capital il ricorso a categorie di azioni. Infatti, mediante la creazione di categorie di azioni, si possono attribuire all’imprenditore e all’investitore diritti diversi sia in ambito patrimoniale che in ambito amministrativo. Per meglio inquadrare la nozione di categoria di azioni, va preliminarmente rilevato che nel diritto societario vige il principio di uguaglianza degli azionisti nel senso che, ai sensi dell’articolo 2348 del Codice Civile, comma 1, “le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori
uguali diritti”. Tale principio viene, appunto, derogato mediante la creazione di categorie di azioni215. Infatti, l’articolo 2348 del Codice Civile al suo secondo comma, prevede che “Si possono tuttavia creare,
con lo statuto o con successive modificazioni di questo, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie.”. Tuttavia, in presenza di più
categorie di azioni, il legislatore ha posto il principio che vieta la discriminazione dei soggetti all’interno della stessa categoria, in ossequio all’art. 2348, comma 3, del Codice Civile, in forza del quale “Tutte le
azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti”.
Per quanto attiene alla qualificazione della nozione di categoria di azioni, e della conseguente applicazione della disciplina dell’articolo 2376 del Codice Civile, vi è un dibattito dottrinale. Da un lato, alcuni autori individuano in una vera e propria posizione giuridica soggettiva diversa l’elemento su cui
213 La regola dell’inderogabilità emerge con chiarezza dal combinato disposto degli articoli 2364, 2383 e 2386 c.c.. Tale ricostruzione è stata avallata dalla giurisprudenza tra cui si segnala: Cass. Civ. 17 aprile 1990, n. 3181, Foro It., pp. 1533 e ss.; Cass. Civ. 14 dicembre 1995, n. 12820, Giur. It., 1996, pp. 1360 e ss..
214 Sanfilippo, Funzione amministrativa e autonomia statutaria nelle società per azioni, Torino, 2000, pp. 284 e ss.; Maugeri, Se possa riservarsi a una categoria di azioni o a gruppi di azionisti la nomina di singoli amministratori o
sindaci, Società di Capitali, Casi e Materiali, Torino, 2006, pp. 58 e ss..
215 Sul tema si veda: Picone, Diritti diversi e categorie di azioni, Riv. Dir. Comm., 2003, pp. 755 e ss.; Galgano, Ghenghini, Il nuovo diritto societario. Le nuove società di capitali e cooperative, Trattato di diritto commerciale e
di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2007, pp. 607 e ss.; Grosso, Categorie di Azioni e Assemblee Speciali,
124 fondare una categoria di azioni216. Una seconda tesi individua l’elemento sulla base del quale costituire una diversa categoria di azioni in una qualsiasi situazione giuridica soggettiva astrattamente attribuibile dallo statuto alle azioni (in conformità ai limiti derivanti dalla causa societatis e dalla disciplina inderogabile del tipo, sia agli specifici divieti e limiti dettati in astratto dalla legge) ed astrattamente suscettibile di una diversa attribuzione solo ad una parte delle azioni217. La prima tesi sembrerebbe quella preferibile, in ragione della circostanza che il pregiudizio rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2376 del Codice Civile deve ancora, anche a seguito della riforma, incidere sui diritti speciali di categoria che, in quanto tali, differenziano le diverse categorie. Pertanto, non è rilevante il pregiudizio che invece incide su un certo tipo di diritto o privilegio, se tale privilegio o diritto è comune a tutte le categorie di azioni in circolazione218. Il pregiudizio può, infatti, incidere esclusivamente sul diritto speciale e, per essere rilevante ai fini dell’art. 2376 del Codice Civile, deve concretizzarsi in un’alterazione in negativo del diritto tipico della categoria, sia direttamente che indirettamente.
