Post Snowden Era: anno zero File: «README_FIRST»
2. Dieci giorni a Hong Kong 1 Identità morale
2.2 La triade: giornalismo istituzionale
Greenwald denuncia, da anni e diffusamente nel dossier sul caso NSA82, un atteggiamento deprecabile della stampa statunitense: esisterebbero consuetudini consolidate in protocolli informali che regolamentano il modo in cui i media affrontano i segreti governativi. Secondo tali leggi non scritte di fronte a uno scoop che coinvolga i piani alti dell’amministrazione presidenziale i redattori debbono prima di tutto rivolgersi ai funzionari del
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governo, al fine di consentirgli di controllare quali informazioni si preannuncia di pubblicare e minimizzarne l’impatto sull’opinione pubblica, allo scopo difendere la reputazione governativa. Una volta visionato il materiale che il giornale vorrebbe pubblicare i funzionari NSA informano i giornalisti delle ricadute negative di tali rivelazioni sulla sicurezza del Paese. Da questo momento si apre una, a dir poco sbilanciata, trattativa governo-giornale che ha per oggetto cosa possa essere reso pubblico e cosa sia “necessario” mantenere secretato. Nella migliore delle ipotesi ciò si traduce in notevoli ritardi, altrimenti può addirittura portare alla soppressione di notizie rilevanti. Come chiamare questo gesto se non censura? Peraltro, non priva di conseguenze.
È la condotta che ha tenuto e subito il New York Times nel 2004 in merito allo scoop sul programma di intercettazioni incontrollate che portava avanti la NSA dal 2001, per ordine del Presidente George W. Bush. I giornalisti Risen e Lichtblau erano pronti a pubblicare un dossier che sarebbe poi stato rimandato per oltre un anno. L’allora presidente Bush aveva convocato l’editore e il direttore del giornale per dissuaderli dalla pubblicazione con argomentazioni fuorvianti: far sapere alla cittadinanza di essere spiati senza mandato avrebbe avuto la conseguenza di assecondare il gioco dei terroristi. Il risultato di tali raccomandazioni vede il New York Times sospendere la pubblicazione per quindici mesi fino alla fine del 2005, quando Risen era sul punto di pubblicare tutto in un suo libro indipendentemente dal giornale.
Degna di attenzione è l’opinione di Snowden circa la contingenza temporale con le elezioni presidenziali del 2 novembre 2004: «Nascondendo quella verità hanno cambiato la storia» dice. Se gli americani avessero saputo in tempo delle intercettazioni senza mandato (Risen e Lichtblau avrebbero pubblicato a metà 2004) forse Bush non sarebbe stato rieletto di lì a poco; perciò si potrebbe dire che l’opera di insabbiamento di cui il Presidente si
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fa artefice abbia fatto considerevolmente parte della campagna elettorale che l’avrebbe riconfermato alla Casa Bianca.
Questa «deferenza filogovernativa pavida e allergica al rischio83», come la definisce Greenwald, propria del giornalismo detto istituzionale si manifesta anche nel linguaggio e nel tono che i media sentono di dover assumere quando parlano delle prevaricazioni del governo. Eric Wemple, uno dei columnist dello stesso Washington Post, ha definito il linguaggio degli ossequiosi come “cerchiobottese”, una comunicazione che tende a divulgare le ragioni dell’uno senza criticare la posizione dell’altro ed evita formulazioni nette o esplicite contro il potere. Il giornalismo statunitense adotta un’impostazione che “da un colpo al cerchio e uno alla botte” proprio perché include nelle denunce dei reporter anche le dichiarazioni del governo, persino quando palesemente false o tendenziose, trattandole però con (eccessivo) rispetto84. Il risultato è dare sempre credito alle apologie del governo e alla narrazione dei fatti in egual misura, con la conseguenza di stemperare ogni notizia in una rivelazione che perde irruenza e pregnanza perché diluita con la sua stessa antitesi. Ne è ulteriore esempio l’abitudinaria reticenza all’utilizzo della parola tortura in occasione delle descrizioni delle tecniche di interrogatorio dell’amministrazione Bush, che al contrario non mostrano la stessa riluttanza quando a torturare è un qualsiasi altro Paese.
