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Il comunismo di guerra e la militarizzazione del lavoro

5. IL DRAMMA DELLE CAMPAGNE E LA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA

5.5 Il comunismo di guerra e la militarizzazione del lavoro

L'ordinamento economico istituito dai bolscevichi durante la guerra civile prese il nome di comunismo di guerra. Esso mirava all'abolizione del commercio privato e all'instaurazione di un totale controllo, da parte dello stato, sul lavoro e sulla distribuzione dei beni.

L'industria, in particolare quella pesante, avrebbe dovuto essere nazionalizzata, l'agricoltura sottoposta ad un processo di collettivizzazione, che l'avrebbe resa più efficiente e produttiva, e il sistema monetario e dei pagamenti sostituito da un sistema di razionamento universale gestito dallo stato. In realtà, i bolscevichi non furono mai in grado di perseguire interamente i loro scopi, come dimostra la sopravvivenza del commercio tra privati sotto forma di mercato nero e baratto.

Questi commerci sotterranei, pur primitivi e caotici, si stavano rivelando, tuttavia, molto più adeguati nell'affrontare la crisi alimentare che aveva colpito le città rispetto ai metodi voluti dal

712 Graziosi, cit., pag. 149

713 Graziosi, La grande guerra contadina in Urss, pagg. 54-55 714 Figes, cit., pag. 974

715 Graziosi, ivi, pag. 101

regime717. I viaggi che i mešočniki compivano regolarmente, facendo la spola tra città e campagne a

bordo dei treni e con i loro sacchi sulle spalle, erano molto più efficienti nel rifornire le città di cibo di quanto non lo fosse il monopolio statale sugli approvvigionamenti alimentari introdotto dal regime fin dal maggio del 1918. I dirigenti comunisti, sebbene fossero consapevoli che i loro sforzi nelle campagne, da soli, non bastavano a sfamare le città, erano mossi da un forte odio ideologico per il mercato, che imponeva loro di avviare una vera e propria guerra al liberismo economico che distolse uomini, risorse ed energie che sarebbero stati più utili altrove.

Se il commercio privato spontaneo, del resto, fosse sfuggito di mano, il regime avrebbe finito per perdere il controllo delle risorse alimentari, vedendo venir meno il suo potere di influire sulla produzione718. I bolscevichi, durante la guerra civile, si videro talvolta costretti ad allentare in parte

le loro restrizioni al libero commercio, ma per loro il comunismo di guerra non era solo una risposta alle necessità belliche del momento, ma uno strumento di lotta verso il nemico interno, di classe. Proprio per questo tale sistema venne mantenuto, per oltre un anno, anche dopo la vittoria definitiva sui bianchi719. I dirigenti sovietici erano convinti che, essendo la loro base di potere limitata alla

grandi città, ed essendo la loro una rivoluzione essenzialmente urbana, le masse contadine ostili, nascondendo il loro grano, avrebbero potuto far fallire la rivoluzione per fame.

La fuga degli operai dalle città e i primi moti per il pane sembravano confermare le più fosche previsioni dei bolscevichi, che decisero quindi di appropriarsi, anche con la forza, del grano delle campagne720. Tale politica dirigista e fortemente antiliberista, tuttavia, non nasceva da una chiara

strategia economica tracciata dai bolscevichi prima della sua introduzione: fu invece il frutto dell'improvvisazione, influenzata dalle condizioni critiche della guerra civile e da un declino del sistema industriale iniziato ancora durante la prima guerra mondiale.

La forza dell'ideologia e la necessità pratica spinsero i bolscevichi a tentare di sostituire in fretta, e nel pieno di una grave crisi socio-economica, i meccanismi del mercato con una sperimentazione di cui non si conoscevano gli esiti, imposta alla popolazione in modo coercitivo.

Nato in parte in risposta alle difficoltà della guerra civile, durante la quale le scarse risorse disponibili dovevano essere concentrate su un ristretto gruppo di industrie fondamentali per lo sforzo bellico, a cominciare dall'industria metallurgica721, il comunismo di guerra arrivò ad essere

visto dai bolscevichi come il metodo più normale e più giusto, secondo il dettato ideologico, per costruire la nuova economia socialista ed educare la popolazione ai suoi nuovi compiti.

Sul piano economico, tuttavia, il comunismo di guerra finì per mettere in ginocchio un'economia già in crisi: all'inizio del 1921, la produzione industriale ammontava ad appena il 12% di quella prebellica, e per quanto riguarda la produzione di metalli come il ferro e la ghisa, essa

corrispondeva al 2,5% di quella precedente la Grande Guerra722.