Con particolare riferimento alle operazioni di venture capital, l’aspetto che è sicuramente di maggiore interesse riguarda l’analisi delle modalità con le quali i diritti vengono ripartiti tra il socio imprenditore ed il socio investitore. Infatti, tramite lo strumento delle categorie di azioni e delle relative previsioni statutarie è possibile prevedere che alcune operazioni o decisioni debbano essere approvate necessariamente dagli appartenenti ad una categoria di azionisti, riconoscendo in tal modo a detti azionisti un potere di veto, con una tecnica diversa rispetto alle super-majorities. In tal senso, il diritto societario italiano ammette, con riferimento alle azioni, un’ampia autonomia statutaria nel dettare delle regole che attribuiscono ai soci di minoranza (venture capitalist o imprenditore, a seconda del caso) con una partecipazione comunque non del tutto trascurabile, un diritto di veto rispetto ad alcune operazioni societarie. Tale risultato, come detto, può essere conseguito sia mediante la creazione di categorie di azioni con voto, per così dire, determinante, ovvero mediante la previsioni di maggioranze rafforzate ai fini dell’approvazione di determinate operazioni. La differenza è evidente: nel primo caso, il diritto di veto spetta solo agli azionisti con diritto di voto determinante (ad esempio al socio imprenditore, titolare
216 Si veda: Mignoli, Le assemblee speciali, Milano, 1960, pp. 62 e ss., il quale distingue tra categorie di azioni e tipi di azioni, includendo in questa nozione le diversità che non sono relative a diritti incorporati nell’azione ma a caratteristiche esteriori dell’azione. In dottrina si veda inoltre: Picone, op. cit., pp. 755 e ss; e Grosso, op. cit., Milano, 1999, p. 285 e ss..
217 Notari, commento sub articolo 2348, Commentario alla riforma delle societa`, diretto da Marchetti, Milano, 2008, pp. 153 e ss.; Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 95 in materia societaria; Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile, Torino, 1987, pp. 446 e ss.
218 In tal senso, diritto speciale (diritto speciale di membro che spetta solo ai soci appartenenti ad una medesima categoria) è inteso come distinto dal diritto individuale (o diritto legato allo status di socio e che, in quanto tale, spetta a tutti i soci) e anche dal diritto quesito che, come definito da Mignoli, è il diritto maturato a seguito di un determinato evento della società.
125 di azioni di una determinata categoria, nel caso di operazioni straordinarie di fusione o scissione), mentre nel secondo caso, il diritto di veto spetterebbe a chiunque detenga tante azioni che rappresentino almeno una percentuale di blocco. In tal senso, la presenza e l’attribuzione di azioni di una determinata categoria consentono di personalizzare il diritto di veto, attraverso la sua incorporazione nello strumento azionario, mentre la seconda ipotesi ricollega il diritto di veto al possesso di una certa percentuale di blocco del capitale sociale.
In ogni caso, il legislatore detta dei limiti a tale autonomia. Infatti, non tutte le decisioni che possono essere adottate dall’assemblea ricevono una medesima copertura legislativa. Infatti, l’articolo 2369, comma 4, del Codice Civile, non permette l’inserimento di maggioranze più elevate di quelle legislativamente previste nel caso di approvazione del bilancio e della nomina e revoca delle cariche sociali. Il quinto comma di tale articolo prevede, inoltre, che anche in seconda convocazione, in caso di cambiamento dell’oggetto sociale, trasformazione della società, scioglimento anticipato, proroga della società, revoca dello stato di liquidazione, trasferimento della sede sociale all’estero, emissioni delle azioni con voto alterato, siano necessari quorum rinforzati. In tal senso, sembra logico che la categoria di azioni con voto determinante non potrà avere ad oggetto le materie previste dall’articolo 2369, comma 4, del Codice Civile.
