Sorveglianza e Diritt
6. Controllo di proporzionalità 1 Le diverse forme di sicurezza
6.3 Sicurezza collettiva
Quella che per Barberis si scinde in due tipologie diverse di sicurezza, sociale e nazionale244, sebbene queste presentino diverse analogie di cui si rimanda il cenno, viene globalmente considerata come sicurezza collettiva da altra dottrina (Fenucci, 2015).
Infatti, nel panorama giuridico tradizionale la sicurezza rappresenta anzitutto un interesse pubblico capace di limitare all’occorrenza i diritti individuali con lo scopo dichiarato di «garantire l’ordinato svolgimento del vivere civile. La sicurezza ha, anzi, la funzione di presupposto della garanzia dei diritti stessi: il diritto alla sicurezza quindi si manifesta come diritto alla sicurezza dei diritti»245. Si configura in questo senso come un diritto della collettività.
Questa stessa argomentazione però, se portata all’estremo, risulta parossistica. Come evidenzia Barberis, si ricorre all’argomento della precondizione o knock out troppo spesso per giustificare limitazioni estreme della libertà personale. La posizione per cui sicurezza nazionale e sociale sono la precondizione necessaria alla tutela di tutti gli altri diritti è di per sé corretta ma vale solo nei casi-limite, quando viene di gran lunga oltrepassata la soglia
243 Per una trattazione approfondita sul punto cfr. A. M. Dershowitz,
Terrorismo. Capire la minaccia, rispondere alla sfida, Carocci, 2014;
e sull’argomento: M. Barberis, Non c’è sicurezza senza libertà, cit., pagg. 116-120
244 Ivi, pagg. 91 e ss.
245 T. Fenucci, Quando spazio c’è per un diritto individuale alla sicurezza
nell’ordinamento costituzionale italiano? op. cit., reperibile al link:
http://www.federalismi.it/nv14/articolo-
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minima di sicurezza, è impossibile garantire qualsiasi diritto individuale ed è proprio per questo che ci si riferisce allo Stato fallito. Fortunatamente il terrorismo non ci spinge fino a queste estreme conseguenze.
Le analogie tra sicurezza sociale e sicurezza nazionale in quanto principi direttivi (e non regolativi) si possono individuare, oltre che nella già citata comune attitudine ad abusare del ricorso al knock out, in altre tre caratteristiche.
Si tratta in entrambi i casi di beni collettivi perciò dotati delle caratteristiche dei beni pubblici: il loro godimento è non escludibile a danno di alcuni individui determinati, ne possono godere tutti, e sono beni non rivali, il cui consumo da parte di ciascuno non pregiudica il consumo da parte di tutti gli altri. Entrambi i tipi di sicurezza, sebbene quella nazionale appaia forse più costosa di quella sociale, sono termini soggetti a valutazioni quantitative, possono avere cioè diversi gradi di soddisfazione. Infine, ma come già spesso è venuto in luce nell’arco della presente trattazione, entrambi i tipi di sicurezza vengono invocati dalle potenze statali per giustificare misure emergenziali.
Atteggiamento questo che ha un doppio scopo d’immagine per i governi: preservare, contro le spinte centrifughe contemporanee, la parvenza della propria forza e capacità statale e, al contempo, svolgere una funzione di rassicurazione nel donare ai cittadini l’illusione di trovarsi al sicuro, un’illusione diffusa mediante controlli sempre più incisivi, burocraticamente farraginosi, ma che proprio da questa pesantezza impressiva guadagnano una carismatica e convincente sensazione diffusa di protezione dell’incolumità di tutti.
Il desiderio di parecchi governi di conservare una parvenza di controllo sociale, che in un mondo sempre più globalizzato alcuni sentivano di stare perdendo, ha ora trovato una valvola di sfogo nella legislazione “antiterrorismo”246.