Nel febbraio del 1920 le autorità sovietiche istituirono un ente incaricato di amministrare l'economia di piano, il Gosplan, ma il processo di nazionalizzazione totale delle imprese rimase essenzialmente sulla carta. Molte industrie teoricamente nazionalizzate sfuggivano al controllo dello stato, fornendo gran parte della loro produzione al mercato nero invece che agli organi di distribuzione statali723. Anche sul fronte dell'agricoltura le cose non andavano bene: i dati indicano

che nel biennio 1919-1920 il regime comunista sarebbe stato in grado di requisire 400 milioni di

pud in prodotti agricoli, coprendo circa il 50% del fabbisogno urbano e militare.

In realtà, questo dato non tiene in considerazione la percentuale di grano persa a causa della mancanza di silos, della corruzione e delle difficoltà nei trasporti, percentuale che è da valutare intorno al 30% del totale724. Di conseguenza, la popolazione civile delle città dovette la sua

717 Figes, ivi, pag. 735 718 Figes, ivi, pag. 871 719 Figes, ivi, pagg. 736-737 720 Figes, ivi, pag. 738 721 Mawdsley, cit., pag. 187 722 Werth, cit., pag. 190 723 Werth, ibid.

sopravvivenza in buona misura al mercato nero. I bolscevichi si erano illusi che quell'insieme di misure straordinarie adottate durante la guerra civile fosse già il comunismo, o perlomeno una forma imperfetta di esso, e ad esso molto vicina. Il comunismo, quindi, secondo la visione degli entusiasti del partito, non era nato a causa della guerra, ma era stato forgiato nelle fiamme della

guerra contro il nemico di classe. La politica di requisizione nelle campagne era, per lo stesso Lenin, una politica comunista, e la NEP che la seguì una ritirata dal comunismo725.

Ma, nonostante il sostanziale fallimento della politica economica accentratrice voluta dai bolscevichi e l'inevitabile rallentamento imposto dalla NEP, definito da Bucharin il crollo delle

nostre illusioni726, i comunisti continuarono a vedere in questo modo di gestire l'economia

un'inviolabile questione di principio.

La fine dei combattimenti della guerra civile e la vittoria sui bianchi, posero di fronte ai bolscevichi un grosso problema: essi temevano che, smobilitando il loro enorme esercito, permettendo quindi ai reduci di fare ritorno nelle città in preda alla crisi economica o nelle campagne sconvolte dalle requisizioni, i soldati, disoccupati e senza prospettive, si sarebbero potuti unire ad altri milioni di operai e contadini scontenti, già impegnati nella loro lotta contro il regime.

Fu in particolare Trockij a farsi alfiere della militarizzazione, un sistema che avrebbe permesso ai bolscevichi di irregimentare la popolazione e di servirsi degli ex soldati trasformandoli in lavoratori d'assalto, inquadrati, come durante la guerra, in reparti combattenti impegnati nella lotta sul fronte economico. Secondo il commissario alla guerra, l'economia sovietica, che doveva basarsi sulla mobilitazione di tutte le risorse disponibili secondo un piano prestabilito, doveva essere gestita dallo stato così come lo stato maggiore dell'esercito dirige le forze armate727.

Secondo questa linea di pensiero, la stessa da cui derivò poi il dirigismo economico staliniano, in un paese arretrato e agricolo come la Russia, attraverso la coercizione statale si sarebbe potuta evitare la fase, che poteva essere anche molto lunga, di accumulazione del capitale tramite il mercato, per giungere direttamente al comunismo. Trockij si fece paladino del lavoro coatto, che diventava quindi l'essenza del sistema sovietico e la chiave della sua maggiore produttività rispetto alla caoticità della libertà capitalistica. Anche altri leader bolscevichi, come Bucharin, invocarono l'utilizzo della «coercizione proletaria in tutte le sue forme» per risanare l'economia russa728.

Per realizzare questo piano era necessario che la popolazione civile obbedisse agli ordini produttivi del centro, e vincesse le battaglie sul fronte dell'economia volute dalla dirigenza729.

Il piano di Trockij prese il via nel gennaio del 1920, quando ciò che rimaneva della III Armata Rossa, sconfitto una volta per tutte Kolčak, venne riorganizzata nella I Armata del lavoro.