Questo atteggiamento supino e pavido è proprio di ogni testata giornalistica americana. Un ulteriore esempio sono gli ostacoli legali che il Washington Post ha avanzato per impedire al giornalista Barton Gellman, già due volte vincitore del premio Pulitzer e collaboratore freelance del Post, di recarsi a Hong Kong per incontrare Snowden e studiare i documenti. La teoria
83 Ivi, pag. 91
84 Si veda Enciclopedia Treccani alla voce “cerchiobottismo”: termine ironico
proprio del giornalismo politico anche italiano, con il significato di tendenza a non prendere mai una posizione netta. Voce consultabile online al link
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formalizzata dai legali del Post prevedeva, nel timore di un’intercettazione da parte del governo di Pechino, un’ipotetica accusa e incriminazione, sia del quotidiano che dello stesso Gellman, per trasmissione colposa di segreti di stato alla Cina. E nonostante ciò abbia effettivamente impedito a Gellman di raggiungere i colleghi a Hong Kong, l’avverarsi del timore legale appare plausibile in tempi quali gli odierni in cui anche l’amministrazione della giustizia del liberale Presidente Obama ha dato seguito a ritorsioni contro la libera stampa.
Secondo la legge statunitense, non è illegale pubblicare informazioni classificate, nel pieno rispetto della libertà di stampa enunciata dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America85. Ma si assiste proprio durante il maggio 2013 a una dichiarazione giurata del Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Obama in cui James Rosen (responsabile dell’ufficio Fox News a Washington) viene accusato e perseguito di concorso nei crimini contestati a un informatore per aver “sollecitato” la divulgazione di informazioni riservate. Questa nuova teoria del Dipartimento di Giustizia, ossia il concorso con la talpa nel procurarsi le informazioni considerato come favoreggiamento di quest’ultima nei crimini di cui si fa soggetto agente, è un grossolano escamotage per eludere ogni tutela costituzionale e criminalizzare il giornalismo investigativo stesso. Inutile dire che si tratta di un’elusione del principio costituzionale gravissima e che segna solo l’inizio di un climax nella controffensiva presidenziale. E 'ormai noto che il dipartimento di giustizia di Obama ha perseguito più leaker del governo mediante
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« Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances. » (Primo Emendamento della
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l'Espionage Act del 1917 rispetto a tutte le precedenti amministrazioni messe insieme, esattamente il doppio86.
Occorre riflettere sul fatto che è impossibile ottenere informazioni segrete se il reporter non collabora con la sua fonte per entrarne in possesso, perciò il risultato concreto di incriminare la cooperazione con una fonte tacciandola di favoreggiamento è in definitiva la criminalizzazione del giornalismo d’inchiesta in quanto tale.
Un’altra regola non scritta che imbriglia il giornalismo d’inchiesta è l’abitudine dei quotidiani, ma in generale di tutti i canali mediatici, di pubblicare solo alcuni documenti segreti per poi interrompere all’improvviso ogni trasmissione, in modo tale di aggiudicarsi l’esclusiva sulla notizia in questione ma limitarne l’impatto smettendo immediatamente di parlarne, sicché nulla cambia davvero87.
Il giornalismo, almeno scolasticamente, dovrebbe rispettare la regola dell’obiettività giornalistica, per cui i giornalisti non potrebbero esprimere opinioni e dovrebbero esclusivamente riportare i fatti di cronaca. Sorvolando sul coinvolgimento dell’opinione personale che persino nel più asettico articolo di cronaca traspare inevitabilmente anche solo dall’utilizzo ragionato del lessico, si deve operare una distinzione che non è quella tradizionale tra cronisti e opinionisti.
Negli ultimi decenni è nato un divario tra i reporter, come Greenwald, non compiacenti, e i giornalisti dell’establishment che addirittura coadiuvano attivamente le attività governative, costruendo apologie su misura e sostenendone le ideologie. Nei confronti di questi ultimi la regola dell’obiettività giornalistica non sembra venire rispettata, anzi viene volta come strumento per la difesa degli interessi della classe politica. Obiettiva è la versione accettata, talvolta addirittura suggerita dal governo; di
86 Articolo di G. Greenwald, Obama DOJ formally accuses journalist in leak case
of committing crimes, The Guardian, 20 Maggio 2013, reperibile online al link
https://www.theguardian.com/commentisfree/2013/may/20/obama-doj- james-rosen-criminality
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parte, radicale e addirittura tacciabile è l’opinione che elude la sfera dell’ortodossia. Molte regole del giornalismo sono realizzate ad arte per assecondare l’amministrazione, come si è evidenziato, dalla forma della notizia alla sua sostanza. Gli stessi funzionari di Washington in prima persona si recano nelle redazioni dei giornali per distribuire informazioni “segrete” su argomenti di interesse attuale e pilotarne l’interpretazione88. I fautori di queste “soffiate approvate” però non verrebbero mai condannati dai media o minacciati di essere perseguiti penalmente, come sarebbe poi accaduto a Greenwald, proprio perché non elargiscono quelle informazioni che le agenzie governative desiderano eclissare. È una disparità di trattamento che non ha ragion d’essere in uno stato democratico.