246
D. Lyon, Massima Sicurezza, Sorveglianza e “guerra al terrorismo”, op. cit., p. xv
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Sicurezza sociale
Per ciò che riguarda nello specifico la sicurezza sociale è utile rifarsi a un caso paradigmatico che vide nella prima metà degli anni Trenta il rimpatrio coattivo, ordinato dagli Stati Uniti, di un milione di messicani per far fronte a necessità sociali, precisamente la penuria di cibo. L’avvenimento, dovuto alla Grande Depressione, costituisce il primo caso in cui il governo statunitense dispone un’espulsione massiva di migranti, una pratica politica che avrà conseguenze influenti nella storia del Messico e delle relazioni con gli Stati Uniti (Bernardi, 2011). La misura emergenziale, sotto la bandiera della tutela della sicurezza sociale dei cittadini americani, potrebbe al primo passaggio del test di proporzionalità sembrare adeguata a raggiungere l’obiettivo, ma certamente non sembra necessaria. Ci sarebbero certamente state altre possibili politiche di austerità e ristrettezze equamente ripartite tra la popolazione che non avrebbero reso affatto necessario ricorrere a simili pratiche estreme e discriminatorie, delle misure cioè non così lesive dei diritti fondamentali alla libertà e all’eguaglianza dei messicani. Chiaramente nemmeno l’ultimo passaggio del test può essere superato, in quanto la decisione appare chiaramente sproporzionata rispetto al soddisfacimento dell’esigenze di sicurezza sociale, che forse sarebbero state idonee per alleviare i mali della Grande Depressione ad alcuni, ma certamente ne avrebbero causati degli altri, ai messicani247.
Sicurezza nazionale
Il dilemma sollevato da molti circa la natura della pubblica sicurezza ci porta ad affrontare una serie di domande che sono pregiudiziali per la soluzione del test di proporzionalità.
247
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Il problema della sicurezza nazionale, bene pubblico o collettivo, è di competenza politica o giuridica? Si individuano tre opzioni dottrinali248.
La prima vede le dottrine occidentali per le quali la sicurezza nazionale è la principale funzione dello Stato, la considerano un problema solo militare o politico, perciò sottratto a ogni forma di revisione giudiziale. Paradigmatica è la posizione di Schmitt sul punto: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione»249:
Qui con stato d’eccezione va inteso un concetto generale della dottrina dello Stato, e non qualsiasi ordinanza d’emergenza o stato d’assedio. Il fatto che lo stato d’eccezione sia eminentemente appropriato alla definizione giuridica della sovranità ha una ragione sistematica, di logica giuridica. Infatti la decisione intorno alla eccezione è decisione in senso eminente, poiché una norma generale, contenuta nell’articolo di legge normalmente vigente, non può mai comprendere un’eccezione assoluta e non può perciò neppure dare fondamento pacificamente alla decisione che ci si trova di fronte a un vero e proprio caso d’eccezione. (…)
Si disputa intorno al suo (della sovranità)250 concreto impiego,
cioè su chi in caso di conflitto decida dove consiste l’interesse pubblico o statale, la sicurezza e l’ordine pubblico, la salut
public e cosí via. Il caso d’eccezione, il caso non descritto
nell’ordinamento giuridico vigente, può al massimo essere indicato come caso di emergenza esterna, come pericolo per l’esistenza dello Stato o qualcosa di simile, ma non può essere
descritto con riferimento alla situazione di fatto.
(Schmitt, 1972)
Ci troviamo davanti alla definizione di un sovrano, soggetto politico, che è più che costituente: perché prende decisioni con autorevolezza, pontifica sia sull’esistenza o meno di un caso di emergenza (i cui caratteri sono perciò del tutto indeterminabili con certezza e preavviso) sia su quali misure adottare per
248 Ivi, pag. 97
249 K. Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del “politico”, a cura di G. Miglio
e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, pagg. 33-35
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superarlo. È un concetto limite di potere sovrano, proprio perché è stanziato al di fuori dei confini dell’ordinamento giuridico vigente ma vi appartiene comunque, proprio perché ad egli spetta la competenza di decidere quando e se l’intera costituzione possa venire sospesa.
Posizione pertanto coerente con quanto previsto dall’art. 48 della Costituzione di Weimar251: la sospensione dell’applicazione di norme giuridiche, anche se costitutive di diritti fondamentali. Altre dottrine sulla stessa linea risalgono alla giurisprudenza di common law e risalgono a sentenze che, dalla Marbury v. Madison del 1803, hanno segnato una linea di separazione netta tra le non giustiziabili political question, che danno appunto nome alla dottrina in esame, e le altre questioni non esclusivamente politiche e che quindi rientrano nella competenza della giurisdizione. I criteri per individuare la politicità della question si rintracciano nella sentenza Baker v. Carr252 e riguardano perlopiù temi di guerra e politica estera.