Quello fu anche il periodo in cui i bolscevichi, sempre più spaventati da una classe operaia che si dimostrava pericolosamente autonoma e ribelle, cominciarono a definirla «forza lavoro» (rabočaja

sila, o rabsila): gli operai (rabočie) smettevano di essere soggetti attivi di una rivoluzione che si era svolta in loro nome per diventare una massa di schiavi ( raby)730.

Gli impianti industriali vennero sottoposti alla legge marziale: la disciplina era ferrea e, come avveniva nell'esercito, gli assenteisti recidivi venivano fucilati in quanto disertori dal «fronte del lavoro». Anche i semplici ritardi erano duramente puniti, e agli operai venne fatto divieto di lasciare i loro posti di lavoro, tenendoli legati con la forza alle fabbriche.

In cambio, il regime, dando la massima priorità alla ricostruzione dei settori industriali più importanti, a cominciare dalle industrie pesanti di importanza vitale, assicurava agli operai ivi impiegati la stessa razione alimentare che spettava ai soldati dell'Armata Rossa731.

All'interno della fabbrica, il potere passò dalle direzioni collegiali di azienda, elette in parte dagli

725 Patenaude, cit., pagg. 567-568 726 Patenaude, ivi, pag. 553 727 Figes, cit., pagg. 867-868

728 Graziosi, L'Urss di Lenin e Stalin, pag. 135 729 Figes, cit., pag. 868

730 Figes, ivi, pag. 869 731 Figes, ivi, pag. 871

stessi operai, a dirigenti nominati dal partito, che assumevano la direzione individuale degli

impianti. Trockij paragonò questa circostanza all'analogo passaggio di poteri dai comandanti elettivi agli ufficiali designati dal governo che tanta parte avevano avuto nella vittoria della guerra civile. Questi nuovi dirigenti, in effetti, si consideravano i comandanti (načal'niki) di un esercito

industriale, occupandosi soltanto della disciplina e dell'efficienza produttiva, ostacolata a loro parere dai diritti sindacali. Trockij aggiunse che, dato che lo stato era «operaio», gli operai non avevano più alcun bisogno di essere rappresentati da propri sindacati autonomi, che andavano invece subordinati, secondo il leader bolscevico, agli apparati dello stato.

I «veri operai», del resto, secondo lo stesso Lenin, erano già tutti al fronte o tra le fila del partito, e ciò che rimaneva nelle fabbriche era nient'altro che una massa di origine contadina, dedita a comportamenti «criminali» come la speculazione sul mercato nero732.

Su questa forza lavoro piccolo-borghese, che anteponeva i propri interessi privati a quelli superiori dello stato operaio, era quindi non solo necessario, ma anche giusto esercitare pressioni per

migliorarne la produttività. Allo stesso tempo, anche i contadini venivano inquadrati in squadre di lavoro addette, tra le altre cose, al taglio e al trasporto del legname e alla costruzione di strade e ferrovie. Questi reggimenti di lavoratori, che dovevano includere l'intera popolazione, allo stesso tempo avrebbero avuto anche funzioni di milizia popolare o di riserva territoriale dell'esercito733.

La produttività delle armate del lavoro, tuttavia, era molto scarsa e le diserzioni dei lavoratori molto frequenti: ad esse le autorità risposero duramente, occupando villaggi e imponendo multe alla popolazione, fucilando ostaggi e creando degli «istituti di correzione», veri e propri campi di lavoro dove vennero reclusi migliaia di contadini734. La militarizzazione voluta da Trockij e dai bolscevichi

finì per assomigliare all'arakčeevščina, il progetto del ministro della guerra zarista Arakčeev, che nel 1820 aveva allestito una rete di colonie per soldati, nelle quali il servizio militare veniva combinato ai lavori agricoli, anch'esse un tentativo di inquadrare e disciplinare gli anarchici contadini russi utilizzando metodi militari735. Il principio della militarizzazione del lavoro era

accettato come l'unico metodo di industrializzazione corretto dal punto di vista marxista persino dall'opposizione all'interno del partito, tanto che molte credenze e valori ed esso associati diventarono degli attributi permanenti dell'ordinamento sociale comunista.

L'economia pianificata dallo stato, secondo tutti i bolscevichi, doveva sostituire il mercato, e, di conseguenza, lo stato entrava in possesso del diritto di utilizzare a proprio piacimento la forza lavoro, organizzandola in base ai propri bisogni e obbiettivi.