Perché la notizia avesse il dovuto effetto dirompente era necessario ignorare le leggi non scritte del cd. giornalismo istituzionale. Il piano di Greenwald e Poitras è avviare una seria attività giornalistica che faccia uscire un articolo dopo l’altro aggressivamente, senza pause, finché non siano stati esautorati tutti i temi di interesse pubblico contenuti nei documenti secretati, ignorando ogni intimidazione proveniente dall’alto. Il vero «quarto potere» è possibile solo se una controparte critica possa e riesca a mettere alla prova la massima autorità politica, seguendo il suo operato e commentandolo, per smentire le menzogne cui spesso fa ricorso e impersonare un contropotere che possa arginare l’esercizio, ormai troppo spesso dissoluto, dell’autorità.
Perciò Greenwald esige dal Guardian una pubblicazione immediata. Il quotidiano, sebbene sia ben disposto dalla parte della redazione, rimane imbrigliato nelle solite querelle legali: pubblicare documenti coperti dal segreto di Stato costituisce agli occhi del governo USA una violazione dell’Espionage Act, come previsto, sia per i privati che per i giornali, perciò le probabili ritorsioni che i legali del Guardian paventavano sarebbero state indirizzate contro Snowden ma anche contro la stessa redazione
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del quotidiano. Tutto ciò salvo che, in ossequio alla consuetudine, non si desse per tempo la possibilità ai funzionari governativi di esporre le ragioni dei danni alla sicurezza direttamente connessi alla pubblicazione di certe informazioni, consentendogli l’opportunità di convincere il giornale a non andare in stampa; procedura che la redazione avrebbe poi voluto comunque intraprendere poiché luogo idoneo a dichiarare l’intenzione contraria a ledere la sicurezza del paese e quindi propria solo dell’espressione della libertà di cronaca, il luogo cioè in cui la redazione di un giornale è costretta a ricordare all’amministrazione statale l’esistenza un diritto costituzionale di cui il giornalismo è tipica espressione.
Greenwald freme, si trova in disaccordo con la redazione, ma è costretto a temporeggiare dei giorni e poi delle ore tra un contatto e l’altro con New York. Fino a quando di fronte a un ultimatum del giornalista, per cui se il quotidiano non avesse pubblicato immediatamente egli si sarebbe rivolto alla concorrenza o in alternativa avrebbe proceduto a una pubblicazione indipendente su un sito web creato ad hoc, una coraggiosa Janine Gibson risponde al tono intimidatorio dei funzionari delle Agenzie interpellate dal giornale (NSA, Dipartimento di giustizia e Casa Bianca) asserendo che questi non hanno riportato nessun argomento inconfutabile avverso alla pubblicazione, e perciò in assenza di ragioni inoppugnabili e circostanziate per dissuaderla, l’inchiesta sarebbe andata in stampa quel giorno stesso89.
Il tono in un primo momento cordiale con cui l’amministrazione statunitense sosteneva che sfuggisse ai giornalisti il “contesto” della sentenza del tribunale FISA su Verizon, si era presto tramutato in minaccioso e ostile, passando dalle accuse di mancata professionalità e scarsa serietà del quotidiano, all’evidenziare come nessun altro giornale si sarebbe permesso di pubblicare improvvisamente senza un incontro preventivo con i funzionari governativi.
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Questo è il punto. Le tacite regole del gioco permettono al governo di controllare e neutralizzare il processo di acquisizione delle notizie e di eliminare il rapporto conflittuale tra stampa e potere.
Per me era fondamentale far sapere loro fin dall’inizio che quel sistema non si sarebbe applicato al nostro caso: le notizie, questa volta, sarebbero uscite secondo tutt’altre regole. Regole che
definivano una stampa non asservita, ma indipendente90.