La seconda opzione è in parte un’argomentazione contraria alla prima: perché si dice che, in ultima istanza, anche quando è l’autorità politica a prendere il provvedimento, anche quando si esclude ogni revisione giudiziale in merito, si tratta ab origine di una decisione sulla competenza a decidere che è previamente presa dai giudici stessi, che ha perciò natura giuridica.
E quindi la reinterpretazione delle precedenti dottrine alla luce della contestazione per cui la sicurezza è, anzi, il principio costituzionale supremo vedrebbe la decisione sovrana sullo stato di eccezione alla stregua di una decisione giuridica sulla
251 In traduzione recita così: “Il presidente può prendere le misure necessarie al
ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali stabiliti dagli articoli 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 153”. Reperibile online al link:
http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/19190811_germaniaWeimar_ita.pdf
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legittimità e la political question come un limite giuridico alla competenza del giudiziario.
Questa posizione potrebbe sembrare confermata da tre decisioni giudiziali che non verranno esaminate subito nello specifico ma che è comunque debito richiamare per un rilevante elemento comune. Tutte e tre le sentenze, sui casi Arar, El-Masri e Abu Omar, dimostrano un atteggiamento deferente dei giudici nazionali nei confronti delle decisioni in tema sicurezza prese dal potere politico, in contrasto poi con la revisione operata dai giudici internazionali che ribaltano i risultati delle risoluzioni. Ciò che è stato fatto dai giudici nazionali è stato un bilanciamento implicito delle ragioni della sicurezza nazionale (sempre riguardanti il terrorismo) a danno della libertà personale e, cosa di indubbia gravità, senza pronunciarsi in merito, come se il problema della sicurezza esulasse dalle loro competenze, come se fosse solo argomento di proprietà politica sul quale non possono prendere una posizione sostanziale. I giudici internazionali sembrano invece impermeabili alle ragioni di deferenza che paiono inibire i giudici nazionali e sovvertono i bilanciamenti libertà-sicurezza in favore della libertà.
La deferenza filogovernativa è un atteggiamento che si è già incontrato in occasione dell’analisi dell’atteggiamento dei giudici americani del tribunale speciale FISA; anche in quel caso si privilegiava sistematicamente la sicurezza sulla libertà.
La terza ed ultima opzione circa la natura della sicurezza nazionale induce a ritenerla ben suscettibile di bilanciamento al pari della libertà, secondo le classiche tecniche interpretativo- argomentative del bilanciamento.
Assumendo la posizione della teoria costituzionale giusrealista il risultato del bilanciamento è per sua stessa definizione non predeterminabile, costituisce una gerarchia mobile e aperta in cui la libertà può prevalere sulla sicurezza ma a determinate condizioni anche la sicurezza potrebbe prevalere sulla libertà. Questa posizione non è osteggiata dalla considerazione per cui bilanciamento non è solo quello giudiziale ma anche, in senso lato, l’ordinazione dei principi operata dal legislatore nel corso
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dell’ordinaria attività normativa, e ancor prima, bilanciamento in senso latissimo253, la formulazione dei principi realizzata dal costituente.
La conclusione circa quale sia percorribile delle tre strade non è univoca, soggetta com’è alle variabili dottrinali e ideologiche. Si può dedurre però che il giudice che debba prendere posizione si trovi di fronte alle corrispondenti tre possibilità: accantonare la questione in quanto politica, risolverla a favore della sicurezza in sostegno alle diffuse pratiche politiche del tempo, o concepire che possa essere risolta anche proteggendo la libertà.
Dei tre casi citati, il più noto in Italia è quello che riguarda Abu Omar, imam egiziano fondamentalista, la cui vicenda è ormai diventata famoso decalogo di abusi per mano dei servizi segreti italiani e statunitensi nel contesto della guerra al terrorismo. Gli avvenimenti risalgono al 2003 quando, rapito dagli agenti CIA a Milano, l’imam viene poi trasferito in Egitto dove viene recluso e interrogato subendo torture e sevizie. Dopo essere stato liberato ed arrestato di nuovo per aver raccontato i torti subiti254, viene liberato una seconda volta nel 2007 pur rimanendogli proibito l’espatrio per tornare in Italia255.