La coercizione esercitata dallo stato prendeva il posto di quella esercitata dai meccanismi di

mercato, e rendeva il sistema socialista superiore a quello capitalista, eliminandone l'imprevedibilità e le continue fluttuazioni. Il partito stesso doveva far comprendere agli operai che quanto esso ordinava loro di fare era nel loro migliore interesse, e che essi avrebbero dovuto accettare le istruzioni e i metodi coercitivi dello stato di buon grado e volontariamente736.

Trockij immaginava un'industria pianificata come una campagna militare, con varie armate del lavoro dislocate su base territoriale e dotate di propri quartier generali, che avrebbero comunicato ogni giorno al governo centrale i traguardi conseguiti.

Ai metodi di Trockij, appoggiati da Lenin, si opposero in particolare due fazioni all'interno del partito bolscevico: la prima era quella dei centralisti democratici, guidati da Timofej Sapronov e Valerian Osinskij, da sempre preoccupati dall'abbandono dei principi e delle procedure

democratiche all'interno del partito e dall'adozione di un rigido burocratismo. Secondo Osinskij, la militarizzazione del lavoro avrebbe comportato una totale limitazione delle libertà e dei diritti civili degli individui, che sarebbero diventati nient'altro che schiavi del processo produttivo.

La militarizzazione dell'intera società, inoltre, avrebbe finito per distruggere completamente le

732 Graziosi, cit., pagg.141-142 733 Figes, cit., pagg. 871-872 734 Figes, ivi, pag. 872 735 Figes, ibid.

ultime vestigia democratiche nel partito737. L'altro gruppo che cercò di contrastare la

militarizzazione del lavoro fu quello dei sindacalisti, guidati da Aleksandr Šljapnikov, che in seguito avrebbero assunto il nome di «opposizione operaia». La loro opposizione, però, non era tanto contro il concetto in sé dell'economia di piano e del lavoro militarizzato, ma verso la loro esclusione alla guida dei lavoratori e dell'intera economia sovietica a favore dei commissari nominati dall'alto. La militarizzazione del lavoro, nonostante queste opposizioni, venne comunque approvata durante il IX Congresso del Partito Comunista, e subito applicata ad oltre duemila imprese738.

Il nuovo compito dei sindacati sarebbe stato quello di assicurare il regolare svolgimento del lavoro, lottando contro il sabotaggio ( ossia gli scioperi), in collaborazione con la Čeka.

Per ogni infrazione dei rigidi regolamenti di fabbrica era prevista una punizione: ad esempio, il rifiuto di lavorare oltre l'orario previsto o un'assenza senza permesso sarebbero state punite con la sospensione della propria razione di cibo per un determinato periodo739.

Lo sciopero, essendo considerato un atto di diserzione dal fronte del lavoro, poteva comportare non soltanto la perdita del lavoro, ma anche la reclusione in un campo di concentramento740: nel 1920 la

decisione di scioperare, non portando a nulla se non a dure punizioni, poteva essere dettata soltanto da disperazione. La Čeka, inoltre, era pronta ad utilizzare gli scioperi per individuare e rimuovere gli operai più attivi politicamente e i loro sobillatori, appartenenti ai partiti di opposizione.

Talvolta, anzi, era la stessa polizia politica a provocare deliberatamente gli scioperi per ripulire poi le fabbriche dagli elementi indisiderati. Per giustificare i propri metodi spietati, le autorità

attribuivano gli scioperi a fantomatiche cospirazioni delle guardie bianche, facendo apparire sé stesse come protettrici del socialismo, e gli scioperanti come oppositori pericolosi741.

Gli operai tentarono di reagire ai soprusi in vari modi, sottoscrivendo petizioni da presentare alle autorità, redigendo le proprie risoluzioni di condanna durante le assemblee convocate dai comunisti stessi, scrivendo lettere ai giornali bolscevichi come a quelli di opposizione, nelle quali

descrivevano le spaventose condizioni di lavoro all'interno delle loro fabbriche, e, se tutto ciò non bastava, ricorrevano allo sciopero o prendevano addirittura parte a rivolte armate742.

La situazione si fece particolarmente critica durante l'inverno 1918-1919. Nel marzo seguente, in occasione dell'VIII Congresso del Partito Comunista, lo stesso Zinov'ev affermò esplicitamente:

non possiamo veramente nascondere a noi stessi il fatto che in alcuni luoghi la parola commissario è diventata un insulto. Come dicono a Perm', gli uomini in giacca di pelle sono diventati odiosi. Nascondere tutto ciò sarebbe ridicolo. Dobbiamo guardare in faccia la realtà743.