Tale limite comporta, soprattutto per quanto attiene alla nomina delle cariche sociali, in ragione dei delicati equilibri tra il socio imprenditore ed il venture capitalist, problemi relativi all’allocazione dei diritti di governance e soprattutto criticità in materia di gestione e monitoraggio dell’attività d’impresa. Infatti, da un lato, l’imprenditore ha interesse a mantenere una gestione dell’impresa quanto meno negli aspetti più operativi relativi soprattutto all’implementazione della business idea, nonché un controllo sull’attività svolta dall’investitore; dall’altro, l’investitore ha interesse a gestire l’impresa e a definirne le strategie di crescita, nonché di monitorare l’attività dell’imprenditore ed evitare che possa adottare comportamenti opportunistici. Per far ciò, sia l’imprenditore che l’investitore hanno la necessità di avere un proprio rappresentante (ovvero di partecipare direttamente) nel consiglio di amministrazione o nel collegio sindacale della società. Per raggiungere tale risultato, la prassi ha mutuato lo schema del voto di lista previsto per le società quotate. In tal modo, prevedendo che tutti i soci appartenenti ad una medesima categoria avranno il diritto di presentare una sola lista e che da ciascuna delle liste più votate si nomineranno una data percentuale di amministratori (o sindaci), si consente di raggiungere il medesimo risultato, arrivando, di fatto, ad un meccanismo di designazione. Un esempio potrà chiarire meglio il meccanismo. Si supponga che il venture capitalist sia titolare di una partecipazione di maggioranza rappresentata da azioni di categoria A, mentre l’imprenditore sia titolare di una partecipazione di minoranza rappresentata da azioni di categoria B. In una siffatta situazione, il venture capitalist, in
126 assenza di diverse previsioni statutarie, avrebbe il diritto di nominare l’intero consiglio di amministrazione (ed il collegio sindacale). Con il meccanismo di voto di lista, invece, si consente al socio di minoranza (l’imprenditore, nel nostro esempio) di nominare un determinato numero di amministratori. Si supponga, infatti, che lo statuto preveda che:
(i) i soci titolari di azioni di categoria A (ossia il venture capitalist) possano presentare una sola lista di amministratori;
(ii) i soci titolari di azioni di categoria B (ossia l’imprenditore) possano presentare una sola lista di amministratori;
(iii) i soci titolari di azioni di categoria A e di categoria B possano votare solo le liste presentate dai soci appartenenti alla medesima categoria (i.e. il venture capitalist può votare esclusivamente la lista da lui presentata e, mutatis mutandis, l’imprenditore può votare solo la lista da lui stesso presentata); (iv) dalla lista più votata (i.e. quella del venture capitalist nel nostro esempio) si nominino la
maggioranza dei consiglieri di amministrazione (e.g. in un consiglio di amministrazione composto da 3 membri, se ne nomineranno 2);
(v) dalla seconda lista più votata (i.e. quella dell’imprenditore, nel nostro esempio) si nomini una minoranza dei consiglieri di amministrazione (e.g. nel caso di un consiglio di amministrazione di 3 membri, ne verrà nominato esclusivamente 1); e
(vi) nel caso in cui venga meno (per decadenza, revoca, dimissioni, ecc…) un amministratore espressione di una lista, lo stesso verrà sostituito cooptando l’amministratore che risulta il primo dei non-nominati nella lista di cui l’amministratore dimissionario era espressione. In tal modo, evidentemente si viene a limitare l’effetto distorsivo che potrebbe provocare il sistema di cooptazione previsto a livello codicistico219.
L’esempio sopra esposto, che può essere replicato mutatis mutandis anche con riferimento alla nomina del collegio sindacale, consente di cogliere pienamente l’utilità dei meccanismi di nomina delle cariche sociali e delle categorie di azioni quali strumenti attraverso i quali realizzare una piena allocazione dei diritti di governance che sia in linea con gli accordi tra socio imprenditore ed investitore.
A livello di consiglio di amministrazione, si ripropongono le medesime problematiche, sia in termini di ripartizione delle cariche (e.g. presidente e amministratore delegato), sia in termini di delibere del
127 consiglio da adottare con maggioranze rafforzate ovvero con il voto favorevole degli amministratori espressione di un determinato socio. Anche in tal caso, le categorie di azioni ed i meccanismi statutari possono risolvere la maggior parte dei profili critici. Infatti, lo statuto ben potrà prevedere, ad esempio, che il presidente sia nominato tra gli eletti da una determinata lista, che alcune materie possano essere delegate esclusivamente agli amministratori espressione dei soci di una categoria particolare, ovvero che alcune delibere debbano essere adottate con il voto favorevole degli amministratori appartenenti ad una data lista. In tal modo, si riesce a raggiungere anche a livello di consiglio di amministrazione un’allocazione dei diritti di governance tra socio imprenditore e venture capitalist efficiente. Infatti, al socio imprenditore potranno essere delegati, a titolo esemplificativo, poteri operativi, mentre gli amministratori espressione dell’investitore potranno vedersi delegati poteri di natura strategica, ovvero prevedere che decisioni strategiche debbano essere necessariamente prese con il voto favorevole degli amministratori tratti dalla lista dell’investitore (o anche dell’imprenditore, a seconda di quelle che sono gli accordi tra le parti che vengono recepiti in statuto).
La creazione di categorie di azioni, quindi, consente di trasportare a livello statutario e societario le previsioni di un patto parasociale, le quali sarebbero di difficile implementazione laddove non venissero adeguatamente recepite in statuto o venissero create diverse categorie di azioni.