La Procura della Repubblica di Milano ha mosso severe accuse agli agenti italiani e statunitensi responsabili dei fatti. Il processo celebratosi accertava anzitutto la responsabilità per il reato di sequestro di persona pluriaggravato di ventitré cittadini statunitensi agenti della CIA, nonché di due imputati italiani. Le condanne inflitte dal Tribunale venivano confermate in appello e dalla Corte di Cassazione, ma il governo italiano provvedeva subito ad opporre il segreto di Stato contro le prove e la decisione dei giudici che accolsero le richieste della Procura.
253 Lo schema di bilanciamento a tre livelli d’operatività si deve a M. Barberis,
Non c’è sicurezza senza libertà, op. cit., pagg. 48-53
254 Abu Omar è vivo e conferma le torture, Corriere della Sera, 27 giugno 2005 255
Abu Omar non verrà in Italia l'Egitto decide il divieto d'espatrio, La
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I nodi salienti della questione consistono nella gestione latu sensu giudiziale dei fatti oggetto di cronaca, soprattutto nel problema della rilevanza del segreto di Stato opposto da tutti gli imputati italiani (in particolare dagli ex funzionari del SISMI), oltre che nelle difficili questioni interpretative sui limiti della giurisdizione italiana e dell'immunità penale di agenti stranieri operanti in territorio italiano.
L’episodio viene trascinato sino in Cassazione256, secondo la quale il segreto di Stato proibisce all'autorità giudiziaria di acquisire e utilizzare notizie coperte da tale segreto, ma non preclude alla stessa l'accertamento per altra via di fatti costituenti reato. «I giudici di merito avrebbero dovuto depurare il materiale probatorio di tutti gli elementi di prova effettivamente non utilizzabili perché coperti da segreto, e compiere quindi una attenta valutazione delle fonti di prova residue, al fine di stabilire se esse fossero sufficienti per affermare la responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto.» 257
Oggetto della controversia, esacerbata sino al conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, è l’esatta interpretazione dei confini del segreto di Stato in relazione alla vicenda Abu Omar, in riferimento alla natura delle attività poste in essere da agenti e funzionari dei Servizi italiani. Secondo l’Avvocatura dello Stato la libera interpretazione dei giudici milanesi sul punto avrebbe gravemente compromesso la competenza in materia del Presidente del Consiglio, cui solo spetterebbe la concreta determinazione e l’esatta delimitazione di ciò che costituisce oggetto del segreto di Stato in relazione alla vicenda in questione (Giupponi, 2014). La Corte ha sostanzialmente accolto i ricorsi governativi258: innanzitutto
256 Cass. pen., sez. V, 19 settembre 2012 (dep. 29 novembre 2012), n. 46340 257 La sentenza della Cassazione sul caso Abu Omar, Diritto Penale
Contemporaneo, 4 dicembre 2012, reperibile online al link:
https://www.penalecontemporaneo.it/d/1911-la-sentenza-della-cassazione- sul-caso-abu-omar
258 Tommaso F. Giupponi, Il Segreto di Stato ancora davanti alla Corte (ovvero
del bilanciamento impossibile), Nota a Corte cost., 13 febbraio 2014, n. 24,
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ribadendo la «perdurante attualità» dei principi espressi nella sua giurisprudenza, fin dalla sent. n. 86/1977, sul fondamento costituzionale della disciplina del segreto di Stato (oggi contenuta dalla legge n. 124/2007), e poi definendo il campo di appartenenza di quest’ultima.
La materia del segreto di Stato infatti «involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria integrità ed alla propria indipendenza, (...) che trova espressione nell’art. 52 della Costituzione in relazione agli artt. 1 e 5 della medesima Carta». Tale interesse implica necessariamente, per il suo grado di ampiezza e per intensità del valore «profili di interferenza con altri principi costituzionali, inclusi quelli che reggono la funzione giurisdizionale», dal momento che l’apposizione del segreto di Stato è «afferente la tutela della salus rei publicae, e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, perché riguardante l’esistenza stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione (sentenza n. 86 del 1977).»259
.
Si riconosce in tale campo che il Presidente del Consiglio «gode di un ampio potere discrezionale, sul cui esercizio è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni», poiché il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello stato ha natura squisitamente politica.
Si delinea perciò una situazione in cui la scelta del giudice, in questo caso costituzionale, ha virato verso la prima opzione interpretativa circa la natura della sicurezza pubblica, appunto quella riassumibile nel brocardo salus rei publicae suprema lex esto. Ad una prima lettura sembrerebbe perciò che, quando viene in gioco la sicurezza nazionale, la questione è eminentemente politica ed esclude le altre due vie.
