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Sorveglianza e Diritt

1. Quale diritto per la sorveglianza?

1.2 Una risposta giusnaturalista

Abdicare alla “cura di sé” per trasmetterne l’onere a un individuo altro da sé è una dinamica che non rimane relegata tra le mura dell’impero romano. Col tempo il concetto stesso di sicurezza evolve assumendo sempre più i lineamenti di una libertà negativa; i termini libertà e sicurezza in parte si sovrappongono per delineare una libertà dalla necessità di difendersi dagli altri uomini e quindi la tranquillità per dedicarsi alle proprie attività, tradendo un’interdipendenza che necessita di essere indagata.

156 M. Barberis, op. cit., pag. 13

157 O. Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana, alle voci cura e

sicuro, Società editrice Dante Alighieri, 1907, Roma – riedizione online sul sito

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Do autorizzazione e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo, o a quest’assemblea di uomini, a questa condizione, che tu, nella stessa maniera, gli ceda il tuo diritto e ne autorizzi tutte le azioni 158. (Hobbes, Leviatano, 1989)

Chi meglio di Hobbes ha descritto l’esigenza naturalmente umana di difendersi dalla bellum omnium contra omnes, cioè da quello che per il giusnaturalista del Seicento è lo stato di natura?

La visione che a un primo sguardo potrebbe sembrare in un certo senso pessimista di Hobbes circa l’istinto proprio dell’uomo, tradisce in realtà un materialismo meccanicistico che si riflette anche in nel suo proprio materialismo etico e porta il filosofo a ritenere inesistente un sommo bene: è bene ciò che si desidera ed è male ciò che si odia. Queste valutazioni teoriche portano a delineare un essere umano non di certo portato alla benevolenza e alla concordia reciproche. A differenza dei filosofi classici, Hobbes non crede affatto che l’uomo sia un animale politico nel senso Aristotelico, anzi due sarebbero per il filosofo inglese i postulati certissimi della natura umana: un’uguaglianza naturale che porta a una altrettanto naturale bramosia che spinge tutti gli uomini a pretendere di godere da soli dei beni comuni (il diritto di tutti su tutto), e il naturale rifuggire dalla morte violenta. Non esiste un amore dell’uomo verso l’altro uomo, anzi, riassume il celebre brocardo: homo homini lupus. La condizione dell’uomo è naturalmente egoistica, ogni legame sociale nasce per puro timore, per bisogno o per ambizione. La conseguenza naturale di queste attitudini è la guerra di tutti contro tutti, che porterebbe all’annientamento dell’umanità se l’uomo fosse privo di ragione. La ragione naturale però gli suggerisce i tre principi da cui deriva il diritto naturale per vivere civilmente, sottraendolo così all’autodistruzione.

Lex Naturalis è un precetto o regola generale scoperta dalla ragione a causa della quale è vietato all’uomo di far ciò che può distruggere la sua vita, o privarlo dei mezzi per conservarla, o

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tralasciare ciò mediante cui egli pensa di poterla meglio conservare159.

Le norme fondamentali della legge naturale perciò si riassumono in160:

- pax est quaerenda: si deve ricercare la pace

- ius in omnia est retinendum: si deve rinunciare al diritto su tutto

- pactis standum: si devono rispettare i patti. (Hobbes, Il

Leviatano)

La ragione e la necessità di raggiungere la pace spingerebbero così gli uomini a stipulare un contratto con cui rinunciare al diritto illimitato proprio dello stato di natura e trasferirlo, con il proprio potere, a un sovrano (uomo o assemblea).

È importante evidenziare come nel definire cosa debba intendersi per Jus Naturale, Hobbes ne leghi il concetto a quello di libertà e di potere:

Il diritto di natura, comunemente definito dagli scrittori come «Jus Naturale», è la libertà che ciascuno possiede di usare il proprio potere nel senso che vuole, allo scopo di preservare la propria natura, cioè la sua vita, e conseguentemente di fare qualunque cosa che, secondo il giudizio e la ragione, gli sembra essere il mezzo più adatto a realizzare quel fine161.

La scelta di stipulare un contratto sociale appare perciò la logica e razionale decisione per preservare la vita, ma subito il filosofo specifica che:

Per libertà s’intende, secondo il più esatto significato della parola, l’assenza di impedimenti esterni, i quali possono spesso stornare una parte del potere dell’uomo dal fare ciò che egli si propone, ma non possono impedirgli completamente di usare il potere che gli rimane, seguendo i dettami del suo giudizio e della ragione162.

159 T. Hobbes, Leviatano, vol. I, cap. XIV; (a cura di) R. Giammanco, Unione

tipografico-editrice torinese, Torino, 1955, pag. 163

160 Ivi, pagg. 162 e ss. 161

Ivi, pag. 162

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Dalla libertà positiva degli antichi si passa perciò alla libertà negativa dei moderni, assimilata per forza di precetti di ragione, alla sicurezza.

Deriva dagli stessi tratti dello stato di natura come la sicurezza appaia razionalmente ad ogni uomo quale elemento assolutamente necessario, “da ricercare” per la prima legge naturale fondamentale, da mantenere in ossequio alla terza legge. La sicurezza si deve anteporre a qualsiasi altra esigenza o capriccio umano, è il fine per il quale l’uomo si sottomette, a patto che lo facciano anche tutti gli altri uomini, al Leviatano.

Il Leviatano deve provvedere non solo alla conservazione della vita dei suoi sudditi, ma anche alla loro felicità. Questa felicità può sopraggiungere solo se il governante da la possibilità ai cittadini di fruire dei prodotti del loro lavoro, al sicuro dalla guerra.

Greco lo definisce un paradigma sicuritario, perché tra le parole di Hobbes non si individua un vero e proprio diritto alla sicurezza, essa è mero requisito necessario per la sussistenza di una «società civile» che si sostituisca allo stato di natura163.

Dei diritti «che le leggi concedono» esistono, ma sono successivi alla creazione dello stato poiché funzionali al mantenimento dello stesso. Statuire delle leggi determinate che abbiano i caratteri della chiarezza e certezza del diritto contribuiscono a costruire un saldo apparato normativo che rappresenti severamente la fermezza dello stato, il suo rigore. Al contrario se nell’immaginario collettivo vi fosse spazio per castighi arbitrari, un diritto non certo dalle temibili quanto inaspettate pene, si verrebbe nuovamente a creare quella paura che l’uomo prova nello stato di natura, l’insicurezza totale (Greco, Dimensioni della Sicurezza, 2009).

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T. Greco, Sicurezza/Insicurezza: figure e paradigmi di un dibattito, in

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