Gli «uomini in giacca di pelle» erano i čekisti, i quali, come anche i commissari e in generale tutti i rappresentanti e funzionari del regime, costituivano una casta di privilegiati rispetto agli operai. Questi ultimi, invece, erano vittima del controllo poliziesco esercitato su di loro sul posto di lavoro, ricevevano razioni da fame e spesso non venivano nemmeno pagati se non in grave ritardo.

I lavoratori erano pronti a seguire l'opposizione, partecipando in massa e applaudendo entusiasticamente ai discorsi dei politici menscevichi e social-rivoluzionari.

Sul loro giornale, la Pravda, i bolscevichi accusavano gli operai di possedere una scarsa coscienza politica, e i socialisti moderati che li esortavano a ribellarsi al regime comunista venivano etichettati come controrivoluzionari, centoneri e monarchici. A scopo preventivo, i soviet operai recentemente rieletti, nei quali l'opposizione socialista era predominante, furono sciolti nella primavera del 1919, così com'era avvenuto per le stesse ragioni esattamente un anno prima744.

Già tra la primavera e l'estate del 1918, a Pietrogrado, si era sviluppato un forte movimento di protesta, da parte degli operai della città, contro le restrizioni al libero commercio, le requisizioni

737 Brovkin, ivi, pag. 275 738 Brovkin, ivi, pag. 276 739 Brovkin, ivi, pag. 277 740 Brovkin, ivi, pagg. 287-288 741 Brovkin, ivi, pagg. 290-291 742 Brovkin, ivi, pag. 58

743 Cit. in Brovkin, Behind the front lines of the civil war, pag. 60 744 Brovkin, ivi, pagg. 62-63

forzate nelle campagne, il ritardo nei pagamenti e i privilegi dei bolscevichi, che, oltre a ricevere razioni di cibo più generose, erano soliti «eleggere» sé stessi nei soviet, senza tenere conto delle regolari procedure e della volontà dei lavoratori. Inoltre, il giorno 20 di giugno, uno dei più importanti dirigenti bolscevichi della città, Volodarskij, venne assassinato da un militante social- rivoluzionario. All'omicidio seguì una grande ondata di arresti, la serrata di molte fabbriche, e lo scioglimento dell'Assemblea dei plenipotenziari operai, un organismo diretto dai menscevichi che guidava l'opposizione degli operai di Pietrogrado al potere dei bolscevichi, rappresentato dal soviet cittadino. Gli operai risposero fissando uno sciopero generale per il 2 luglio, che però si risolse in un nulla di fatto. La protesta era dettata anche dall'abolizione, da parte dei bolscevichi, del principio del controllo operaio sulla produzione, che, durante le prime settimane del regime sovietico,

sembrava potesse migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli operai, così precarie ai tempi del Governo Provvisorio745. Gli operai erano inclini a credere che il partito bolscevico avrebbe

realmente instaurato in Russia un potere operaio, ma presto il governo, alle prese con la

smobilitazione dell'esercito e le difficoltà nel procurarsi alimenti e materie prime, dimostrò di non essere in grado di dare alla classe operaia l'aiuto che essa si aspettava di ottenere, deteriorando di molto le condizioni di vita dei lavoratori e portando al dilagare della disoccupazione746.

Quando, nella primavera del 1919, i bolscevichi legalizzarono temporaneamente i loro oppositori socialisti, il seguito che questi ultimi riuscirono ad ottenere nelle fabbriche era talmente grande che le autorità comuniste, spaventate dalle possibili conseguenze, revocarono immediatamente la libertà di parola per i loro avversari, arrestando i loro capi, in particolare Marija Spiridonova, leader dei socialisti rivoluzionari di sinistra, i cui discorsi infiammavano gli operai.

Ella, colpevole di aver condannato pubblicamente la «commissariocrazia» bolscevica venne reclusa per un anno in un ospedale psichiatrico. Ma il suo arresto, insieme a quello di molti altri esponenti del partito social-rivoluzionario, fecero sì che il movimento di protesta operaio prendesse nuovo vigore. Il centro della protesta divennero gli stabilimenti Putilov, nella periferia di Pietrogrado, nei quali, durante un'assemblea tenutasi il 10 marzo, venne approvata, con solo ventidue astenuti su circa diecimila presenti, una risoluzione che condannava fortemente il regime, responsabile, secondo gli operai, di aver tradito gli ideali della Rivoluzione d'Ottobre: il governo bolscevico,

agendo in nostro nome, non rappresenta l'autorità del proletariato e dei contadini, ma la dittatura del Comitato Centrale del Partito Comunista, che si autogoverna grazie alle commissioni