Tuttavia, secondo l’interpretazione di Giupponi dalla sentenza della Corte si deve evincere che l’apposizione del segreto non può
259
Corte cost., 13 febbraio 2014, n. 24, Pres. Silvestri, Rel. Grossi; reperibile online al link: https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do
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impedire all’autorità giudiziaria di indagare su determinati fatti di reato. La conseguenza dell’opposizione del Presidente del Consiglio è da rintracciare nell’impossibilità di acquisire e utilizzare gli elementi di prova specificamente coperti dal segreto. Non si mette in dubbio l’antigiuridicità del fatto-reato, con conseguente obbligo del pubblico ministero di svolgere le relative indagini, ma risulta inibito alla magistratura esclusivamente «l’espletamento di atti che incidano [...] sul perimetro tracciato dal Presidente del Consiglio» nel momento in cui «ha indicato l’oggetto del segreto», cosa che spetta esclusivamente a lui «senza che altri organi o poteri possano ridefinirne la portata, adottando comunque comportamenti nella sostanza elusivi dei vincoli che dal segreto devono [...] scaturire»260.
Rimandando ad altra sede la problematica prettamente inerente ai confini di operatività del segreto di Stato, ci interessa operare alcune rilevazioni.
Anzitutto, emerge la completa assenza di ogni riferimento alla necessità di un bilanciamento degli interessi in gioco, e ciò sembra avvalorare l’ipotesi per la quale la Corte, in questo caso, abbia considerato la questione come eminentemente politica, che escluderebbe perciò un qualsiasi sindacato sull’an e sul quomodo del potere di segretazione.
Il Giudice delle Leggi in un certo senso ci tiene a riaffermare la propria competenza esclusiva in sede di conflitto di attribuzione, il che potrebbe sembrare voler lasciare aperto un possibile diverso giudizio sulle rispettive attribuzioni, ma d’altra parte non si espone nel valutare né le motivazioni addotte, né l’oggetto della segretazione o il rispetto dei limiti sostanziali previsti dalle norme che disciplinano le attribuzioni costituzionali in materia.
Una posizione questa, che si tiene ben lontana dal sindacato sulle ragioni del segreto di Stato, evita cioè di soffermarsi nel merito di
260 Tommaso F. Giupponi, Il Segreto di Stato ancora davanti alla Corte (ovvero
del bilanciamento impossibile), cit., pag. 4, reperibile online al link:
https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1398367530GIUPPONI%202014 .pdf
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un’analisi delle ragioni, della fondatezza e delle ragioni della segretazione, ma allo stesso tempo sembra snaturare lo strumento garantistico del conflitto di attribuzione, in quanto si limita alla verifica esterna del rispetto formale delle procedure previste.
Anche se a rigore lessicale non emerge mai il termine bilanciamento, non è forse questo un bilanciamento implicito delle ragioni della sicurezza nazionale con la libertà personale? Schiacciata, quale è quest’ultima, sotto il peso di più di un’umiliazione.
Anche in questo caso, nel 2016 un giudice internazionale, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha ribaltato le decisioni delle autorità nazionali condannando il governo italiano per violazione degli obblighi di natura sostanziale che scaturiscono dalla CEDU. Si è avuta nei confronti dello stesso Abu Omar violazione dell’art. 3, perché le autorità statali avrebbero dovuto sapere che un individuo sul loro territorio sarebbe stato sottoposto ad una extraordinary rendition261; dell’art. 5, per l’illegalità del rapimento e della detenzione, contrari alla normativa nazionale e internazionale, per di più provato dalle sentenze italiane, e dell’art. 8 per la lesione del diritto allo sviluppo della persona e ad intrattenere rapporti con altri esseri umani. Infine, la Corte Europea individua la violazione dell’art. 13 CEDU perché l'azione giudiziaria si è eclissata in procedimenti penali rimasti privi di concreta esecuzione262.
261 La definizione di extrardinary rendition è stata formulata dalla Corte, con
particolare riferimento alle pratiche messe in atto dalla CIA, in alcune precedenti sentenze: «il trasferimento, in assenza di autorizzazione dell'autorità giudiziaria, di un soggetto dalla giurisdizione territoriale di uno